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Ferrara film corto festival

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Banche europee: speculazione e profitti tanti, tasse poche. Il risiko bancario tra concentrazioni e abbandono dei territori.

 

Unimpresa, l’associazione delle imprese manifatturiere italiane, ha pubblicato uno studio (su dati Bankitalia dal 2018 al 2023) in cui si dimostra come la percentuale di profitti che le banche italiane pagano sia del 19,6%, a fronte di una media delle imprese e dei lavoratori del 42%. Nel 2023 il fatturato (ricavi) delle banche italiane è stato di 102,6 miliardi, dei quali il 60% è legato ai guadagni sull’aumento dei tassi di interesse dovuto alla decisione della BCE (Banca Europea) di alzare i tassi da zero al 4,50% (massimo raggiunto a settembre 2023). Dal 2018 al 2023 le banche italiane hanno pagato in media 3,7 miliardi di imposte a fronte di 86,1 miliardi di fatturato e di 19,2 miliardi di profitti lordi. “La tassa sugli extraprofitti delle banche (dice Giovanna Ferrara, Presidente di Unimpresa), rappresenta una misura di equità sociale che serve a ridistribuire la ricchezza prodotta nel Paese”.

Le banche si sono adeguate verso coloro che chiedevano prestiti (imprese e famiglie, portandoli al 4 e fino al 10% a seconda della tipologia) ma si sono ben guardate dall’ aumentare i tassi dei loro clienti risparmiatori (0,4-0, 7%); in tal modo hanno fatto extraprofitti senza sostenere alcun rischio d’impresa. Le banche in generale adesso prestano senza rischiare, in quanto lo fanno solo a coloro che danno in cambio garanzie reali. Un tempo le banche svolgevano un ruolo importante nell’economia: raccoglievano soldi da chi non aveva idee e le prestavano a chi aveva idee. Ovviamente, potevano anche sbagliare e perdere in tutto o in parte il prestito (cosiddetti NPL). Un’attività che sosteneva l’economia reale, le piccole imprese, gli artigiani, i giovani che avevano idee: attività che oggi non è più il loro business. Se vai in banca e chiedi un prestito devi dare in cambio garanzie reali (casa, patrimoni vari,…).  Non gli frega nulla se le tue idee sono buone o cattive – il buon mestiere che una volta facevano i bancari, ragionieri ed economisti ora sostituiti da matematici e fisici – tanto se non paghi ti portano via la casa. Inoltre dal 1999, con l’abolizione da parte del Congresso USA (allora a maggioranza repubblicana; poi la legge fu promulgata da Clinton) della legge Glass-Steagall, che aveva introdotto Roosevelt nel 1933 (dividendo le banche commerciali da quelle d’affari/speculative), tutte le banche possono speculare su tutto ed è questa l’attività principale delle grandi banche oggi nel mondo occidentale, non quella di favorire gli investimenti e l’occupazione sul proprio territorio.

Questa deriva della centralizzazione e concentrazione dei capitali è in realtà un disastro per l’Europa, che non è uno Stato sovrano ma un mero grande mercato. In Cina tutto il risparmio dei cinesi finisce nelle banche cinesi; negli Stati Uniti, dove di risparmio privato ce n’è poco (i suoi cittadini sono iper consumisti ed è lì che hanno inventato le rate), si ricorre al risparmio del resto del mondo, sfruttando il potere del dollaro; in Europa, dove di risparmio privato ce n’è tanto, esso viene dirottato in gran parte nelle banche e nei fondi speculativi anglosassoni che lo usano per investire nelle loro economie. Ecco perché la finanza è così importante oggi, in quanto è colei che decide a chi dare i soldi e chi far “fiorire” o “morire”. Noi in Europa facciamo fiorire le big tech americane, tanto più procede la concentrazione bancaria in poche grandi banche europee. Ed è significativo l’accordo tra Meloni e Musk e gli altri big tech per far venire in Italia imprese made in Usa che sfrutteranno i nostri ottimi ingegneri a basso costo del lavoro. Il nostro Governo è silente e in grande imbarazzo sulla questione Unicredit-Commerzbank, in quanto si tratta di rompere con la logica del sovranismo, di allinearsi alla logica capitalistica (e americana) delle concentrazioni indipendenti dalla nazionalità, di colpire la Germania che è l’unica che si può opporre nel lungo periodo all’americanismo. L’esatto contrario di quanto sostenuto per 20 anni dalla Meloni e da FdI.

