Henri Cartier-Bresson a Palazzo Roverella di Rovigo.
Attimi di bellezza in bianco/nero
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Henri Cartier-Bresson a Palazzo Roverella di Rovigo. Attimi di bellezza in bianco/nero
L’aria tiepida di questo autunno “primaverile” quasi mi rende esitante nell’entrare a Palazzo Roverella, lasciandomi alle spalle la mattina soleggiata e vivace di una domenica ottobrina, ma l’ingresso alla mostra Henri Cartier-Bresson e l’Italia da subito mi incuriosisce e cattura la mia attenzione.
Le foto in bianco/nero, infatti, non hanno proprio nulla di spento o malinconicamente ‘grigio’, ma s’impongono in un gioco di linee, forme, volumi che creano contrasti e campi complementari, all’interno dei quali le figure umane si muovono, sostano, si dispongono in modo spontaneo, casuale e insieme ordinato.
È la lezione appresa dal cubismo nel periodo pittorico di Cartier-Bresson, leggerò più tardi, che lo induce a ricercare un’organizzazione geometrica e un equilibrio formale nella visione e composizione delle immagini.
Per me e l’amica che mi accompagna è una vera scoperta, e percorriamo le sale come in una caccia al tesoro, a rintracciare i ritmi e le caratteristiche che abbiamo individuato scorrendo ogni fotografia: qui le ringhiere delle scale e le balaustre delle balconate nella piazza di paese s’incrociano e rimandano ad altre confluenze; le basi degli scalini sono perpendicolari a queste linee, e le persone che vi passano sembrano corrispondere allo sguardo dell’autore rimarcando gli stessi andamenti; persino l’arco che sostiene i lampioni taglia lo spazio in sintonia con la linea del muro. (Scanno, 1951)
Ecco ancora, il curvo ponte sul canale di un’isola veneziana: sembra trafitto dalla punta di una gondola che passa, con la stessa inclinazione della ragazzina che sta correndo sul ponte; sullo sfondo, un campanile lo incrocia perpendicolare. (Torcello, 1953)
Andiamo a verificare la composizione di queste immagini fissate nell’attimo fuggente in cui le ha colte l’occhio dell’artista, capace di leggere ed evidenziare i rapporti tra le forme, le luci, le presenze umane; capace di uno sguardo che intuisce la bellezza di ciò che avviene nell’immediato momento, irripetibile, presente alla sua visione che lo cattura e ce lo restituisce.
L’artista vagabonda con la maneggevole Leica, vera estensione della sua vista, passando tra la gente con disinvoltura e lasciandosi condurre dalla casualità, per cogliere a colpo d’occhio immagini autentiche, a volte persino per errore.
Come il volto sfocato di un passante che incrocia il suo scatto diretto al sacerdote più lontano, rendendo la foto molto più significativa e interessante. Qui è il surrealismo a ispirarlo, in una poetica del caso, dell’imprevisto, del dettaglio inaspettato, per rivelare l’essenza della vita quotidiana e della condizione umana secondo una visione nuova, una prospettiva diversa. Non si tratta di fare una fotografia, ma di catturare un momento di realtà, riconoscere il significato di un evento in una frazione di secondo.
Semplicità e vitalità, nelle piazze e nelle strade italiane del dopoguerra, luoghi d’incontro e di socialità, di una teatralità spontanea che rispecchia la cultura del vivere collettivo ancora presente nelle comunità di quel tempo.
Il cortile tra i palazzi di un quartiere popolare è la quinta scenografica dove la luce del sole danza con le linee d’ombra, mentre una bimba gioca saltellando sul selciato; in un altro scatto ella si trova proprio al centro di un riquadro di luce, circondata da triangoli di buio. (Roma, 1959)
Una corsa di ragazzini si disperde sulle gradinate di una piazza (1953), e le loro grida festose riecheggiano alle nostre orecchie; alcuni bambini pistoleri si affrontano sotto i portici (Roma 1951), altri inventano giochi con oggetti semplici, nelle strade e sui marciapiedi della nostra penisola.
Una foto è emblema della coesistenza della vita e della morte, che si rivela nella corsa spensierata di due bambini a rincorrere un cerchio, mentre all’altro lato della via, che taglia l’immagine in obliquo, passa in direzione opposta un carro funebre col suo corteo. (Palermo, anni ’70)
Henri Cartier-Bresson ha amato l’Italia, e chissà anche per questo non ha mai raccolto in un libro le foto che ha scattato qui; forse troppo materiale complesso da organizzare, forse emotivamente forte. Visitò l’Italia negli anni ’30 con l’amico André Pieyre de Mandiargues, giovane poeta e scrittore, e la sua compagna, la pittrice Leonor Fini: li ritrasse, in uno dei pochissimi scatti di nudo, nelle acque di Trieste, nell’atto di un abbraccio che ha forme d’ali di farfalla.
Negli anni ’50 fu con Carlo Levi (“Cristo si è fermato a Eboli”) nella Lucania e in Abruzzo a documentare l’essenza di luoghi come cristallizzati in un tempo arcaico e dei loro abitanti come figure di un’umanità mitica, di fatica e povertà, e insieme nobile e dignitosa. La donna che cammina, con il paese sullo sfondo, sembra una principessa fluttuante, in abito nero (Scanno, 1951). Così appaiono le portatrici d’acqua con i grandi vasi sul capo, che incedono con spoglia eleganza lungo le stradine dei paesi del sud.
Sarà in Italia ancora tra gli anni ’50 e ’60, per reportage commissionati dalle grandi riviste illustrate dell’epoca, (Holiday e Harper’s Bazaar, Life e anche Vogue) dedicati a Roma, Napoli, Venezia, a Ischia e alla Sardegna, portando il suo sguardo sugli usi e i costumi, testimoniando il clima di quegli anni, in un paese in trasformazione, ma ancora pulsante di cultura tradizionale.
Identità culturale che affronterà la modernità attraverso il mondo del lavoro industriale, nelle immagini degli anni ’70, quando Cartier-Bresson torna in Italia a documentare nuove modalità di vita, prima di lasciare gradualmente la fotografia, in disaccordo con l’agenzia Magnum da lui inizialmente creata, per dedicarsi al disegno.
La sua lezione ci esorta all’attenzione, all’ascolto, all’osservazione degli istanti di realtà che rivelano momenti pregnanti di vita, nello scorrere sfuggente di una quotidianità distratta, attimi di bellezza condensati in fotogrammi come quadri di memoria nel film del tempo.
Informazioni sulla mostra
Dal 28 settembre 2024 al 26 gennaio 2025, Palazzo Roverella, Rovigo
Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 1908 – Montjustin, 2004)
La mostra HENRI CARTIER-BRESSON e l’Italia a cura di Clément Chéroux e Walter Guadagnini, è promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo. È realizzata in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e la Fondazione CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino.
L’esposizione è composta di opere vintage provenienti dalla Fondation Cartier-Bresson, ed è accompagnata da testi esplicativi in ogni sala e da un catalogo, edito da Dario Cimorelli Editore, che riporta tutte le opere esposte, i saggi dei due curatori e di Carmela Biscaglia.
In copertina: Henri Cartier-Bresson, L’Aquila, 1951© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos
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Anna Rita Boccafogli
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Foto fantastiche ed intriganti in uno splendido bianco e nero.