Perché Trump ha vinto.
Come un liberismo senza regole ha radicalizzato la maggioranza povera
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Perché Trump ha vinto.
Aldo Cazzullo, nel suo viaggio da corrispondente del Corriere della Sera in Pennsylvania (stato in bilico, mentre scrivo), pur attaccando Trump che considera un buffone razzista, scriveva il 3 novembre: “Vista dagli economisti l’economia non è mai andata così bene, occupazione record, inflazione in discesa. Vista con gli occhi della quotidianità l’America appare impoverita e incattivita: tutto costa il doppio, a volte il triplo, l’ex classe media soffre moltissimo, sono sempre più rari i proverbiali sorrisi degli americani, e non solo perché spesso spalancano bocche prive di denti (una cura canalare costa 3mila dollari).”.
Gli economisti si basano spesso su medie statistiche, le quali occultano (quando c’è un’enorme disuguaglianza, come si è formata negli ultimi 30 anni, sia negli Stati Uniti che in Europa) profonde diversità e sentimenti tra gli elettori. Anche durante la prima presidenza Trump l’occupazione è cresciuta ed è crollata col Covid, facendogli perdere le elezioni nonostante avesse avviato un forte aumento dei salari e imposto dazi sui prodotti cinesi a difesa del lavoro americano delle periferie colpite dalla de industrializzazione; a costo di far pagare a tutti gli americani un aumento dei prezzi dei prodotti cinesi e della stessa inflazione.
Anche in Italia Unimpresa (su dati Bankitalia) dice che gli italiani hanno 5.732 miliardi di risparmi, ma il presidente Mattarella fa notare che metà degli italiani non riesce a risparmiare e noi aggiungiamo che in Italia (sempre dati Bankitalia) c’è un forte impoverimento, se il 70% delle famiglie (non individui) guadagna da zero a 35.832 euro all’anno.
Il neoliberismo ha impoverito gli americani
Ovviamente l’economia non è la sola ragione di chi vota, ma incide parecchio. E in America le cose non vanno affatto bene, se ci sono scioperi che non si vedevano da 20 anni. L’ascesa economica e tecnologica della Cina ha portato gli Stati Uniti a spendere una montagna di soldi in guerre e armi negli ultimi 20 anni per conservare la sua leadership mondiale (le sole basi militari all’estero americane sono 175 contro 1 della Cina). Poi ci sono enormi problemi (come nel resto dell’Occidente) dovuti alla globalizzazione e alla diffusione del digitale che ha creato lavori e vantaggi, ma più spesso licenziamenti e svantaggi; come gli enormi conflitti tra genitori e figli a causa della distruzione dell’infanzia (basata sul telefono e non più sul gioco libero) ben descritta dallo psicologo americano Jonathan Haidt (La generazione ansiosa, 2024). La “Grande Riconfigurazione” prodotta dagli smartphone dal 2008 ha colpito bambini e adolescenti passati da un’infanzia basata sul gioco a quella basata sul telefono. Certo i Dem non sono i soli responsabili, ma è indubbio che hanno cavalcato a lungo l’ascesa delle big tech e i loro prodotti, convinti della bontà di tutte le novità.
Nel 1980 gli occupati bianchi a tempo pieno senza laurea guadagnavano il 7% in più della media. Oggi portano a casa il 14% in meno. I posti di lavoro sono cresciuti (sia con Trump che con Biden) ma nei servizi, fast food, logistica, motel, posti non qualificati (un po’ come in Italia: +723mila occupati da quando c’è il Governo Meloni ma con bassi salari). La finanziarizzazione ha permesso a chi ha una laurea di continuare a guadagnare bene (comprese le donne nere o ispaniche, se laureate), ma non agli altri senza laurea. Oggi arriva il conto, per delusione e risentimento: era già successo nel 2016 e non a caso Trump aveva difeso il lavoro degli espulsi dalle periferie della “rust belt” a costo di porre dazi all’import cinese e avviare una politica protezionistica, che Biden ha proseguito. Il sociologo dell’Università di Princeton Matthew Desmond ha scritto Gli Sfrattati (La nave di Teseo, ed. 2108) e Povertà in America (ed. 2024) dove spiega che vive in povertà un americano su 8 (38 milioni senza alcuna assistenza sanitaria), altri 108 milioni si arrangiano e non superano i 55mila dollari e un milione di studenti sono senza casa, vivono in motel, auto, case abbandonate. Così hanno votato per Trump gli operai bianchi, le piccole imprese, gli operai minacciati dagli immigrati illegali e chi difende le tradizioni minacciate da una modernità incalzante. Un ampio elettorato che un tempo votava dem e che li accusa di essere i supporter del neo-liberismo che ha impoverito gli americani.
