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5 Febbraio 2014

Entro e non oltre

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entro-non-oltre

Perché sentiamo l’esigenza di dire due volte la stessa cosa? “Entro e non oltre”… Diavolo, ma perché siamo italiani! In qualsiasi luogo civile del mondo basterebbe dire “entro”: se è “entro” una certa data che va fatta una determinata cosa è ovvio che quella cosa dovrà essere fatta “non oltre” il termine prescritto. Certo, in ogni luogo civile del mondo. In Italia no.
L’Italia, come è noto a tutti, è una Repubblica fondata sulla deroga. Ciò che in teoria si dovrebbe fare “entro”, in pratica lo si può fare anche dopo. Ecco la necessità, certo pedantesca e burocratica, ma anche antropologicamente fondata, di ribadire: ti avverto che stavolta non sto scherzando, faccio sul serio, quella roba lì va fatta davvero, non puoi come al solito fregartene della scadenza…
Il problema è che anche “entro e non oltre” è diventata una trita formula. Ci passa attraverso senza neppure che ci facciamo caso, al punto da non notare neppure la ridondanza. E così anche “entro e non oltre” è divenuto insufficiente. Infatti capita sempre più spesso di leggere negli avvisi il monito aggiornato: “assolutamente entro e non oltre”, “improrogabilmente entro e non oltre”. Ammirevole! Ma è tutto inchiostro sprecato: siamo italiani…

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada


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