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Vite di carta. Festivaletteratura di Mantova 2024 : il giorno dopo

Rileggo quello che ho scritto giorni fa, prima che avesse inizio la 28ª edizione del Festivaletteratura, in programma dal 4 all’8 settembre, e misuro la distanza tra la mappa caleidoscopica che l’ha prefigurata e il suo svolgimento reale.

La pioggia di giovedì e di domenica, le variazioni fisiologiche del programma intervenute per i motivi più diversi hanno in parte modificato il mosaico degli oltre 300 incontri. Se si aggiungono gli imprevisti che mi sono capitati dentro lo spazio della città, ecco che Mantova mi appare in soggettiva come la sua torta Sbrisulona e mi si concede in briciole.

Saltati gli accrediti per alcuni incontri, trovata vuota Piazza Sordello sotto il diluvio, ho ascoltato gli eventi rimasti nel mio carnet di biglietti e vagato nelle postazioni a ingresso libero, trovandole zeppe di ascoltatori e di mormorii a commento.

Tuttavia un’idea me la sono fatta di come sia andato il Festival nella edizione 2024.

Tantissime le domande per fare i volontari, doppie rispetto ai cinquecento effettivamente reclutati nei vari servizi. Qualcosa mi dice che sono stati privilegiati i giovani e giovanissimi, e me ne compiaccio. Che si facciano avanti e leggano e vedano gli scrittori in carne e ossa. Che i libri siano strumenti di dialogo e le giornate ad essi dedicate portino la stanchezza più totale e più bella che c’è.

Molti gli eventi sold out fin da mercoledì. Credevo di potermi iscrivere a un incontro di nicchia, chiedendo l’accredito per il n.140 di sabato mattina, Torquato Tasso e gli editori: storia di un conflitto. Avevo pronti i ricordi dell’Università, delle lezioni di Ezio Raimondi sulla Liberata, comprese le tormentate vicende editoriali, e invece niente.

Incontro le ex colleghe e amiche del Liceo Ariosto e mi parlano di altri eventi importanti, mi dicono in quali postazioni sono i ragazzi del gruppo Galeotto fu il libro, quanto sono interessanti gli eventi del Blurandevù gestiti da alcuni di loro.

Vado con l’amica Stefania alla scuola primaria Don Mazzolari a vedere come se la passano due sue studentesse e scopro insieme a lei il bel progetto del quartiere Valletta Valsecchi: il mosaico delle piccole storie scritte dagli abitanti nei mesi passati sta per diventare un albo illustrato da vari fumettisti, coordinati da Alessandro Baronciani. “Un incredibile romanzo a più voci”, come recita il Programma.

Il vuoto lasciato da Tasso  si riempie anche di altre sollecitazioni, titoli di libri e nomi di autori.  È il caso di Sabrina Efionayi, la giovane scrittrice di Napoli di origini nigeriane che Francesco ha intervistato, e sul gruppo ferrarese dei Galeotti arrivano le foto e i commenti entusiasti degli altri, studenti e docenti insieme.

Francesco intervista Sabrina Efionayi a Blurandevù

Quest’anno Festivaletteratura ha chiesto a lei come autrice un commento a caldo sulla edizione di questi giorni: nel comunicato stampa finale volano parole incantate. Dice di essere tornata dopo nove anni dalla prima volta e di avere ritrovato tutta la magia della città e i tantissimi lettori e lettrici che insieme ai ragazzi volontari sono “il cuore pulsante del festival”.

Ho ascoltato Francesca Mannocchi intervistare Colum McCann giovedì pomeriggio alla postazione in Castello. Una giornalista e uno scrittore straordinari che credono nella potenza di ogni singola storia, credono che le storie tengano insieme il mondo.