I cambiamenti strutturali hanno diminuito il valore della forza fisica con la deindustrializzazione in tutto l’Occidente facendo crescere il settore dei servizi dove le donne hanno, in media, più vantaggi. Hanna Rosin, autrice di La fine del maschio e l’ascesa delle donne, scrive che oggi in molti lavori servono “intelligenza, creatività, concentrazione, saper comunicare, ascoltare, cose che le donne sanno fare bene”. Inoltre le donne studiano sempre di più: in Usa le laureate sono cresciute dal 1972 ad oggi dal 42% al 60%. Non a caso Richard Reevs ha pubblicato nel 2022 Of Boys and Men, dove spiega il lungo declino del maschio.
Molti uomini americani vivono male questo processo e per questo appoggiano politiche sovraniste e protezionistiche “alla Trump”, nella speranza che ciò faccia tornare più benessere a chi già vive negli Stati Uniti a costo di rinunciare al “controllo del mondo”. In tal senso una co-abitazione di leadership mondiale con la Cina e i Brics (diventati troppo forti per essere dominati) non li spaventa, tanto più se minori spese in armi andassero a rimpolpare le risorse del sottile welfare americano.
Ovviamente in ballo ci sono anche il ruolo del dollaro e la finanza (oltre le spese della Nato), come i profitti delle big tech, tutte cose che interessano più all’élite, a chi lavora nelle città o ai 7 milioni della Sillicon Valley, ma poco o nulla alla maggioranza di chi lavora nelle periferie o nei lavori a basso reddito. A questi ultimi non dispiacciono affatto i dazi a protezione del loro lavoro, anche se vanno contro le leggi del “libero mercato”. C’è poi la difesa delle tradizioni specie nelle aree rurali e nelle periferie, dove la cultura gender, lgbtq+ e woke delle città liberal è vista come fumo negli occhi.
Non so se con Trump la disuguaglianza calerà, ma non c’è dubbio che almeno metà degli americani vuole sperimentare un’altra strada, visto che quella dei Democratici non ha funzionato per loro. Come ha scritto la filosofa progressista Wendy Brown alla Boston Review: “Trump è dipinto come un buffone ma non è lui che spinge il vento verso pratiche antidemocratiche e razziste, ma la mancanza di prospettive e l’ansia della classe media e dei lavoratori causate dal neoliberismo e dalla finanziarizzazione e l’allineamento del partito Democratico con quelle forze durato decenni che ha portato ad un degrado delle condizioni di vita, dell’istruzione, la disuguaglianza crescente, le spese enormi militari per mantenere l’impero euro-atlantico”.
Poi c’è il tema degli ingressi illegali degli immigrati che sappiamo essere (anche in Europa) uno dei temi principali (se non “il principale”) su cui si vincono o perdono le elezioni. Lo ha capito Sarha Wagenknecht in Germania che con la sua BsW ha triplicato a sinistra i voti (caso unico in Europa).
Da Trump a Biden gli ingressi illegali sono triplicati: da una media di 50mila al mese negli anni della presidenza Trump (dal 2017 al 2020, fonte: dogane Usa) a una media mensile di 150mila con Biden dal 2021 al 2023. E come tutti sanno gli ultimi arrivati (immigrati) fanno infuriare proprio i ceti più deboli e gli immigrati già arrivati nelle aree periferiche perché creano una concorrenza nei lavori poveri e nei sussidi, al punto che la nuova leader del partito conservatore (tory) della Gran Bretagna è ora una certa Olukemi Adegoke, nigeriana di 44 anni, dove ha vissuto fino a 16 anni, (che ha fatto carriera in GB, laurea in informatica e lavori nella finanza) e che è stata eletta per fare la concorrenza (anti immigrati) a quel Nigel Farage (della Brexit) che spera di vincere le prossime elezioni puntando tutto su “immigrazione zero”.
