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Superbonus: una retrospettiva, tra meriti e disastri.

 

Richiamo quanto avevo scritto in aprile 2024, aggiungendo nuove considerazioni emerse dal fatto che il Superbonus ha contribuito (fonte Corte dei Conti) per il 93% alla crescita reale del 2021 e che ha consentito un aumento degli occupati e del Pil con i seguenti effetti:

  1. inflazione (che tutti i Governi hanno sempre usato per ridurre il debito pubblico)
  2. aumento degli occupati (che pagano imposte)
  3. revisione in aumento Istat del nostro PIL

Così questo Governo potrà disporre di 50 miliardi aggiuntivi di spazio fiscale così distribuiti: 9 miliardi nel 2025, 15,5 miliardi nel 2026, 25,6 miliardi nel 2027. Ecco perché si permette di chiedere poco alle banche come extraprofitti (e nulla alle società energetiche), perché sa che potrà disporre di un “tesoretto” che nessun Governo ha mai avuto. Non male per chi (Meloni) aveva dichiarato che il Superbonus aveva creato un “enorme buco di bilancio”. Ciò conferma che politiche “keynesiane” di spesa pubblica (se ben fatta) siano positive per sviluppo e crescita dell’occupazione. Ciò non significa che la misura del Superbonus non potesse essere disegnata meglio, escludendo per esempio dagli incentivi i 5,6 milioni di seconde case, favorendo i ceti meno abbienti (e non i più ricchi com’è avvenuto), dando meno incentivi (70%?) in modo che anche i privati controllassero i prezzi, più le altre critiche che anche noi abbiamo fatto. Della serie: bisognerebbe prima sperimentare in alcuni Comuni e poi, fatte le correzioni di cui sempre necessitano le sperimentazioni, promulgare una legge nazionale. Ma ciò contrasta con gli interessi elettorali dei partiti, per cui le sperimentazioni non si fanno mai. Da un lato il Governo Meloni incassa questo tesoretto di 50 miliardi, dall’altro dovrà spiegare ai suoi elettori che sta facendo una politica economica allineata a quella del Governo Draghi, che più che favorire lo Stato favorisce i grandi privati vendendo azioni delle aziende pubbliche (Eni, Enel, Poste, Ferrovie,…) per incassare più soldi possibili, ma vendendo parte dei gioielli di famiglia che erano di proprietà dello Stato. Ma non era “sovranista”?

A criticare il Superbonus sono ora quasi tutti, ma all’inizio tutte le forze politiche erano favorevoli in quanto in condizioni di recessione (2020) il rilancio dell’edilizia ha effetti moltiplicatori anche sugli altri settori. Misure radicali finanziate dal debito pubblico sono auspicabili ma devono essere fatte ovviamente con discernimento. Anche Keynes, che ne descrisse l’importanza anche a costo di impiegare i disoccupati a “scavare delle buche”, era certamente favorevole a costruire ferrovie o alloggi popolari piuttosto che scavare semplicemente delle buche per terra.

Avevamo sollevato molte perplessità su una misura che fino ad ora è costata allo Stato 122,6 miliardi di euro di detrazioni fiscali a favore di 495mila edifici (tra condomini e case singole o plurifamiliari) e che ha generato alcune centinaia di migliaia di occupati e una crescita del Pil. Gli edifici coinvolti sono stati il 4,1% del totale. Non sappiamo quanti interventi siano stati fatti sulle seconde case ma, tramite la Corte dei Conti, sappiamo che in base alle dichiarazioni dei redditi Irpef relative all’anno di imposta 2021, le detrazioni hanno interessato solo il 5,6% dei contribuenti con meno di 40mila euro, il 57% tra 40 a 150mila e il 37% di quelli con oltre 150mila euro. Una manovra quindi regressiva, nel senso che a beneficiarne sono stati soprattutto i più ricchi.

Scrive CGIA: “Se lo Stato avesse investito questi 122,6 miliardi per realizzare alloggi pubblici ad un costo ipotetico di 100mila euro cadauno, potremmo contare su 1,2 milioni di nuove unità abitative. Pertanto, in linea puramente teorica, avremmo potuto demolire tutte le 800mila case popolari presenti in Italia, molte delle quali versano in condizioni fatiscenti, e ricostruirle con tecniche innovative e con classi di efficienza energetica elevate e disporremmo di 400mila alloggi pubblici in più di quanti ne contiamo adesso”. Ciò spiega la stretta in atto del Governo che spalma su 10 anni le detrazioni e le critiche dell’Europa per un provvedimento giudicato pessimo (“all’italiana”).