Mannocchi chiede come è nato il libro Una madre e McCann espone la vicenda di Diane Foley, il cui figlio James, che era giornalista, fu preso e poi decapitato dai terroristi dell’Isis dopo due anni di prigionia, nel 2014. Diane ha ricostruito i mesi di prigionia vissuti dal figlio e dagli altri ostaggi, mettendo in luce le mancanze della amministrazione governativa americana e dell’FBI; ha voluto incontrare in carcere uno degli assassini del figlio e gli ha dato la mano.

Lo ha ascoltato raccontare dei droni statunitensi che in Siria hanno ucciso i bambini, lo ha visto piangere per le sue figlie lontane. Dice Mannocchi che nella stretta di mano istintiva di Diane ad Alexanda Kotey sta l’umano, la capacità di ascoltare l’altro che può preludere al perdono.

McCann annuisce e le chiede se secondo lei esiste la possibilità che palestinesi e israeliani possano arrivare alla pace. “I don’t know” è la risposta, ma subito dopo arriva la considerazione che bisogna continuare a raccontare l’umano, tentare di conoscere l’altro per costruire il mosaico del mondo. Vado via e intanto mi ripeto una frase di McCann: siamo avvelenati dalle certezze, e invece bisogna andare a vedere il mondo dove è più sbilenco, bisogna esercitare il dubbio, stare in ascolto.

Esco poche ore dopo dall’incontro con lo scrittore Hisham Matar, statunitense di origine libica, con un’altra frase piantata in testa. Un’altra idea, un altro tassello.

Nel suo recente romanzo Amici di una vita, che ho golosamente comprato e fatto firmare da lui, si intrecciano ancora una volta le storie individuali di tre amici nati in Libia ma in seguito emigrati, chi a Londra e chi negli Stati Uniti.

L’intreccio è tra i loro percorsi di vita e le direttrici della storia, tra gli anni della protesta anti Gheddafi e l’inizio della Primavera araba. C’è l’esilio nelle loro vite, ci sono le lacerazioni di quando si va via da un paese e si ritorna. La frase che mi resta attaccata quando l’incontro finisce è che la scrittura ha a che fare con l’esilio.

Il dissidio di cui Paolo Giordano, qui oggi in veste di intervistatore, gli ha chiesto di parlare è un dissidio amletico che è ineludibile per chi scrive: le direzioni dell’esilio, l’andare e il tornare nel proprio paese, si rinnovano nello stare dentro e fuori dalla storia che si sta narrando: dentro per viverla e fuori per trasfonderla nelle parole, per trovarle. Andando dietro alle cose da dire per come sono e non per come vorremmo che fossero.

Hisham Matar al firmacopie
Paolo Giordano intervista Hisham Matar (traduttrice Marina Astrologo)

Trovo intense connessioni fra le cose che ho sentito, convinta che le storie singole portino ognuna in sé i segni della Storia grande. Ho sentito Maria Grazia Calandrone e Claudia Durastanti parlare dei loro libri e della loro scrittura che sfonda il limite tra l’autobiografia e la storia collettiva, annullando la barriera tra due generi narrativi di lunga tradizione.

Questa maniera diversa e più libera di andare alla ricerca della verità fa di loro, come ha sostenuto Giorgia Tolfo nell’intervistarle, le migliori autrici italiane del momento.

Giorgia Tolfo intervista Maria Grazia Calandrone (al centro) e Claudia Durastanti (a destra)

Memento: alcuni anni fa Michela Murgia, sugli stessi palchi del Festival, disse con voce stentorea al pubblico venuto a sentirla: “Fidatevi della letteratura”.

Nota bibliografica:

  • Colum McCann, Una madre, Feltrinelli, 2024
  • Hisham Matar, Amici di una vita, Einaudi, 2024
  • Maria Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata,  Einaudi, 2022
  • Maria Grazia Calandrone, Magnifico e tremendo stava l’amore, Einaudi, 2024
  • Claudia Durastanti, La straniera, La nave di Teseo, 2019
  • Claudia Durastanti, Missitalia, La nave di Teseo, 2024

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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