SABBIA. RIFLESSIONI SU DI UN MONDO IN EROSIONE.
Il diametro di un granello di sabbia può variare da 0,063 millimetri fino a 2. Di più piccolo c’è il limo e poi l’argilla. I granelli fini danno vita a una sabbia soffice come la polvere delle spiagge caraibiche mentre le altre sono più terrose. Toccando la sabbia si fa fatica a pensare che si tratti del prodotto finale di una degradazione secolare di rocce combinate con dei frammenti di cristalli e altri tipi di sedimenti. Ci possono essere anche frammenti di conchiglie o di scheletri di piccoli organismi. Se è bianca e finissima, come nelle spiagge delle Maldive, potrebbe essere anche la trasformazione degli escrementi dei pesci pappagallo che mangiando i piccoli crostacei, che formano le barriere coralline, defecano una sabbiolina bianca che le correnti portano sulle spiagge. Un grande pesce può produrre fino a 300 kg di sabbia all’anno.
Camminando sulla spiaggia di Volano, penso a questo mentre osservo la sabbia terrosa, che ricordo un tempo fine e bianca. Una sabbia terrosa alimentata dai ripascimenti che sbancano i non eterni cordoni deltizi sotterranei. Un giorno finiranno, dove andremo a prendere la sabbia per ripascire la costa erosa?
I territori deltizi sono dei luoghi di accumulo mutevole dei sedimenti portati dai fiumi, che si formano perché le condizioni idrauliche non sono così dinamiche da disperderli. I terreni che vediamo in superficie sono solamente delle componenti di un sistema molto più articolato e complesso formato anche da un “delta” subacqueo, che costituisce una riserva di sabbia. Si tratta di accumuli e anche di ecosistemi portatori di biodiversità utilizzati in molte parti del mondo, e anche da noi, come cava per i ripascimenti o per il commercio della sabbia. Si tratta di una visione ambientalmente folle che ha contribuito a generare la “crisi sedimentaria” in corso, che reitera la distruzione di questi ecosistemi marini distruggendone la biodiversità, rendendo instabile un sistema che si basa su equilibri mutevoli, in particolare ora che i fiumi portano sempre meno sedimenti al mare.
Un mondo che si regge sulla sabbia
La sabbia è la risorsa più usata nel pianeta dopo l’acqua dolce, non è infinita e spesso si muore per accaparrarsi e controllare questo “mercato”.
Di solito la associamo alle spiagge e alle dune, ai deserti, e anche alle costruzioni e al cemento. In realtà, la sabbia la troviamo nei dentifrici in forma di biossido di titanio. Per produrre metalli nelle fonderie si usa la colata di sabbia silicea che si ritrova nelle spiagge, nelle dune sabbiose, nei letti dei fiumi e nei laghi o in particolari formazioni geologiche. Senza sabbia non c’è vetro, lo abbiamo scoperto grazie ai Fenici e agli Egiziani. L’acqua potabile passa attraverso dei filtri che contengono sabbia e la depurano mentre il silicone con cui abbiamo fissato il rubinetto al muro è anch’esso un prodotto della sabbia.
Insomma, viviamo in mondo che si regge sulla sabbia e non solo quella usata per le costruzioni. Ne usiamo ogni giorno 17 chili a testa, 50 miliardi di tonnellate di sabbia all’anno. Un ricercatore tedesco, interpellato in un programma della televisione culturale franco-tedesca “Arte”, dedicato alla sabbia, spazializza queste quantità dicendo che corrisponde metaforicamente ad un muro attorno a tutto l’Equatore, alto e largo 27 metri e lungo 40.000 chilometri.
Del resto nelle betoniere finisce l’80% della sabbia; quindi, non si tratta di una metafora fuori luogo. Il calcestruzzo non costa tanto ma contribuisce ad arricchire chi lo usa, usando la sabbia che dovrebbe essere un bene comune. Per costruire un chilometro di autostrada servono 30.000 tonnellate di sabbia e le urbanizzazioni del mondo, che diventano sempre più estese, consumano grandi quantità di sabbia.
