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da MOSCA – Il particolare fa la differenza, il particolare che è tale per non distogliere mai l’occhio da esso. Vedere l’insieme distrarrebbe l’attenzione dello spettatore dal punto che si vuole evidenziare. Bisogna vedere solo quel particolare, concentrarsi su un momento, su una parte che parla da sé.
Questa l’intenzione di Mikhail Rozavov, fotografo russo, classe 1973. Questa la lettura dell’esposizione al Museo di Mosca di un artista formatosi alla Facoltà di storia dell’Università statale di Mosca e alla Nuova accademia delle arti fondata, nel 1989, dal celebre filosofo-designer-pittore Timur Novikov. Fotografo dall’età di 21 anni, Rozavov è autore di molte opere conservate presso i principali musei moscoviti, come il Puskhin, il Museo statale russo, la Casa della fotografia di Mosca o il Museo Shchusev dell’architettura. La mostra s’intitola “Chiarezza dell’obiettivo”, traduzione imperfetta, forse, del suo originale ‘Yasnost tseli’. Precisione del particolare, messaggi chiari, netti, inequivocabili e diretti dell’architettura sovietica. Questo il senso. La scelta dei soggetti che l’obiettivo immortala rappresenta un elemento tipico di molta fotografia russa moderna e sovietica: onestà visiva e approccio coerente, centrato e sicuro.
Nelle sale ben illuminate e ordinate, sulle quali vigila la consueta severa babuschka, si ammirano immagini in bianco e nero di parti dell’architettura e della scultura monumentale sovietica degli anni ‘30-‘60 che si può ammirare passeggiando per Mosca. Arte che non era solo un monumento ad un’epoca ma che voleva illustrare gli ideali sociali dei leader politici di allora.

chiarezza-intentiIn questa bella mostra, ci si concentra su singole componenti di un tutto sconosciuto, su dettagli che offrono la libertà di trovarsi in uno spazio che lascia la fantasia immaginare e fantasticare sul tutto. Se questo pare in antitesi con l’intento dei creatori originali, che con opere monumentali di tal genere volevano sicuramente colpire lo spettatore con la grandezza stessa (fatta anche d’ispirazione all’antica Roma o allo stile di Napoleone Bonaparte), l’occhio al particolare ci fa riflettere al vero significato dei simboli evidenziati. Basta soffermarsi su di essi e non vedere altro intorno.

chiarezza-intentiSpesso, infatti, quando si vede un grande edificio o ponte sui quali campeggiano le immancabili falce martello, non si fa caso al fatto che accanto a esse vi sono motorini, arnesi di vario tipo che simboleggiano il lavoro e l’industria o ghirlande di erbe, fiori o grano, che rappresentano la terra e l’agricoltura. Il concetto della ‘fertilità’ russa qui è rappresentato non solo dai frutti della terra ma anche dal lavoro meccanico e elettrico. Il progresso. O meglio, ordine, terra e progresso.

Le immagini sono astratte dal loro ambiente, l’arte umana è tale anche se ‘liberata e depurata’ da ogni forma di propaganda politica. Così le statue di donne eleganti, che ricordano le antiche forme romane o greche, esaltano la bellezza, la determinazione e la forza della stessa figura femminile, qualità universali della donna, indipendenti dal sistema politico nel quale sono inserite.

chiarezza-intentichiarezza-intentiC’è dell’utopia, però, in quelle opere monumentali dell’era sovietica, in quelle simmetrie imponenti e devote, in quella perfezione effimera, come dice lo stesso artista: “L’architettura sovietica è bella e impressionante, ma oggi comprendiamo che tutta quella gloria era giusto una favola, e che tutti quei capolavori non erano altro che una decorazione di una felicità che non sarebbe mai divenuta realtà. E’ una storia sull’irrealizzabilità della felicità”. Rozanov, comunque, mette sempre al centro dei suoi lavori il cosmo, la ricerca dell’uomo del suo spazio in esso, la relazione con esso. Intendendo con cosmo il sistema ordinato e complesso dell’universo, in netto contrasto con il caos. Anche in questa mostra l’uomo cerca il suo posto, il suo ruolo, i suoi simboli, il suo spazio nel mondo.
Lo stile minimalista di Rozanov ci piace, così come ci piace il fatto che non ci siano titoli alle fotografie. Inizialmente li si vorrebbe e li si cerca disperatamente, poi si comprende che non servono, perché immagini e simboli parlano da sé. Intento chiaro, dunque, e obiettivo raggiunto, soddisfazione estetica, intellettuale e filosofica garantite.

Fotografie per gentile concessione dell’autore, tramite l’ufficio stampa del Museo di Mosca che ringrazio. In particolare Anastasia Fedorova.

La mostra è visibile al Museo di Mosca, dal 23 gennaio al 1 marzo 2015, mosmuseum.ru

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


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