L’INTERVISTA
Roberto Scozzi, l’Anonimo italiano: “Ogni disco è un nuovo mondo”
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Roberto Scozzi, alias Anonimo Italiano, ha esordito sulla scena musicale nel 1995 con “E così addio”, un brano diventato subito un successo, così come l’album intitolato semplicemente con il suo nome d’arte. Il personaggio suscitò un grande interesse perché si esibiva in forma anonima, grazie a una mascherina sul viso, inoltre, la sua voce ricordava, seppure con sfumature diverse, quella di un noto cantante. Quel primo album vendette 120.000 copie, ottenendo il disco di platino, poi l’artista romano pubblicò “Buona fortuna”. In coincidenza con questo evento decise di uscire dall’anonimato e si propose come Anonimo italiano/Roberto Scozzi. Negli anni successivi ha realizzato altri tre album: “Dimmi che ami il mondo” (2002), “L’infinito dentro noi” (2006) e “Five” (2013) uscito dopo sette anni di silenzio discografico e impreziosito dal duetto con Amedeo Minghi nel brano “L’aquilone”.
In questi giorni è uscito “Diario di un amore” un best album, prodotto da Maurizio Verbeni per l’etichetta Primamusica Italiana che contiene il meglio della produzione musicale dell’artista, con otto versioni originali rimasterizzate più due inediti: “Diario di un amore”, scritta con Andrea Amati e “E mi manchi sempre tu“ di Pietro Cremonesi e Federico Cavalli, gli storici autori di Laura Pausini. I nuovi brani si avvalgono della collaborazione di validi musicisti come Cristiano Micalizzi, Nicola di Già, Fabio “Biko” Vaccaro ed Enzo Rossi.
Come nasce “Diario di un amore”?
Volendo realizzare questa raccolta ho pensato che potesse essere come un diario, una serie di appunti e frammenti di storie d’amore. Un pomeriggio, mentre facevo tutt’altro, ho avuto l’idea del titolo del nuovo brano: “Diario di un amore”. Ho chiamato subito Andrea Amati e insieme abbiamo scritto la canzone. Il video clip è stato realizzato da Alfonso Alfieri per la “ViewPro”, in una location molto particolare: un vecchio albergo, ora abbandonato, costruito all’inizio del ‘900.
Un musicista (per fortuna) non vive di sola televisione, tu cosa hai fatto negli anni in cui sei stato un po’ lontano dai riflettori?
Sono stato lontano dai “riflettori” televisivi ma non sono mai stato dimenticato dal mio pubblico e dalle tante persone che mi amano. Continuo il lavoro dei live, dei concerti, degli showcase, cercando di fare sempre solo cose belle, di non svendermi. E’ questo il lato più difficile ma anche il più serio del mio lavoro. Cerco soprattutto di non andare in giro per due soldi; solitamente evito feste, party e quant’altro perché non canto gratis. Questo significa rispettare il proprio mestiere e ciò in cui si crede.
Come mai un silenzio così lungo tra “L’infinito dentro noi” del 2006 e “Five” del 2013?
Semplicemente perché ho sempre pensato che un’artista debba pubblicare un nuovo lavoro soltanto quando ha qualcosa da comunicare, un po’ come si faceva una volta. I dischi belli non si realizzano in sei mesi oppure per contratto, si scrivono e si pubblicano quando si è maturato in se stessi un “nuovo mondo” che si vuole raccontare. Ritengo che sia bella anche l’attesa, il lasciar passare del tempo fra un discorso musicale e un altro, senza l’urgenza di apparire. Questo ti fa apprezzare di più anche dal tuo pubblico, ti consente di assaporare meglio le cose che fai per loro e per il tuo lavoro.
Cosa rappresenta per te oggi la famosa maschera che indossavi agli inizi della tua carriera?
La maschera è un “ricordo romantico” di quel periodo. La indossai anche perché ero troppo timido, in fondo ero una specie di “fantasma del palcoscenico” del pop, un sogno, un’emozione senza corpo o identità. La mia bauta (maschera del carnevale di Venezia) d’argento ora è custodita nella bacheca, insieme ai miei dischi e ai ricordi più belli di quel periodo.
Nell’attuale situazione del mercato discografico pubblicare un nuovo album rappresenta una vera e propria sfida, ritieni che la qualità possa fare la differenza?
Ho sempre pensato che il mercato discografico attuale fosse ormai un po’ saturo di prodotti, diciamolo, anche ‘inutili’. Non voglio certo mettere il mio album al primo posto ma il proliferare di cover denota, secondo me, un momento di mancanza di fantasia. Bisognerebbe tornare a pensare alla canzone non come a un semplice prodotto usa e getta ma a una cosa preziosa che racconta l’artista in un momento particolare della sua vita. Per questo motivo si dovrebbe realizzare un nuovo disco, evitando, inoltre, di utilizzare la lingua italiana in modo banale, sciatto e senza poesia. Per far questo, una volta, esistevano autori quali Mogol, Giancarlo Bigazzi, Paolo Morelli e altri, che scrivevano stupendi testi e non parole brutte scopiazzate dai telegiornali o da slogan messi a caso.
Progetti per il 2015?
Quest’anno sarò di nuovo in giro per concerti con “Diario di un amore Tour”, faremo qualcosa anche all’estero, molto probabilmente negli Stati Uniti. In ballo c’è un duetto importante ma questa, per ora, è una sorpresa…
“Diario di un amore”, video ufficiale [vedi]
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William Molducci
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