Consumare un patrimonio milionario
Tale consumo è stato, e continua ad essere, velocissimo, ma il processo di sedimentazione può durare milioni di anni e quindi si tratta di un bene raro e il suo consumo è di fatto una rapina. Ma le sabbie non sono tutte uguali, quelle al silicio servono per i microchip e i pannelli fotovoltaici mentre quella del deserto è inutilizzabile per il cemento e il calcestruzzo, essendo troppo liscia e rotonda grazie alla levigazione del vento.
È dunque lecito chiedersi, quando si urbanizza ulteriore suolo, da dove viene la sabbia e inoltre è sostenibile estrarla? Il prelievo della sabbia è comunque una ferita all’ecosistema. Quanta sabbia è stata utilizzata per consentire la crescita delle metropoli del mondo o per rendere possibile la costruzione delle nuove città smart e green del Golfo Persico e altrove.
La sabbia è importante per regolare anche le correnti dei fiumi, togliendola cambia il corso del fiume, cambia la velocità di scorrimento delle acque, influisce sulla conformazione dei luoghi e può provocare esondazioni e erosioni. Un fiume densamente popolato come il Mekong in Indocina si modifica non solo per l’accrescimento del livello del mare ma anche per grande quantità di acqua che viene prelevata e per le enormi quantità di sabbia che si estraggono. Il prelievo con le chiatte della sabbia dei fiumi mette in pericolo le sponde e gli insediamenti e villaggi da secoli cresciuti lungo i fiumi, il fenomeno del dilavamento destabilizza fondamenta e infrastrutture mentre l’acqua marina risale mettendo a rischio le falde di acqua dolce.
Nel mondo ci sono 850.000 mila dighe che hanno alterato le dinamiche naturali di tantissimi fiumi. Questo ha cambiato il ciclo delle sabbie insieme all’irrigidimento delle coste che impedisce la formazione di nuovi banchi di sabbia.
Le nuove città green e il consumo di suolo acquatico
Non parliamo mai del fenomeno del consumo di suolo acquatico che avviene ampliando le città e restringendo gli spazi di baie e lagune come a Hong Kong o a Singapore. La città-stato asiatica ha ampliato il suo territorio grazie alla sabbia fornita dall’Indonesia e da altri paesi vicini, aumentando la superficie della città di 130 chilometri quadrati: un affare certamente redditizio economicamente ma che sta mettendo in crisi il mare del Sudest Asiatico.
A Dubai l’invenzione urbanistica che affascina gli occidentali (non solo) la Palm Jumeirah, la città isola a forma di palma, ha utilizzato 385 milioni di tonnellate di sabbia prese dai propri fondali e importata dall’Australia. Altre 46 mila tonnellate di sabbia sono servite per costruire il più grande grattacielo del mondo oggi ancora sfitto per il 30%.
Dubai e le città che gli stanno attorno, sono ammirate e citate nel mondo come esempio di nuove città “eco-tecno-smart” e tutti corrono a vederle, fondazioni e istituzioni culturali e universitarie occidentali fanno a gara per ritagliarsi un posto “al sole” nel nuovo eldorado del neoliberismo. La negazione dei diritti umani e le condizioni di lavoro di chi costruisce fisicamente il sogno, sono vezzi che non incidono sul valore del nuovo rinascimento emiratino e saudita.
Il paradiso delle Maldive
L’economia dello stato insulare delle Maldive si basa prevalentemente sul turismo balneare (circa il 20% del PIL), i resort turistici sono quasi tutti dati in cessione a società estere, molte con sede negli Emirati Arabi Uniti, l’erosione delle spiagge è un fenomeno rilevante e lo stato lo rialimenta con nuova sabbia per coste che rischiano di sprofondare, ma la sabbia è presa da una regione riconosciuta come biosfera marina, che a breve sarà distrutta. Ha senso distruggerla per salvaguardare gli interessi di un turismo di cui i maggiori beneficiari sono delle società finanziarie straniere mentre al paese rimangono le briciole? Non avrebbe senso che la comunità internazionale intervenisse in aiuto di questo paese studiando soluzioni per riequilibrare la situazione delle isole?
