di Michele Balboni
Il tango più povero è stato il tango più bello. “Che un vento pampero soffi sulla piazza” aveva detto poco prima, e il Suo auspicio si è realizzato subito al termine dell’udienza: la nostra musica già nell’aria ci ha guidati verso la piazza. La voglia di ballare e stare insieme è straripata su viale della Conciliazione interrompendo il traffico, e le auto di Roma – solitamente numerose ed invasive come le cavallette – hanno deviato i loro percorsi, rispettose dei divieti e delle transenne e forse anche della nostra passione. L’emozione, la gioia, la magia non si vedono né si toccano ma esistono eccome e sono state presenze forti, anche se impalpabili, in questa piazza Pio XII. Il tango si è liberato di ogni orpello, gradevole ma comunque superfluo. L’essenziale era ballare e abbracciarsi. Era difficile mantenere l’eleganza e impossibile eseguire le figure che ci sforziamo di imparare nei corsi perché il pavimento di sampietrini non le tollerava, le bellissime scarpine femminili con i tacchi alti non potevano nemmeno essere proposte. Si ballava con i cappotti addosso e gli zainetti o le borsette sulle spalle. Poi la voglia di stare più in contatto ha avuto la meglio e in tanti abbiamo abbandonato i vestiti pesanti a terra, formando così cumuli che delimitavano una sorta di pista, dando indicazione sulla circonferenza da seguire nella ronda. Né esisteva differenza tra professionisti, maestri, ballerini bravi, principianti, finanche neofiti perché così agghindati e con quel pavimento l’unica cosa davvero praticabile era l’abbraccio a tempo di musica. E si poteva immaginare che quando è nato e cresciuto, laggiù dove le stagioni sono invertite rispetto a noi, in quegli anni d’oro, il tango fosse proprio così: tutti ballavano, uguali di fronte al tango, spontanei e liberi, e magari lo facevano per strada. La passione di tanti, l’amore per questo ballo, la voglia di vivere insieme una emozione, tutto ciò ha animato il gruppo. O forse è stato il pensiero che probabilmente Lui era là, dietro le tende del Suo studio lassù in alto a guardarci e – chissà ? – ad invidiarci, così liberi e festanti, E forse non solo Lui ci ha guardato. Venivamo da tutta Italia e anche da altre parti del mondo, eterogenei nelle abilità e negli accenti, ma uniti nella voglia di ballare un abbraccio collettivo e nell’intenzione di mandare un messaggio di pace. Le parole della nostra lettera “…dove ci sono gli abbracci, non ci sono le guerre, e l’essenza del tango è l’abbraccio: che sia un abbraccio di Pace.” sono state vere più che mai e rappresentano un messaggio che abbiamo mandato a Colui che ci ospitava. E se, come scrive Elias Canetti, la rivoluzione è la mobilitazione di energie collettive, la nostra in quel giorno, in quel luogo, al suono di quella musica, è stata una breve rivoluzione di pace, portata da quel vento della pampa. E’ stata un’ora incredibile, la mia milonga più bella da quando il tango mi ha toccato. Porterò sempre con me questo ricordo. Un ringraziamento a chi lo ha permesso e a chi era con me.
Il 17 dicembre scorso in piazza San Pietro si è ballato il tango per festeggiare il compleanno di papa Francesco
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Redazione di Periscopio
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