Cop29, ha vinto l’arroganza dei più forti
di Simona Fabiani
Il testo cruciale della conferenza, quello sul nuovo meccanismo finanziario, è stato approvato con una forzatura del protocollo procedurale. Quando è uscita la bozza, il gruppo dei Paesi meno sviluppati e l’alleanza degli Stati insulari avevano abbandonato le stanze dei negoziati. Nella plenaria di sabato notte, la presidenza ha preso la decisione finale senza il consenso delle parti, che sono state fatte intervenire a decisione già presa.
La presidenza ha fatto il gioco dei Paesi occidentali, che hanno negato le proprie responsabilità, pretendendo maggiori ambizioni sulla mitigazione da parte dei Paesi del Sud del mondo, senza fornirgli però l’adeguato supporto finanziario per passare rapidamente alle fonti rinnovabili, affrontare gli impatti devastanti della crisi climatica e coprire i costi delle perdite e danni.
Un atteggiamento deplorevole da parte dei Paesi più ricchi che – oltre a essere responsabili della crisi climatica – continuano tuttora a espandere le proprie economie fossili. Cina, Singapore e i Paesi del Golfo saranno ancora considerati Paesi in via di sviluppo ma potranno, anche loro, contribuire volontariamente. C’è un invito ad arrivare a 1.300 miliardi di dollari e a triplicare gradualmente i finanziamenti erogati. Ma sono solo auspici, non una decisione vincolante.
Nei testi su mitigazione e global stocktake (GST) non c’è alcun riferimento all’uscita dalle fonti fossili, o meglio al “transitare via” stabilito nella Cop28 di Dubai, per la ferma opposizione dell’Arabia Saudita. È stato approvato l’articolo 6 dell’accordo di Parigi che istituisce un mercato del carbonio a livello globale. L’adattamento risente della mancanza di risorse.
fossile, la finanza privata, le distrazioni basate sui meccanismi di mercato, il modello liberista ed estrattivista che è alla base della crisi planetaria. Il processo di questa Cop, la presidenza e l’atteggiamento dei Paesi del nord globale hanno inferto un colpo esiziale alla fiducia, alla collaborazione e al percorso negoziale.
La Cop ha oggettivamente segnato un fallimento generale delle conferenze sul clima, che non sarà facile superare e invertire con la prossima tappa in Brasile. Ma non possiamo arrenderci né rassegnarci. Per questo serve una reazione forte da parte di tutta la società civile, a partire dal movimento sindacale.
È inaccettabile che non ci siano i soldi per ripagare il debito climatico dovuto al Sud del mondo mentre si spendono trilioni per alimentare guerre, massacri, crimini di guerra e contro l’umanità, come quelli che si continuano a consumare in Palestina. Così come non è accettabile che, a fronte di morte e distruzione climatica, non ci sia ancora sia la consapevolezza dell’urgenza sia una chiara volontà politica di uscire dalle fonti fossili.
Mai come in questa Cop è stata evidente la questione di fondo: lottare contro la crisi climatica significa lottare per cambiare radicalmente un modello di sviluppo insostenibile, per rimuovere le disuguaglianze, sia fra Nord e Sud globale sia all’interno degli stessi Paesi, per contrastare ogni forma di sfruttamento e colonialismo; significa battersi affinché i lavoratori non siano abbandonati nella transizione, e garantire a tutti i popoli il diritto di vivere in pace nelle proprie terre. Non possiamo rassegnarci alla vittoria degli interessi di pochi contro il benessere delle popolazioni e dell’ambiente in cui viviamo. La lotta per il cambiamento passa anche, e soprattutto, dalla giustizia climatica.
Articolo originale pubblicato su Collettiva.it il 25/11/2024
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