Le coste italiane in arretramento
In Italia, negli ultimi vent’anni dai fondali sono stati estratti 25 milioni di metri cubi di sabbia, poi in aggiunta vi è quella proveniente dalle cave nelle pianure o prodotte dalla frammentazione delle rocce. Dai dati dell’ISPRA, abbiamo circa 7500 chilometri di costa naturale, di cui 3400 sono litorali sabbiosi e di questi, quasi 1000 sono in arretramento.
Oltre il 23% della fascia costiera italiana entro i 300 metri è stata resa artificiale da opere e infrastrutture rigide. I fondali italiani hanno ormai terminato la sabbia necessaria ai ripascimenti.
Le splendide spiagge delle Canarie
Le Canarie per rialimentare le proprie spiagge usano la sabbia del Sahara Occidentale, che non essendo adatta viene continuamente erosa e, conseguentemente, continuamente rialimentata. Se un giorno questo territorio tornerà di proprietà del suo popolo legittimo, dimenticato dal mondo – i Sahrawi-, questi si troveranno privi di una parte del loro suolo grazie anche agli interessi geopolitici che legano il Marocco (che rivendica e occupa questo territorio) e la Spagna che, anche a nome dell’Unione Europea, difende ed amplia i progetti “estrattivisti” nel territorio nordafricano.
Il mercato illegale della sabbia
Vale anche la pena spendere due parole sul mercato illegale della sabbia, sui cartelli della sabbia che depredano regioni africane o indiane, dove spesso con la complicità del buio si “scannano” i fiumi per prelevare l’“oro” sabbioso necessario per costruire le nuove città green. Un circuito che vede legati ispettori e poliziotti corrotti, caporali e poveracci (spesso donne e bambini) che dopo un giorno di lavoro si portano a casa qualche decina di euro.
Del resto, gli acquirenti non sono interessati alla provenienza legale o meno della sabbia. Un mercato nero che oscilla tra i 200 e 350 miliardi di dollari l’anno e che si aggiunge a quello del disboscamento, dell’estrazione dei minerali rari, e della pesca che sono i pilastri del nuovo neocolonialismo i cui effetti maggiori si riscontrano in Africa. Gli impatti ambientali di questa rapina incontrollata sono devastanti per gli estuari, inoltre favoriscono le inondazioni e nelle aree costiere sconvolgono la vegetazione e i fondali marini.
I delta in pericolo
Ritornando ai delta, la loro vulnerabilità è ormai evidente, in particolare dove sono sottoposti a forte pressione antropica. Questa non si manifesta solo attraverso l’urbanizzazione che ha significato distruzione di dune e sradicamento delle foreste di mangrovie, ma anche con la destabilizzazione dei bacini deltizi e con la modifica delle loro caratteristiche idrografiche condotta attraverso l’urbanizzazione dei suoli, le pratiche invasive di agricoltura, le attività estrattive (anche della sabbia), l’irrigidimento idraulico attraverso dighe, serbatoi, energia idroelettrica.
In particolare nella fascia tropicale, l’estrazione della sabbia, l’agricoltura intensiva, l’acquacoltura praticata a spese delle mangrovie, l’urbanizzazione informale e turistica ha reso vulnerabili territori e ambienti delicatissimi con impatti sociali e ambientali rilevanti, essendo territori dove le pratiche di “estrattivismo” sono attive fin dall’avvio della colonizzazione occidentale.
La sabbia protegge le coste
Per salvaguardare un litorale, la sabbia è la migliore protezione perché dando vita alle dune interagisce in modo dinamico con venti, acqua e vegetazione. Inoltre, conserva l’acqua piovana, la filtra e rigenera la falda.
I sistemi dunosi sono delle barriere dinamiche contro le mareggiate, l’eliminazione delle dune così come delle foreste di mangrovie li possiamo considerare come dei delitti contro il pianeta e anche l’umanità.
