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Chi paga le tasse in Italia? E chi non le paga?

L’Europa (e anche l’Italia) differisce dal modello americano perché si pagano più imposte, in cambio di più servizi (welfare) come sanità, scuola, pensioni e molti altri sussidi a favore dei più fragili e bisognosi. Per questo, gli immigrati, sono attratti dai paesi nordici (Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia) ma anche da Germania e Gran Bretagna che hanno forti welfare a favore dei più fragili e dove quindi le disuguaglianze sono minori.

Negli Stati Uniti si pagano meno imposte ma chi evade è fortemente perseguito al punto che un terzo dei detenuti lo è per evasione fiscale, mentre in Italia non c’è nessuno in prigione per aver evaso il fisco. Ma gli Stati Uniti non sono stati sempre così, sia nel periodo del New Deal sia negli anni ’50 si pagavano molte imposte se eri ricco e l’aliquota saliva all’80% per quei redditi che superavano la soglia dei 400mila dollari all’anno.

In Italia le entrate tributarie sono circa 860 miliardi, dei quali 295 sui consumi (iva,…), 301 sui redditi (205 di Irpef, 52 da Ires/imprese, poi addizionali locali) e 264 da oneri sociali pagati da imprese e lavoratori per pensioni e sanità. Le entrate tributarie dell’Irpef (sul reddito) sono basse anche perché circa 100 miliardi sono di detrazioni per casa, salute e altre spese, di cui usufruiscono in maggior misura i redditi medio-alti.

Le imposte sui consumi sono pagate da tutti ogni volta che acquistiamo e sono regressive, nel senso che pesano di più su chi guadagna meno.
Quelle sul reddito sono pagate per l’83% da pensionati e dipendenti (che non possono evadere in quanto hanno una trattenuta alla fonte), mentre i 5,8 milioni di lavoratori autonomi hanno un’altissima evasione stimata al 68% di quanto dovrebbero dichiarare: su 100 euro ne dichiarano in media 32 (fonte Agenzia delle Entrate, vedi la tabella sottostante)

Ciò spiega perché in Italia l’evasione fiscale sia stimata al 10,8% del gettito, mentre nella media UE è la metà (5,3%). Lo Stato italiano è gravato quindi da due zavorre: 1) 83 miliardi di evasione fiscale; 2) da 100 miliardi di interessi che paga sul debito pubblico. Quasi la somma della spesa per scuola e università (80 miliardi) e della sanità (130 miliardi).

Meno imposte, più crescita? Un’illusione

I partiti di destra sostengono che con meno imposte si rafforzerà la crescita economica. In realtà solo in alcuni casi ciò avviene quando, per esempio, imprese e lavoratori autonomi e professionisti, pagando meno imposte, fanno più investimenti o pagano salari più alti.
Nelle società dove c’è un alto senso civico pagare tutti meno tasse potrebbe in effetti produrre più sviluppo, anche se l’esperienza di 50 anni dice che ciò non è mai avvenuto e quasi sempre si è usata l’elusione fiscale (legale, cioè leggi con cui si paga meno) e l’evasione (illegale) per aumentare il proprio patrimonio immobiliare (sono 5,7 milioni le seconde case in Italia) o mobiliare (depositi in banca, azioni, obbligazioni,…).
Così si spiega perché gli italiani posseggano uno dei patrimoni liquidi (solo di depositi bancari 1.572 miliardi, senza considerare azioni e obbligazioni) maggiori al mondo. Patrimonio che però si concentra tra i ceti ricchi e abbienti, i quali si sono arricchiti pagando anche meno imposte. Il risultato è: Stato povero, maggioranza degli italiani poveri e una minoranza (20-30%) abbienti e ricchi. E lo si vede bene nelle imposte sull’eredità che da noi sono 10 volte inferiori a quelle di Stati Uniti, UK, Germania e Francia.

Da 30 anni i ricchi di tutti i paesi, grazie alla globalizzazione, o non pagano imposte sfruttando i vari paradisi fiscali o pagano sempre meno, a causa della concorrenza che i paesi si fanno tra loro per attrarli (in assenza di una regola internazionale). La UE ha imposto all’Irlanda di incassare almeno 13 miliardi di mancate imposte di Apple negli ultimi 15 anni. Così il nostro bravissimo e umile Sinner non paga le imposte in quanto residente a Montecarlo e i gli eredi Luxottica (come gli altri ricchi) pagano una cifra irrisoria di eredità.

La tendenza in tutti i paesi occidentali è ridurre le imposte sul reddito in modo però da far crescere quelle sui consumi (iva) salita in Italia al 22%.

L’attuale Governo Meloni riduce le imposte di qualcosina a 31 milioni di contribuenti dipendenti (quelli con redditi fino a 35mila euro all’anno) e favorisce col concordato anche tutti i 5,8 milioni di lavoratori autonomi. Professionisti e imprese che hanno fatturato quest’anno molto più che nel 2023 possono dichiarare un aumento “presunto” del 10% dei loro redditi, anche se nella realtà li hanno raddoppiati. Inoltre a chi concorda un imponibile anche di poco superiore a quello del 2023, si apre l’opzione di versare un’aliquota ridotta – fra il 10% e il 15% – sanando con un condono tutte le controversie aperte relative agli anni 2018-2022. Opzione offerta a chi ha una bassissima fedeltà fiscale, cioè a evasori sistemici.
Una proposta poco astuta, in quanto da un lato lo Stato rinuncia a future entrate e chi non si aspetta forti aumenti di reddito non aderirà. Se “pizzicati” dal fisco sanno di cavarsela in quanto prima o poi pensano che arriverà un altro concordato (ne sono stati fatti 10 negli ultimi 15 anni). E ciò spiega perché il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini se ne sia andato (“…che ci sto a fa”).

