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di Maurizio Andreotti*

Anche se non può essere paragonata al richiamo dell’EXPO di Milano di prossima inaugurazione, proprio cinquant’anni fa pure Ferrara balzò alla notorietà internazionale con EUROFRUT ’65, seconda edizione della biennale frutticola (anche se la prima nel ’63 fu in tono minore), e rese la città, per tutte le volte che la manifestazione fu replicata, capitale europea delle mele e delle pere.

Queste colture erano riuscite ad avere un ruolo centrale nell’agricoltura e nell’economia locale, con un forte incremento proprio nei decenni del secondo dopoguerra.
Dai dati statistici del 1970, nella provincia di Ferrara, le dimensioni di questo comparto frutticolo erano veramente notevoli: quasi 14.000 erano le aziende che coltivavano mele e pere su una superficie di 40.000 ettari (nell’ultimo censimento del 2010 erano circa 3.000 per 12.000 ettari).
Pero e melo avevano bisogno mediamente di 500 ore di manodopera per ettaro, di cui circa la metà solo per la raccolta, impiegando stabilmente quella aziendale ma pure tanta avventizia (a quell’epoca rigorosamente locale, con una grande componente studentesca).

Anche l’indotto aveva grandi dimensioni, basti pensare che il locale Consorzio Agrario Provinciale (CAP), fornitore di servizi e mezzi tecnici, aveva 80 filiali, più numerose rispetto al numero dei campanili presenti sul territorio. Il CAP inoltre gestiva una propria banca, la Banca Credito Agrario che, quando venne assorbita dalla Cassa di Risparmio di Ferrara nel 1994, contava 33 sportelli.
La collocazione della frutta sui mercati era assicurata da strutture commerciali in parte cooperative (molte promosse dall’Ente Delta Padano) ma soprattutto private, che potevano contare pure sull’attività di numerosi mediatori, personaggi che avevano il compito di interfacciare la domanda e l’offerta, molto frammentate in particolare la seconda.
Questi operatori erano soliti aspettare i frutticoltori in piazza a Ferrara al lunedì mattina e le contrattazioni avvenivano all’aperto o seduti ai tavolini dei caffè del centro. In tempi più recenti tale attività era passata nei saloni d’ingresso, e attorno al bar, del Centro Operativo Ortofrutticolo di via Bologna. Anche se l’affluenza degli agricoltori era molto alta, era sempre un’occasione per conoscere le dinamiche delle produzioni e dei prezzi, non sembra che beneficiarne fossero i gestori dei bar o delle trattorie del centro, in quanto le consumazioni erano molto ridotte, se non proprio evitate.

Forse a beneficiare maggiormente di questo afflusso del lunedì dalla provincia al centro cittadino potevano essere le attività che si svolgevano attorno a via delle Volte, oppure attorno a via Concia (non era stata sufficiente nel lontano 1908 il cambio del nome da via Sconcia, su richiesta dei residenti per scongiurarne la cattiva fama) e via della Quaglia, vie che non erano proprio assimilabili alla zona del De Walletjes ad Amsterdam in Olanda ma in qualche modo la evocavano.
In quegli anni era da poco in atto la Legge Merlin del 1958, che stabiliva la chiusura delle case di tolleranza, ma in queste zone della città, qualche indirizzo più o meno clandestino era rimasto.
Per la maggioranza dei nostri frequentatori l’intento non era quello di “concludere”, ma di percorrere avanti e indietro queste vie e respirare quel clima così “trasgressivo”, difficilmente ripetibile nei paesi di provenienza, tanto che per molti, che facevano il giro in via delle Volte, il pomeriggio si concludeva poi nel vicino cinema Diana di San Romano dove rigorosamente c’era una doppia programmazione. Ancora oggi nei modi di dire ferraresi è rimasto un “ma và a la quaja!” per mandare al diavolo qualcuno.

Era in autunno, alla vigilia delle raccolte, che l’attività dei mediatori diventava più frenetica, oltre che aspettare gli agricoltori in piazza, si aggiravano pure nelle campagne in cerca di frutta e di clienti a bordo di macchine di grossa cilindrata, di regola di fabbricazione tedesca.
Conoscevano le evoluzioni del mercato della frutta, e se si chiedeva loro come stessero andando gli affari, facevano una smorfia, agitavano la mano per indicare all’incirca e rispondevano con un laconico “set darset”, range molto ampio, che diceva tutto e niente.
Le varietà più coltivate per le mele erano: “Delicious rosse”, “Imperatore”, “Abbondanza” e “Golden Delicious”.
Mentre per le pere le varietà più importanti erano la “William” (di cui si sfruttava pure l’attitudine ad essere trasformata industrialmente) e la “Passa Crassana” seguite poi dalla “Kaiser”, dall'”Abate Fetel” e dal “dr Guyot”.

Ma proprio negli anni ’70 iniziò un lento e costante declino, in quanto aumentarono le zone di produzione frutticola sia in Italia che all’estero.
Le mele coltivate a Ferrara, generose dal punto di vista produttivo, mostravano grossi problemi di qualità e di conservazione rispetto a quelle prodotte nelle nuove realtà.
A livello nazionale, le mele coltivate in collina e in montagna sono riuscite a realizzare standard qualitativi superiori rispetto a quelle presenti in pianura: la cura dell’immagine e della promozione ha garantito loro una superiorità commerciale che è continuata fino ai giorni nostri.
Diverso il discorso per le pere, dove nel tempo è sparita la “Passa Crassana” ma si è consolidata l’”Abate Fetel”, che ha dimostrato caratteristiche di qualità migliori in pianura.
Questa varietà è in pratica coltivata solo fra Ferrara (con la superficie maggiore), Modena, Bologna e Ravenna, dal 1998 può fregiarsi del riconoscimento europeo di IGP (identificazione geografica protetta) ed è diventata un pregiato biglietto da visita dell’agricoltura regionale nel mondo. Chissà che non possa riportarci agli antichi fasti di Eurofrut. Anche per questo si guarda con interesse a Futurpera, la fiera della pericoltura che si terrà nella Fiera di Ferrara dal 19 al 21 novembre 2015.

* agronomo ferrarese e studioso di agricoltura e tradizioni locali

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foto di Cinzia Pagnoni
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