La Ilha de Santa Caterina
Floripa (Florianopolis) è la capitale dello stato di Santa Caterina in Brasile, e si trova sotto Curitiba e sopra Porto Alegre. La città è cresciuta, molto, in un sito straordinario che intreccia la costa, un’isola, due lagune e il mare aperto. La Ilha de Santa Caterina vista la sua vicinanza con la costa ha permesso ai portoghesi di fondare una città e diversi villaggi di pescatori lungo le lagune interne (baia norte e baia sul) e oggi l’area urbana di Florianopolis conta più di 500.000 abitanti e riguarda due penisole che quasi si toccano.
Come tutte le urbanizzazioni ha invaso spazi che non andavano toccati, come le baie vicino alla città o lungo la Praia dos Ingleses creando situazioni che stanno già ponendo problemi di rischio costiero.
Le dune sabbiose della Joaquina, a Florianopolis, Brasile
Sull’isola le urbanizzazioni lungo le strade denunciano un intenso consumo di suolo. Vi sono poi le dune che ne rendono evidente il grande patrimonio naturale. I loro nomi sono evocativi, geografici e culturali: dunas des Ingleses, duna do Santinho, ma tra queste due e l’oceano è cresciuta una densa urbanizzazione e oggi il mare avanza, erode la costa ed è lecito supporre che le dune non potranno salvare gli edifici turistici esistenti, sempre che non si costruiscano delle barriere artificiali.
Proseguendo troviamo delle spiagge sabbiose straordinarie dalle quali non si vedono le urbanizzazioni retrostanti come la dunas de Moçambique, e ancor più la Joaquina, uno dei punti più straordinari dell’isola con la sua lunghissima spiaggia sabbiosa, frequentata dai serfisti e delimitata da un sistema dunale che appartiene al Parque Natural Municipal das Dunas da Lagoa do Conceinção. Lungo 10 chilometri di costa si alternano vere e proprie colline sabbiose con vaste aree di vegetazione che le fanno sembrare delle foreste basse e arbustive, alternate a rilievi sabbiosi che rammentano il Sahara e quando piove intensamente gli avvallamenti si riempiono d’acqua che viene trattenuta e filtrata dalla sabbia rialimentando la falda. Fortunatamente qui l’edificazione è lontana.
Come progettare il territorio
Non si può parlare di “Nature Based Solution” in astratto: questo concetto, che dovrebbe diventare operativo nella nostra progettazione del territorio, deve alimentarsi della conoscenza dei siti e da quelli trovare gli stimoli per ripensarli. Si dovrebbe parlare di “Site Based Solution” e forse anche di “Historical Site Based Solution” visto che esempi non mancano di integrazione tra natura e artificio ma serve quel senso del limite e della misura che abbiamo perso da almeno centocinquant’anni.
Se Volano diventasse una piccola Joaquina
Il nuovo governatore della Liguria ha recentemente affermato un pensiero non condivisibile, ma probabilmente vero: “affermare di bloccare il consumo del suolo è pura demagogia, non avverrà mai”, quindi nuova sabbia per modernizzare e rendere competitivo il paese e del resto tutti i progetti infrastrutturali che lo attraversano: dal ponte sullo stretto di Messina, ai nuovi passanti e autostrade per congiungere più facilmente le città pianura padana, avranno impatti devastanti sul lungo periodo anche se forse difficilmente percepibili perché coperti dalle retoriche dello sviluppo sostenibile. L’ISPRA ci conferma che Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto continuano ad essere gourmand di suolo da consumare (e dunque anche di sabbia) e con loro tutto il paese.
Con questi pensieri arrivo alla mia auto, parcheggiata dietro ciò che resta delle dune di Volano, che riguardo prima di salire pensando a come sarebbe bello se questo sito diventasse una piccola Joaquina, che non rifiuta il turismo balneare ma lo adegua alla fragilità del sito. In fondo non ci vuole molto, solo un po’ di volontà politica associata ad una adeguata cultura ambientale.
Cover: La mareggiata a Volano. Foto di Romeo Farinella. Del medesimo autore sono le foto che corredano l’intervento.
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Romeo Farinella
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