PICCOLA ANTOLOGIA PALESTINA
Le motivazioni che il poeta lucano, Leonardo Sinisgalli, riportò nella introduzione delle sue Imitazioni dall’Antologia Palatina (Edizioni della Cometa, Roma 1980), credo che siano la migliore introduzione alla presente raccolta di testi epigrafici:
questa breve…imitazione di quelle Imitazioni è anch’essa, in fondo, un “… atto di devozione ai piccoli poeti […] coloniali – che seppero esprimere alcune verità sfuggite ai fratelli maggiori ”.
Ma questo è vero solo in parte perché, in prima battuta, la presente antologia vuole essere la testimonianza di un personale e profondo rammarico – misto a un rabbioso senso di impotenza – di fronte alle tante (e troppe) piccole vite spezzate e dimenticate nel conflitto mediorientale che dal 7 Ottobre 2023, continua ad accanirsi, senza pausa, sulla vita di quei luoghi:
ci sarà ancora umanità in quella terra, su questa Terra?
Come si sa il tema primario dell’Antologia Palatina, riproposto nel suo epigono più noto – l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters – e nelle imitazioni sinisgalliane, è la familiarità con l’oltretomba.
A questo tema fa da contrappunto una struggente devozione alla vita, secondo una tipica inversione figura-sfondo che finisce per essere l’unico arbitro attendibile della percezione umana.
Per concludere dunque attingo, rispettosamente e fedelmente, alle parole del mio amato poeta ripetendo che “…il tema che mi ha colpito di più è quello degli affetti”; davvero si finisce per accorgersi “… che l’astuzia non basta mai, che ci sono le ragioni del cuore più forti della stessa raison” e che un gesto, alla fin fine, è la sintesi migliore di qualunque articolatissimo e dottissimo tentativo di spiegazione.
Le spiegazioni, infatti, sono fugaci ma questi semplici ed elementari, gesti affettivi – di pagina in pagina, di confine in confine, di vita in vita – riescono, come una processione di lucciole, a illuminare il buio di questa lunga notte.
Non so leggere ancora
e mamma con la biro
ha scritto il mio nome,
sulla gamba destra, Amir.
Non c’è acqua da bere,
quella sporca non scorre
per lavare. Verrò sversato
nel deserto, assetato e lercio.
* * *
Una bambina di tredici anni
Dalia Yasser s’è fidata
dello shabbat
e del silenzio tutto intorno.
Il fuoco pareva davvero
miracolosamente cessato
poi è arrivato un aereo.
Venerdìsabatodomenica:
unico giorno che va festeggiato.
* * *
Non sapevo dove fosse
Jabalia
ma tutti gridavano il mio nome
«Alaa, Alaa! Scappa via»
Poi non ho sentito più
non ho avuto più paura
non avevo più una gamba
e nemmeno cinque anni.
* * *
L’estate scorsa
ho sepolto un grillo
e lì vicino una cicala.
Ho cosparso d’incenso
le piccole pire
e ho dato fuoco
continuando a frinire
al posto loro.
Non sapevo
tra un singhiozzo e l’altro
che in un anno avrei
smesso di cantare.
* * *
La mia terra
una spiaggia.
Casa mia
la sabbia.
Sabir, il granello,
-è il mio nome-
un fastidio soffiato
dal vento…
* * *
non capisco più
quel nostro litigare
per la mia maglia bianconera
e quella della tua squadra del cuore…
Ahmed: una tempesta
ne ha confuso i colori
tanto che il bianco s’è mutato
in rosso e noi siamo rimasti
impigliati nel mezzo, fili sottili
senza nessun colore
* * *
Di tanto in tanto
il cielo s’apre al vento
a scoprire i corni rosei
della luna, vitella placida.
Mio padre avrebbe detto:
«Amos, domani seminiamo».
