da: ufficio stampa Studio Esseci
L’arte nordica (scandinava, baltica, scozzese e tedesca più in generale) occupò nelle prime edizioni della Biennale di Venezia, che nasce nel 1895, il ruolo di protagonista, a fianco dei residui dell’arte pompier e delle manifestazioni dell’ ufficialità accademica internazionale, rappresentando un elemento di novità e la vera svolta verso linguaggi e sensibilità ‘moderni’ e talvolta rivoluzionari.
Incise anche sull’ evoluzione dell’ambiente artistico italiano tanto che Vittorio Pica, il critico italiano forse più aggiornato e internazionale dell’epoca, ebbe a dire nel 1901 con indubbia efficacia come gli artisti italiani, vecchi e giovani, fossero presi da una sorta di ossessione nordica: “Il visitatore che entra per la prima volta in alcune sale della sezione italiana di questa quarta mostra di Venezia e si sofferma a guardarne, con particolare attenzione, le varie tele, grandi e piccole, disposte in bell’ordine intorno alle pareti, non può non osservare che parecchi dei nostri pittori, specie se veneti o lombardi, si appalesano profondamente influenzati dall’arte nordica, tanto da rinunciare ad alcuni tradizionali caratteri dell’arte italiana per presentarsi camuffati da Scozzesi, Scandinavi o Tedeschi”. Partendo da questa intuizione di Pica, che fu anche Segretario generale della Biennale, per la prima volta una grande mostra intende documentare quanto i “Nordici”, intesi nel senso più ampio del termine secondo le intenzioni del critico, Boecklin, Hodler, Klimt, Klinger, von Stuck, Khnopff e gli Scandinavi di varie tendenze come Zorn, Larsson o addirittura Munch, abbiano influenzato gli italiani, che ne hanno subìto il fascino o che ne hanno abbracciato con convinzione ed efficacia le suggestioni.
La mostra, che sarà allestita in Palazzo Roverella a Rovigo dal 22 febbraio al 22 giugno 2014, è curata da Giandomenico Romanelli ed è promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi.
Per questa grande rassegna sono state selezionate un gruppo di opere fondamentali nel tracciato della scelta ‘nordica’ delle prime Biennali, proprio quelle che, suggestionate da alcuni riconosciuti capiscuola – su tutti spicca Arnold Boecklin – hanno determinato scelte e linee artistiche e culturali destinate a segnare indelebilmente anche il percorso condiviso e le differenti tendenze nell’arte italiana del primo Novecento, come si potrà vedere in mostra. Il percorso è suddiviso in diverse sezioni: Centauri, Tritoni, Sirene dalle Alpi alla Laguna; Dal Simbolo alla Natura: Gente del Nord; La Poesia del Silenzio; Il Paesaggio dell’Anima: Neve e Fiordi, il Tempo e le Stagioni; Le Maschere e i Volti; Venere senza Pelliccia; Virtuosismi in nero. La mostra prende il via dal racconto delle prime Biennali e dalla loro evoluzione: da vetrina dell’arte storica e pompier al trionfo del Simbolismo con successiva forte attenzione alle Secessioni di Monaco, Vienna, Darmstadt e alle conseguenze sui vari filoni dell’arte italiana, specie nei territori ‘di frontiera’ come il Trentino, il Friuli e l’area triestina, impegnati anche politicamente in una sorta di mediazione culturale di singolare originalità. La mostra presterà un’attenzione particolare al momento ‘svizzero’ della cultura tedesca – con Boecklin e Hodler- così come ai grandi viennesi e tedeschi – Klimt, Klinger e von Stuck- impegnati tra evocazioni mitologiche e dense interpretazioni simboliste dei miti non meno che della vita e dell’anima della belle époque mitteleuropea. Il Paesaggio, nelle sue valenze interiori e in tutte le sue sinfoniche coloriture sarà presente nella inquieta e silenziosa natura nordica, così propria e inconfondibile in tanta arte scandinava, fatta di distese innevate e di fiordi e spiagge in cui la luce dipinge i più suggestivi paesaggi spirituali. Poi uno sguardo agli interni domestici: a spazi avviluppanti, a universi raffinati e composti, a proiezioni di sentimenti per proseguire con il capitolo Maschere e ritratti in cui la figura umana, concepita tra tradizione accademica e indagine interiore, si fa carico dei nuovi strumenti di conoscenza e descrizione delle psiche nelle sue molteplici e contraddittorie valenze. Nella sezione Venere senza Pelliccia risalta l’ attenzione particolare, non più unicamente accademica o da atelier, riservata al corpo femminile in nudi di provocante sensualità ( per molti versi in sintonia con i percorsi letterari della belle époque mitteleuropea in torbide atmosfere di seduzione) o in una ritrovata armonia con la natura e il plein air (come in Zorn). E per concludere la sezione Virtuosismi in nero, in cui le peculiarità dell’incisione e la ricchezza degli inchiostri trova sorprendenti e virtuosistiche applicazioni in cicli narrativi di straordinaria suggestione, magari partendo dalla tradizione cinquecentesca e approdando a soluzioni cariche di pathos e mistero (non a caso le Biennali avranno a lungo la sezione del ‘bianco e nero’ e dell’incisione cui parteciperanno i maggiori artisti del momento, come Knopff, Klinger e Munch o Alberto Martini, tutti presenti in mostra).
Quello proposto è dunque un percorso intellettuale, prima ancora che artistico, di enorme fascino, ricco di infinite sfaccettature, frutto di sensibilità diversissime. E proprio per questo seducente e, oggi, ineludibile.
Scrive Romanelli: “si pensi solo, per citare uno dei nodi più intricati e, insieme, più affascinanti, al groviglio di tematiche che si agita attorno a personalità quali Boecklin e Klinger; e poi però, seppur per strade diverse, a Stuck e De Chirico, Savinio e lo stesso Klimt; e gli agganci letterari e filosofici da Nietzche a Burckhardt; ma anche Bachofen e von Hofmannsthal e addirittura D’Annunzio. Qui la cifra esoterica si mescola in poeti e visionari con un’ insaziabile sete di classicità pagana non meno che di sprofondamenti della coscienza dentro abissi mistici piuttosto che in religiosità nere e blasfeme, come in Khnopff e soprattutto in Rops”.
E da noi? Che succede e quali linee traversano e tagliano la nostra pittura e scultura in questi anni? In che consiste, infine, questa ‘ossessione nordica’ che seduceva (con prudenza!) Vittorio Pica? E attraverso quali esperienze passava?
Basterebbero alcuni nomi che ci saranno in mostra: da De Carolis e i dannunziani, a De Maria – il ‘pittore delle lune’, per restar con D’Annunzio -; dal grande Sartorio a Laurenti fino, lontano lontano, a Bonazza, quasi un Hodler di periferia, se pur assai dotati e spesso ironici; per finire, tralasciando altri nomi di spicco, con il più klimtiano dei paesaggisti nostrani, Wolf Ferrari, elegante, raffinato, provinciale di gran lusso.
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STUDIO ESSECI
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