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Caro direttore, non so se scrivo in qualità di collaboratore o lettore, fa lo stesso.
Ho seguito con attenzione le proposte di Ferraraitalia per migliorare Ferrara, ne hai parlato tu, lo hanno fatto Stefania Andreotti e, per ultimo, Giovanni Scardovi. Mi aggiungo alla lista. Conosci bene il mio girovagare per la città. A tal proposito lasciami dire che quello che amo di Ferrara ha a che fare con i segni del tempo sul suo corpo. In questo senso, Ferrara mostra una parte di sé che altre città hanno perso. Il corpo di Ferrara ha il suo salotto buono, il suo volto. Poi ci sono luoghi come il giardino delle duchesse, lo sterrato fra l’abside della chiesa di San Paolo e la torre dei Leuti, su cui ci ha portato a riflettere Stefania. Oppure le mura, Sant’Antonio in Polesine, i vecchi archi della chiesa di Sant’Andrea su cui sorge la scuola media Dante Alighieri.
Ci sono luoghi fatti di terra cotta, malta e poesia. Io amo la loro forza evocativa. La loro capacità di testimoniare il nostro rapporto col tempo. Da questo punto di vista Ferrara, per la sua storia, è unica. In certi luoghi l’uomo dovrebbe limitarsi a conservarli bene, in altri dovrebbe osare coraggiosamente. Ma troppo volte ciò ha significato svuotare e imbalsamare i centri storici, renderli sterili giostre e finti parchi artistici oppure snaturarli e distruggerli.
In certe strade di Ferrara mi torna alla mente Fortini: “Penso con qualche gioia / che un giorno, e non importa / se non ci sarò io, basterà che una rondine / si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti / irreparabilmente, quella volando via.”

Credo dovremmo imparare a limitare la nostra invadenza e a esercitare lo sguardo: le case, le strade, i selciati, gli alberi, stanno lì a testimoniare, basterebbe saperli osservare. Io amo la città dei calzolai, degli artigiani, dei piccoli librai, anche se hanno la saracinesca imbrattata e sporca. Amo via Saraceno e il suo asfalto, le facciate consunte, i fossi: significa che su quella strada, ogni giorno, passa la vita. È la parte di Ferrara che non ha l’assillo di apparire. Quella vera, autentica. E vorrei i bambini, che tornassero a giocare a pallone per strada, ieri ce n’erano due in San Romano, usavano, quale porta, l’ingresso di una chiesetta.
Il mio forse è un elogio dell’incuria. Non vorrei che questi angoli, da luoghi unici, divenissero spazi edulcorati simili a tanti altri.
Piuttosto aprirei la città agli studenti, cercherei di trattenere le tante persone di valore che dopo la laurea scelgono altre città. Ferrara ha bisogno di uscire dal suo dolce isolamento. Di trattenere designer, architetti, poeti, scultori, giornalisti, fotografi. Occorrerebbe fornire loro degli studi a prezzi agevolati. Ferrara deve diventare una vera città della cultura, ossia di apertura, ma agli eventi culturali troppo di rado vedo coinvolti i giovani, gli studenti.

Allora, difendiamo la città dagli uomini. Distinguiamo il degrado dalla magia dei luoghi. Quindi, difendo l’incuria, anche l’abbandono, quando testimonia la vita contro il suo simulacro.

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento. Suoi contributi sono apparsi su diversi quotidiani e su siti letterari tra i quali Doppiozero e Le parole e le cose.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it