Così è stato e presto
il campo di Kfar Aza
si riempirà di grano…
* * *
ero in esilio nella mia terra
e su arsi confini estremi
dimorerò tra macchie d’olio
senza temere di farmi scoprire
tenendo i miei passi lontano
dai guai lasciando ogni fronte
di guerra e una pace lontana
così distante di fronte alla Terra
* * *
E non lo vedi? Lo splendido Shagya
che corre più del vento e i capelli
di mia cugina Shamila che brillano
come oro grezzo sul suo volto d’argento?
I carri non ci mettono più sotto,
e, nel cielo in alto, i veli scintillano
d’oro e d’argento pesanti più del piombo…
* * *
Un giorno Iyad ti porterò una gran ciotola,
su di un tripode, colma del mansaf che mamma
ti cucinava e che mangiavi caldo dopo il solstizio.
Tornerò a trovarti tutte le stagioni: l’estate,
l’inverno per seconda e poi l’autunno
anche in primavera ci sarò quando il mangiare
non sarà abbastanza ma tutto intorno sarà in fiore…
* * *
per quanto piccolo pure il tuo cuore
era agitato, Hind, mio bel musetto
un carillon appena caricato pronto
per il motivetto. Tua madre credeva
di crescerti bene chiudendoti a chiave
dentro un cassetto ma tu già volavi via…
* * *
su distese di garofani e iris, eri l’ape
che ci portava lassù su una stella
ricordi quel viaggio a Deir al Balah,
il monastero dei datteri? Qui mangiammo
il pesce migliore di Gaza. Tornammo
a Rafah dove non si smette mai di tornare e…
non vedo più datteri, né posti per mangiare
buon pesce, monasteri e ospedali
sono solo ricordi dove resti anche tu…
* * *
questa è la gamba di Hamed
c’era il suo nome inciso con cura
dalla mano della mamma sepolta
altrove, in un’altra biblioteca, senza nome…
* * *
Né vestitini né orecchini,
desiderò nella vita questa bambina
volle solo bene alle sorelle e alla madre
e fu la più prudente.
Tuo padre, Jasmine,- di tutte e tutti il più
distratto – è tornato a trovarti di nuovo:
che vigliacco, Jasmine, che vigliacco che sono…
* * *
Kalhed sapeva dire cosa veniva fuori
dalle giuste porzioni di acqua e sabbia,
quale fango per restare uniti e buoni
e quali mattoni per sostenersi l’un l’altro.
Il suo amico Ariel custodiva come lui
questo segreto:
il sole sul fango e il fuoco nella fornace
furono i loro primi e ultimi giochi…
* * *
Non voglio più passare
la vita in mezzo ai datteri
io Atif dalle mani zuccherate
non voglio più tornarci
al mercato di Deir al Balah.
Quale conforto potrò mai avere?
Fariha è scomparsa, non so dove sia
e con lei l’allegria che infiammò
il mio cuore. Vivrò- se vivrò- lontano
da qui – se un qui ci sarà – qui vicino…
* * *
Fahad aveva una fionda
per colpire oche e ramarri
s’allenava senza fare rumore.
La teneva anche quel giorno:
tra carri e soldati lì intorno…
* * *
Dalal ha portato a Dio
il suo pallone di cuoio
la fionda d’ulivo e i dadi
che ha amato alla follia.
Non ha potuto portare
quella trottola sonora che
lanciava con maestria. Magari,
la ritroverà dovunque ora sia…
* * *
Aisha che contavi le stelle:
ch’io potessi diventare cielo
per contarti una notte sola…
* * *
Il tuo nome di velluto
non andrà perduto
nella profonda notte.
Noi brigata di poeti muti
siamo caduti nell’oblio
ma il chiurlo dell’assiolo
prosegue singhiozzante,
e lo stridìo della ghiandaia,
il chioccolìo del merlo…
Per leggere gli articoli di Giuseppe Ferrara su Periscopio clicca sul nome dell’autore
Giuseppe Ferrara
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
Lascia un commento