Gli Stati Uniti sono fatti di grandi città e aree rurali, una situazione molto diversa dall’Europa, ma è anche vero che ci sono le cosiddette “città dimenticate” (titolo di un libro di di Michael Bloomberg), quelle della periferia americana, da 15mila a 150mila abitanti, dove il reddito familiare medio è inferiore ai 35mila dollari. Sono 179, di cui 37 in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, l’ex cuore industriale degli Stati Uniti dove, non a caso, ha vinto Trump. In queste città gli operai un tempo votavano i dem, ora si sentono abbandonati. Domina la nostalgia per un passato in cui l’impiego in una fabbrica sindacalizzata era il biglietto d’ingresso nella classe media: casa di proprietà, due auto, buone scuole, qualche piccola vacanza. Tutto scomparso. In Michigan poi vive il più grande gruppo di persone musulmane – oltre 240 mila – di tutti gli Stati Uniti. La guerra a Gaza e l’appoggio quasi incondizionato degli Usa alle mosse d’Israele ha allontanato queste comunità dal partito democratico.
La maggioranza più povera si è radicalizzata per via di un liberismo senza regole. Potrebbe cadere ancor più in basso, ma così non si poteva continuare e lo si capirà nei prossimi mesi in base a ciò che farà Trump. E’ certo però che se i dem vogliono tornare a vincere (anche in Italia e in Europa) devono cambiare molte cose e trovare i soldi per aiutare chi perde lavoro e reddito nella transizione green e digitale che hanno lanciato.
L’idea di ricorrere alle guerre per risolvere i problemi di consenso interno (sempre usata in passato) oggi non funziona perché o è guerra nucleare (e allora siamo tutti fritti) o è guerra di terra (come in Ucraina) e, in tal caso, la Nato non può vincere perché nessuno dei suoi paesi è disposto a mandare i propri figli a combattere e morire in trincea. Gli stessi ucraini, dopo la prima ondata, hanno decine di migliaia di renitenti e giovani che scappano e non vogliono morire. Rimane così agli Stati Uniti la via della competizione economica-finanziaria per mantenere la leadership mondiale anche nel XXI secolo. Ma è destinata a perderla, come la guerra in Ucraina, così come anche il protezionismo ha le gambe corte. Ma anche la Cina non sarà necessariamente il nuovo incontrastato leader mondiale. Ecco perché sarebbe saggio dismettere l’arroganza dell’Occidente e lavorare per negoziati, pace e un mondo multipolare, nel quale, se l’Europa facesse i suoi interessi, prendendosi la sua indipendenza dagli Stati Uniti (pur rimanendo alleata), potrebbe essere leader del “terzo” polo mondiale (tra Usa e Cina), visto che anche tra i Brics (Brasile e India per primi) c’è chi non vuole stare sotto la Cina e dialogare con tutti. Ma non sarà facile per le élite europee spargere la cenere sui propri capi ed ammettere i gravi, ripetuti errori.
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Andrea Gandini
Commenti (1)
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Manca la speranza nel futuro, atteggiamento comune in tutto il mondo occidentale.
E’ un fenomeno che viene da lontano e che non è mai stato affrontato concretamente.
Fino a 50 anni fa le famiglie popolari avevano prospettive per i loro figli, ora non esiste alcuna prospettiva, non funziona più l’ascensore sociale.
Ora in Italia non c’è neppure l’unità sindacale, … si dichiarano scioperi generali separati.
Le classi dirigenti della sinistra sperano di vivere di rendita e di miti del passato senza pensare che con la globalizzazione e la immigrazione sistemica tutto è cambiato e ogni nucleo familiare si sente solo.
La sinistra ZTL deve cambiare se vuole svolgere un ruolo.