In Europa l’unico paese che si è parzialmente opposto alla concentrazione delle banche è stata proprio la Germania, la quale ha conservato non solo un ampio settore di banche pubbliche ma anche di piccole banche a favore dei territori, delle loro imprese e dei loro lavoratori (com’era una volta anche in Italia). Negli altri paesi invece è andata avanti quella concentrazione bancaria a cui si dichiara favorevole anche Draghi nel suo rapporto, per creare “campioni europei” che si oppongono a Cina e Usa, ma che in realtà sono fuori controllo da parte dei territori, degli Stati e dei propri clienti-risparmiatori-cittadini ed il cui scopo è fare soldi per i ricchi.

Così oggi ci troviamo nella situazione per cui le banche tedesche sono le più piccole in Europa. Le banche maggiori in termini di capitalizzazione di borsa sono UBS (97 miliardi) che ha appena assorbito Credit Suisse, BNP Paribas (70 miliardi), Santander (65 miliardi), Intesa San Paolo (67 miliardi) e Unicredit (59 miliardi), Credit Agricole (45 miliardi). A distanza seguono le tedesche Deutsche Bank con 27 miliardi e Commerzbank con 4 miliardi. In Germania e Italia l’80% del capitale azionario è controllato dal 2% degli azionisti, negli Stati Uniti dallo 0,2%.

L’abrogazione del Glass-Steagall Act del 1999 ha consentito a tutte le banche di speculare e di diventare sempre più grandi al punto da essere “too big to fail”, cioè troppo grandi per fallire. Se vanno in crisi per azzardi finanziari ci pensa lo Stato a salvarle, onde evitare (questa la ragione addotta) danni sistemici all’economia reale. La Germania si era sempre caratterizzata per un sistema bancario solido ed efficace in quanto controllato quasi per metà dallo Stato, dai Länder e dai sindacati, che ha svolto un ruolo non indifferente nel suo sviluppo. Ora però il possibile acquisto del 21% di Commerzbank da parte dell’italiana Unicredit, divenuto d’attualità subito dopo la presentazione del rapporto Draghi, ha messo in subbuglio i tedeschi. Unicredit è già salita al 21% con una spericolata operazione finanziaria, acquistando l’11,5% di azioni tramite un derivato messo a punto dalla banca inglese Barclays e da Bank of America. Se arriva al 30% avrà il controllo della banca tedesca. I sindacati tedeschi sanno bene che perdere il controllo può significare esuberi di personale anche in Germania.

L’americanismo di Scholz rischia di far deflagrare la Germania. Per la serie “tutti i nodi vengono al pettine”: dalla crisi dell’auto, ai prezzi alle stelle dell’energia, alla vendita delle banche tedesche, alla conseguente recessione e avanzata dei partiti anti-sistema.

Opporsi alla scalata (non monopolista) ad una banca contrasta con le leggi della concorrenza capitalistica, ma è anche figlio della preoccupazione che le concentrazioni non facciano così bene ai tuoi occupati, alle tue imprese e ai tuoi territori, in quanto oggi la principale vocazione delle banche è speculativa. Si tratta di uno scontro tra gli interessi degli occupati, dei risparmiatori e delle imprese tedesche e quelli del grande capitale e della grande finanza (voluta da Draghi), che dimostra che se il capitalismo non viene temperato produce disuguaglianza e concentrazione di potere e di reddito. Cose già scritte da un vecchio con la barba (capitolo X del III libro) morto a Londra il 14 marzo del 1883 a 65 anni.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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