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Ferrara film corto festival

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Dino Tebaldi, nel suo libro “Dietro le sbarre”, dopo i capitoli dedicati alla presentazione della sua prima esperienza come insegnante in carcere, prosegue con alcune riflessioni di tipo pedagogico e alcune proposte didattiche. Tralascio di pubblicare in questa sede quelle parti invitando il lettore interessato a consultare una copia del libro nelle biblioteche cittadine. Preferisco invece rendere pubblici alcuni scritti dei suoi studenti che sono sicuramente frutto dei loro ricordi ma anche degli insegnamenti di un maestro davvero unico come Dino. Con grande onestà e rispetto, il maestro Tebaldi ha scelto di pubblicare due versioni di quei temi: la prima così come scritta dall’autore (errori ortografici compresi), la seconda corretta da lui. Di seguito potete leggere la versione corretta.
(Mauro Presini)

Quando andavo a scuola

di A.J.M.M.

Testo corretto dal maestro

Quando avevo meno di quattro anni fui ospitato – insieme con mio fratello che era quasi un’adolescente – in una scuola di campagna chiamata Nazareth, lontana da casa più o meno un’ora di auto. Era un bel posto in montagna; la scuola era diretta da suore appartenenti alla comunità del Sacro Cuore di Gesù.

Mio padre lavorava, e mia madre anche, però i soldi guadagnati erano scarsi e le condizioni di vita erano difficili. Questo rendeva impossibile pagare una donna per i lavori di casa o la custodia dei bambini in sostituzione dei miei genitori nelle ore del loro lavoro.

Senza altre possibilità di scelta, essi hanno deciso di portarci in quel convento di campagna. Fu lì che imparai l’alfabeto ed a scrivere le prime sillabe, a distinguere i numeri fino a 100 e anche a scriverli.

Tutto questo sacrificio ha avuto una durata di due anni, dopodiché i miei genitori si sono sistemati e felicemente tutta la famiglia ha potuto riunirsi di nuovo.

Ho continuato a frequentare la scuola in un luogo vicino a casa.

Quattro anni avevo – ricordo confusamente – quando percorrevo da solo nelle prime ore tutte le mattine una strada stretta che separava la mia casa dalla scuola.

Luz Marina – era il nome della professoressa – ogni mattina, in piedi vicino alla porta, gentilmente con un grande sorriso in faccia ci dava il benvenuto. Ricordo, ma con poca chiarezza, quel vestito rosso che per l’occasione indossava e quella bionda capigliatura che scendeva fin sulle spalle.

Era giovane e bella, dicevano gli altri, ma io in quel tempo non potei valutarne gli attributi fisici.

Somme e sottrazioni con una sola cifra furono le prime operazioni matematiche che la bionda professoressa mi insegnò, oltre a tante altre cose: che la terra era rotonda come un’arancia e che Cristoforo Colombo fu il primo a dimostrare questa ipotesi; che Gesù fu nostro Salvatore; e che Maria vergine era sua madre; e che nostro signore era anche nostro padre.

Fu l’avvio all’educazione religiosa, un campo nel quale mia mamma aveva seminato profondamente un sentimento di fede, che vive anche oggi, e sostiene la mia esistenza.

Gli anni giovanili sono passati tra libri, quaderni e giochi, armoniosamente: dall’innocenza all’infanzia precoce; raccogliendo passo dopo passo i frutti del mio sforzo che i miei genitori apprezzavano e facevano propri.

Furono felici tutti in quei giorni. fino a…

Adesso debbo dire che ho avuto tanta fortuna, con tutti quei professori che mi hanno formato sia culturalmente che umanamente e sento vergogna di avere sbagliato.

 

Cover: la sala teatro del carcere di Ferrara.

Per leggere le altre uscite di Le Voci da Dentro clicca sul nome della rubrica. Per leggere invece tutti gli articoli di Mauro Presini su Periscopio, clicca sul nome dell’autore

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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