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“Mettere in scena la verità”. Intervista al regista Massimiliano Piva

Massimiliano Piva

L’intervista al regista Massimiliano Piva nasce dal desiderio di far parlare coloro che hanno veramente  qualcosa da dire, sorto dall’emozione dello spettacolo del 28 giugno in scena alla Sala Estense  di Ferrara “Se  camminassi verso di te….” (vedi articolo 1 luglio 2024 su Periscopio). Dopo averne sperimentato gli effetti  sul pubblico, sugli attori, alcuni con disabilità gravi, sui  volontari dell’Aias, come fosse un intero corpo facente parte dello spettacolo, è scaturita la voglia di capire meglio il percorso del regista, di conoscere la persona che riesce a creare relazioni all’interno dello spazio teatrale.

La prima domanda verte appunto su questo:

In questi ultimi anni sei attivo in molte località, in Italia e all’estero. Da dove sei partito? Come sei arrivato al teatro ?

Sicuramente la mia ricerca nasce da un disagio…un disagio che ho trasformato in poesia. La poesia è quello che il mondo ti silenzia: laddove la parola spesso è menzogna, il corpo parla. Pur avendo fatto formazione nel teatro “convenzionale”, con il Teatro Nucleo, per esempio, le esperienze più importanti sono state nel sociale, nelle scuole e alla Città del Ragazzo. Quando, negli anni 90, lavorando nella scuola Cosmè Tura, un bambino autistico – epilettico, inizialmente ostile a qualsiasi contatto, mi venne in braccio, ho compreso che quella era la mia strada. Ho destrutturato tutto ciò che credevo di sapere fino ad allora, salvando solo la musica, l’unica cosa che è rimasta sempre nel mio percorso. Ho cominciato a considerare il teatro tradizionale come uno stereotipo: quello che si deve arrivare a mettere in scena è la verità. All’attore chiedo di essere se stesso il più possibile. Ho  lavorato con diversi tipi di soggetti con poca visibilità sociale, dai disabili congeniti ai traumatizzati cranici, dagli immigrati  ai giovani a rischio di abbandono scolastico.

La tua impostazione come regista si basa su un metodo: Il Cosquillas Theatre Methodology, dedicato infatti al mondo del sociale, e particolarmente a tutti coloro che, per condizioni strutturali di svantaggio o per difficoltà di ascolto delle persone di riferimento, necessitano di esprimere emozioni, sensazioni e frustrazioni che diversamente andrebbero perdute. Parlaci di questo metodologia e di come la utilizzi a livello teatrale.

Il riconoscimento ministeriale del metodo è avvenuta nel 2020 e, stabilizzando l’esperienza, ha aperto molte nuove possibilità di realizzazione. Dei cinque step che compongono il metodo ( 1. Il cerchio; 2. I quadri; 3. Lo sguardo. 4. Lo specchio; 5. Il risveglio) nella formazione del gruppo pongo particolare attenzione ai primi tre, che sono quelli in cui si costruisce la fiducia reciproca, in cui ti vengono consegnate, per così dire “ le chiavi di casa” per entrare nell’intimità di ciascuno.

I bisogni essenziali di tutti gli esseri umani sono sostanzialmente l’amare, l’essere amati e l’essere ascoltati.  Il cerchio è molto importante perchè permette ad attori non professionisti di sperimentare per la prima volta un pubblico, in questo caso  gli altri componenti del gruppo, con cui si sta costruendo un progetto comune.Ci si trova ad essere testimoni del racconto degli altri e a vivere il gruppo. Entrano in campo fin dalle prime fasi le tre intelligenze emotive: cinestetica, uditiva, visiva.

Il cerchio parte da un gruppo di persone sedute, equidistanti, in circolo, su sedie (zona di confort), che passeranno una pallina dicendo il loro none.  Dopo alcuni giri nascerà il suggerimento di guardarsi negli occhi. Passandosi un oggetto unico per tutti, che spesso è una pallina. Dicendo il proprio nome uno alla volta e guardandosi negli occhi, fa nascere la prima opportunità del gruppo. Questo primo passaggio, è necessario per affrontare un futuro testo, perché farà conoscere l’intimità della propria voce al gruppo, abituandosi a condividerla. Inoltre, vivendo la possibilità di sensibilizzare l’utilizzo degli occhi negli occhi, permette ai partecipanti di avviare il percorso verso il linguaggio non verbale.

Il secondo step, dei quadri, è il primo embrione di scena teatrale. Rappresenta l’armonia dei corpi, ispirata dai quadri di Caravaggio, Gentileschi, per citare i più noti. Partendo dai quadri attivo la musica, in base alle caratteristiche del gruppo, che non deve comunque sovrastare l’armonia del quadro. Parte la musica  e si instaura una catena di complicità. È nella seconda fase di questo step, che scatta la domanda e il desiderio di sapere e mostrare chi siamo, si comincia a pensare come andare in scena.

Il terzo step, dello sguardo è basato sul contatto visivo dei partecipanti, fondato sulla fiducia di uno sguardo non giudicante e sul desiderio di mostrare   “chi sono io adesso?” È contemporaneamente la sorgente di una domanda e il fulcro di una nuova vita, che culminerà nella quinta e ultima fase del “risveglio”.

Sei sempre presente nella conduzione del gruppo ?

Sono presente, perché in genere nel gruppo c’è la paura di non essere all’altezza, se non condotto. Ma non mi sento proprietario di nessuno, mi evolvo con loro.

 L’obiettivo è di raggiungere tutti un livello di totale nudità, dove non mi svuoto, non mi colmo, non mi esaurisco. Piuttosto mi innamoro. Ecco, bisogna accettare il rischio e l’opportunità di poterti innamorare di tutti quelli che hai davanti. Ogni essere vivente non è altro che la più unica e grande opera d’arte mai esistita al mondo.

Fra un po’ partirò per l’Ucraina, per una nuova esperienza.

Cover: un momento dello spettacolo

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Eleonora Graziani

Laureata in pedagogia e filosofia, PHD in feminist studies presso l’Università di Coimbra. Ha insegnato in Italia e all’estero, in carcere e agli adulti stranieri lingua e cultura italiana. Filosofa femminista ha al suo attivo diverse pubblicazioni sulla mistica femminile.

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