Secondo il Censis, le famiglie che abitano in alloggi popolari sono 3,5 milioni di persone e se fosse stato fatto a favore di queste persone povere sarebbe stato certamente un ottimo intervento. Invece è stata una sorta di Robin Hood al contrario: ha tolto ai poveri per dare ai ricchi. “Ha tolto”, nel senso che con una spesa di oltre 122 miliardi, nei prossimi anni sarà difficile far quadrare i nostri conti pubblici, in quanto si pregiudica la possibilità di reperire nuove risorse aggiuntive da destinare alla sanità pubblica, all’edilizia sovvenzionata, al contrasto della povertà e dell’esclusione sociale (quest’ultima dichiarazione del Censis, in corsivo, è sbagliata alla luce dei notevoli vantaggi derivanti proprio dalle entrate fiscali e dalla crescita del PIL).

Dati sicuri non ci sono ma pare che anche i risultati ottenuti sotto il profilo ambientale (abbattimento delle emissioni di CO²) siano molto contenuti. Tra il 2021 e il 2022 gli investimenti in edilizia residenziale sono aumentati del 60% e poiché la quota sul Pil nazionale del settore delle costruzioni è poco meno del 6%, il contributo del Superbonus alla crescita della ricchezza del Paese in questo biennio dovrebbe essere stato di circa 1,8 punti, di cui 1,2 nel primo anno (su 7 punti di crescita totale) e circa 0,7 nel 2022 (su 3,8 punti complessivi). Il numero degli occupati nel settore in questi ultimi anni, invece, ha subito un deciso aumento. Non poteva del resto essere altrimenti, con un investimento di oltre 122 miliardi di euro in cui abbiamo “drogato” il mercato, facendo esplodere la domanda e, conseguentemente, anche gli occupati in edilizia ma anche i prezzi (alle stelle) degli altri lavori in edilizia. Ora che il ricorso al Superbonus sta “scemando”, gli occupati di questo settore stanno diminuendo.

Anche in questo caso sarebbe opportuno fare una retrospettiva dei maggiori errori che, a mio avviso, sono stati:

1) quello di eliminare qualsiasi forma di partecipazione dei beneficiari al costo (che avrebbe determinato un controllo e contenimento dei prezzi dal basso);

2) includere anche le seconde case;

3) esagerare col bonus (che poteva fermarsi al 60-70%, differenziato in base al reddito del beneficiario e alla tipologia della casa);

4) non indicare sin dall’inizio una detrazione di 10 anni, e non 4;

5) non favorire i condomini e le case dei più poveri, con benefici anche in base al reddito;

6) non lasciare la misura per più anni, evitando così di ingolfare il settore e far salire alle stelle i prezzi.

Venuto meno il contrasto di interessi tra cliente e costruttore, c’è stato infatti un aumento a dismisura dei prezzi delle materie prime e dei prodotti/servizi correlati, con una ricaduta sui costi di costruzione degli edifici residenziali del tutto ingiustificata e con conseguenze molto negative anche sugli appalti pubblici e tutte le altre costruzioni non agevolate. L’impennata dei costi di moltissimi materiali sta imponendo ora una revisione dei prezzi per un gran numero di opere pubbliche già cantierate, causando alla Pubblica Amministrazione enormi difficoltà ad adeguarsi per il deciso aumento del costo dell’opera e in molti casi provocando il rallentamento o addirittura la sospensione dei lavori nei cantieri. In molti casi il costo delle opere pubbliche oggi è  per un terzo superiore a quello di 3-4 anni fa.

 

L’aggravio burocratico, comprensibile per un ammontare così elevato di fondi gratuiti a singoli cittadini, ha creato frodi per 15 miliardi, di cui 8 sono stati recuperati. Ogni intervento è costato mediamente 247mila euro: si va dagli oltre 400mila euro in Valle d’Aosta ai 183mila della Toscana. Le regioni che l’hanno usato di più sono ovviamente quelle più ricche e, al loro interno, le famiglie più abbienti. I valori medi (247mila euro di detrazione in Italia) comprendono tutti gli immobili ovvero sia i condomini, per i quali l’importo medio è più elevato (in Italia 593mila euro), sia edifici unifamiliari di singola proprietà (in Italia 117mila euro), sia unità immobiliari indipendenti ma dotate di almeno 3 proprietà (in Italia 98mila euro).

 

 

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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