E’ complicato: così Danah Boyd, ricercatrice di Harvard, che da anni si occupa delle implicazioni sociali delle nuove tecnologie, definisce il compito di comprendere la vita degli adolescenti sui social network (“It’s complicated. The social lives of networked teen, Yale university press). La ricercatrice ha intervistato migliaia di adolescenti in numerosi Stati americani, li ha incontrati nei licei, nei fast-food e nei centri commerciali e ne ha seguito le tracce sui blog e sui social. Nel libro cerca di interpretare le loro aspirazioni e confrontarle con le paure degli adulti.
Quale realtà emerge? Intanto i teenager si sentono costretti a usare Facebook, per mancanza di altri spazi di ritrovo con i loro coetanei: molti adolescenti hanno meno libertà di muoversi, meno tempo libero e più regole dei loro genitori e nonni. Facebook ha sostituito i luoghi che ospitavano altre generazioni; ogni generazione, del resto, ha avuto un proprio spazio elettivo per frequentare gli amici. Questo spazio è oggi rappresentato dai social network. Gli adulti interpretano il fenomeno alla luce delle proprie ricostruzioni nostalgiche del passato, così, come afferma la Boyd, “molti genitori si sono reinventati la propria infanzia, ricordandola come un luogo migliore, più ricco, più facile e più sicuro di quanto fosse in realtà”. Inoltre, molti adulti guardano ai social network con il timore di perdere il controllo: la partecipazione a cerchie diverse da quella familiare ha sempre generato ansia tra gli adulti, così i genitori negli anni Cinquanta consideravano il rock & roll come espressione di devianza.
Un aspetto fondamentale per capire la differenza tra noi e loro è che noi adulti siamo immigrati digitali, non siamo nati dentro questo universo tecnologico e, come immigrati in una terra straniera, ne scopriamo le regole con fatica, mentre per i giovani questo è l’unico universo noto. Ma non tutti sono uguali davanti alla rete, Internet non è il grande livellatore che azzera le diseguaglianze: gli adolescenti sono orientati a riprodurre online dinamiche sociali preesistenti e diffidano dei coetanei che appartengono a un altro ceto sociale.
Pochi temi sono così incompresi come la privacy, ma non perché siano pronti a confidarsi con degli sconosciuti, inconsapevoli dei pericoli che corrono e sottovalutino i pericoli per la loro riservatezza. I teenager sono preoccupati della loro privacy, ma hanno una gerarchia di timori ben diversa da quella dei genitori. Non temono di essere spiati, né che Google o Facebook saccheggino le loro conversazioni a scopi commerciali. Il loro timore principale, sono i genitori. Per paura di essere sorvegliati usano linguaggi in codice che fanno riferimento, ad esempio, al linguaggio delle canzoni, sapendo che potranno essere decodificati solo dai coetanei.
I social network sono spazi dentro i quali i ragazzi si costruiscono una personalità e un’identità, lavorano per conquistarsi un posto nel gruppo e imparano ad esprimersi in una vita pubblica. I ragazzi usano gli smartphone come supporto alla vita reale, ad esempio, per comunicare coi propri compagni dentro uno stadio, scambiarsi foto e apprezzamenti sulla partita, in un concerto o in una qualunque situazione come prolungamento della loro esperienza. Ciò, in fin dei conti, è meno alienante di ciò che accade agli adulti che, travolti dal vortice del multitasking, insegnano ai ragazzi ad essere di continuo distratti dai propri telefonini.
Ciò non significa che non esistano questioni di apprendimento rispetto al nuovo ambiente, soprattutto per sfruttarne le opportunità, piuttosto che per sottolinearne i problemi. Ma ciò richiede una comprensione profonda del cambiamento e delle nuove problematiche che le tecnologie hanno generato o reso visibili.
Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi e Social Media Marketing. Studia i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
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Maura Franchi
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