Pagando meno tasse ed evadendole ci sono però alcuni “effetti collaterali”.
Il primo riguarda il ceto medio e alto dei dipendenti (7-8 milioni, quasi un quarto dei contribuenti) che vede crescere il suo contributo al totale delle imposte sul reddito (73% del totale).
Anche i pensionati con più dii 2mila euro al mese sono penalizzati perché sono indicizzate all’inflazione solo per il 25% e quindi anno, dopo anno, perdono potere d’acquisto. Infine non ci sono soldi per scuola, sanità e altri sussidi.

Scuola e sanità pubblica  allo sbando

La scuola e l’università versano ormai in uno stato di coma che ben conosce[1] chi ci lavora e di cui si parla poco perché, anche se ci fossero più risorse, lo stesso centro-sinistra non sa bene come spenderle (e infatti manca una proposta). Il vecchio modello educativo (specie alle superiori) è entrato completamente in crisi con studenti resi più abulici dall’uso delle app degli smartphone e indisposti a stare in classe ad imparare. Il che sta producendo un terrificante abbassamento dell’apprendimento (metà studenti sono scarsi in matematica e italiano) e l’ultima indagine Pisa dice che i nostri laureati ne sanno quanto i diplomati finlandesi.

Nella sanità la situazione è in peggioramento costante da 15 anni e sono ormai un terzo (41 miliardi) le spese che paghiamo per cure private…chi se lo può permettere di non aspettare mesi per le cure nei servizi pubblici. I poveri (7,6% della popolazione) invece non si curano più non potendo permettersi queste spese.

Se questa tendenza prosegue il sistema sanitario sarà sempre più privato (all’americana), con assicurazioni per chi può permetterselo, sapendo però che ciò comporta (per tutti) spese maggiori.
Negli Stati Uniti un’assicurazione media costa 6mila dollari all’anno per ciascun cittadino (noi ne spendiamo a testa in media 1.915 di imposte), ma spesso non consente le cure più costose e ciò spiega il consenso di massa che ha avuto tra gli americani l’omicida Luigi Mangione che ha assassinato il capo di una grande assicurazione sanitaria perché una delle pratiche diffuse nelle assicurazioni Usa (quotate in borsa) è quella che, dovendo garantire profitti agli azionisti, tagliano le cure troppo costose ed hanno una ipertrofica burocrazia (3 impiegati per medico, mentre in Italia abbiamo 3 medici per ogni impiegato amministrativo).

In un paese come l’Italia dove crescono le disuguaglianze e triplicano i poveri assoluti (da 2,1 milioni del 2006 a 5,7 del 2023) e quelli relativi (da 6,5 milioni a 8,6), afflitto da bassi salari e da una crescita di occupati solo in settori poveri (turismo, edilizia, servizi poveri), da una crisi industriale sempre più grave, da un ceto medio sempre più povero e imbufalito, potrebbe succedere al Governo Meloni (al di là dei consensi attuali) quello che è già successo a Renzi e al M5S.
Non è però chiara la ricetta dell’opposizione, vincolata da un’Europa che esige una crescente austerità fino al 2032 e con pulsioni UE-Nato al riarmo passando dall’attuale 1,57% del PIl al 3% (da 30 a 60 miliardi). Col clima che peggiora e un debito pubblico cresciuto (a valori costanti) di 53 miliardi all’anno dal 2008 al 2024, non si sa dove trovare i soldi…a meno che non si cerchino tra chi li ha. La ricetta mainstream è sempre la stessa (tecnologia & innovazione e globalizzazione) che ci ha portato fin qui.

Ma un recente studio della Luiss[2] mostra che l’investimento in scuola, sanità e protezione sociale è uno dei fattori che spiega la differenza nella crescita del reddito pro-capite, in quanto accresce il “capitale umano” generando effetti sulla produttività del lavoro e maggiore uguaglianza di opportunità. L’Italia dal 2000 al 2020 ha investito la metà (0,5%) della media UE, deteriorando il suo welfare. Nella scuola spendiamo il 4,1% del PIL e, insieme a Bulgaria, Grecia, Romania, siamo tra chi spende meno in UE. Nella sanità siamo precipitati. Ma noi insistiamo con tecnologia & innovazione, austerità e ora col riarmo. Sarebbero le basi del nostro sviluppo umano. Poveri noi.

Note:
[1] Jonathan Haidt[1] (La generazione ansiosa) la chiama la “grande Riconfigurazione”. L’introduzione dello smartphone dal 2008 ha portato l’infanzia (e adolescenti) a crescere basandosi sul telefono anziché sul gioco libero. I danni sui nostri giovani sono di portata gigantesca e spiegano, più ancora dell’economia, perché Russia, Cina e BRICS scommettono sul declino dell’Occidente.
[2] Institute for European Analysis and Policy (LEAP), presieduto da Valentina Meliciani, ordinario di Economia applicata alla Luiss su un campione di paesi della UE dal 2000 al 2022.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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