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Concessioni balneari e precari della PA: quando lo Stato sana i privati, ma l’Europa lo costringe a sanare se stesso.

I gestori delle spiagge in Italia sono circa 30mila. Sono quasi tutte famiglie che si tramandano questo lavoro anche da 100 anni. In alcun casi beneficiano di bassi affitti che lo Stato fa pagare per la concessione della spiaggia. L’Agenzia delle Entrate ha dichiarato che il tax gap medio è del 60-70%, cioè dichiarano in media un terzo del dovuto. Ma ci sono differenze enormi tra i gestori: se in media in una stagione si guadagna dai 50mila ai 100mila euro, ci sono quelli che vanno ben oltre i 200mila euro.

Nessun governo, in 75 anni di Repubblica, si è mai azzardato a chiedere che si facciano delle gare al termine delle concessioni che durano in media 20-30 anni, in quanto si tratta di un vasto bacino elettorale (per la sinistra nelle regioni rosse, per la destra in quelle bianche). Ovviamente se i gestori -quasi sempre famiglie- dovessero perdere la gara (che si basa in gran parte su una offerta economica) avrebbero diritto alla remunerazione degli investimenti non ammortizzati, come prevede anche la nuova legge. Com’è noto, l’Europa chiede all’Italia da più di 10 anni di fare le gare e ora ha raggiunto un accordo col Governo Meloni che le stesse si dovranno fare improrogabilmente entro la fine del 2027 (max. marzo 2028), cioè 9 mesi dopo le prossime elezioni politiche (che sono previste per il 27 giugno 2027), in modo tale che i balneari non possano essere indotti, da eventuali provvedimenti antecedenti, a cambiare preferenze di voto.  Dopo le elezioni in ogni caso arriverà per loro la “sorpresa”: il disegno di legge governativo appena pubblicato non prevede alcun limite di concessione a un singolo gruppo imprenditoriale. In sostanza le multinazionali (italiane ed estere) e i grandi gruppi del turismo potranno presentarsi a gara ovunque lo desiderano, in barba a tutte le dichiarazioni a favore dei patrioti della premier Meloni. Ma non aveva detto di essere contraria all’invasione degli stranieri e delle multinazionali estere e che vuole difendere il lavoro artigiano italiano? Mica male come eterogenesi dei fini per chi ha come slogan “Dio, Patria e Famiglia”.

In economia la concorrenza è considerata positiva, come concetto generico, ma va sempre regolamentata: se infatti fai gareggiare un peso massimo con un peso piuma si sa già chi vincerà e tutti i paesi cercano di favorire i propri cittadini. Ma qui l’idea è proprio l’opposto. Basterebbe limitare la partecipazione ad una sola gara per gruppo imprenditoriale e forse l’”italianità” sarebbe salva.

Nel frattempo, il Governo è stato costretto a “pagare per sanare” i precari storici della Pubblica Amministrazione (insegnanti, infermieri, dipendenti vari nella Pubblica Amministrazione) che sono stati assunti nel corso di vari anni con contratti a tempo determinato, cosa che nel privato non è possibile se non con dei limiti (massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi, a prescindere dal numero dei contratti). L’Europa ha avviato contro lo Stato italiano una procedura di infrazione aperta a luglio 2019 contro “l’abuso di contratti a termine (lo fanno tutti i Governi), per manifesta discriminazione rispetto a chi è assunto a tempo indeterminato, soprattutto a favore dei cosiddetti “precari storici”. Ci sono infatti insegnanti che lavorano tutto l’anno (anche per 7-10 anni) sempre con un contratto a tempo determinato. Lo Stato dovrà pagare da 4 a 24 mensilità a seconda della gravità dell’ingiustizia. Molto bene. La domanda retorica e amara, specie per noi che siamo a favore del ruolo dello Stato nell’economia (almeno in alcuni settori strategici) è la seguente: ma si può avere ancora nel 2024 uno Stato così inefficiente? Non sarebbe ora di trovare soluzioni a storture così evidenti? E’ dura poi difendere la gestione dello Stato in tutte le materie, quando diritti elementari dei lavoratori vengono sistematicamente violati per acclarata inefficienza organizzativa di chi dirige la “macchina Stato”.

 

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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