Ferrara, culla del fascismo italiano: una storia con radici lontane.
Dialogo con la storica Antonella Guarnieri
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Ferrara, culla del fascismo italiano: una storia con radici lontane. Dialogo con la storica Antonella Guarnieri.
“I fantasmi della Bassa”(qui uno dei link, ma si può trovare ovunque, compreso Spotify), è un podcast che tutti dovremmo ascoltare. Ricostruisce con documenti e testimonianze un periodo importante della storia ferrarese (1870-1922), quello che dalla Grande Bonifica passa attraverso le lotte dei braccianti, e che ad un certo punto – soprattutto nel biennio 1920/1921, con la spinta e il foraggio delle grandi famiglie agrarie locali – diventa la chiave per l’ affermazione del fascismo in Italia. La consulenza storica al podcast si deve ad Antonella Guarnieri, storica per l’appunto, scrittrice (tra gli altri “Il fascismo ferrarese: dodici articoli per raccontarlo”, Tresogni Editore, in probabile ristampa vista l’elevata richiesta), vicepresidente Anpi Ferrara, fino al 2020 referente del Museo del Risorgimento e della Resistenza. Periscopio l’ha intercettata per una chiacchierata molto libera, che abbraccia anche il periodo specifico in cui si data la nascita vera e propria del fascismo a Ferrara, prendendo spunto dai temi del podcast, ma senza fermarsi solo su di essi – anche perché vale davvero la pena di ascoltarlo, “I Fantasmi della Bassa”. (NdR: Antonella Guarnieri ci perdonerà per le semplificazioni e gli schematismi funzionali a condensare la conversazione con una storica come lei, che è un ipertesto parlante, nel contesto di un articolo).
P: Il periodo 1920/22, soprattutto, rappresenta uno snodo cruciale della storia sociale e politica non solo di Ferrara, ma dell’Italia. E’ la fase nella quale sono proprio i grandi proprietari agrari della provincia ferrarese a iniettare la linfa economica che si rivelerà vitale per la ripresa prima su scala locale, poi nazionale, di un fascismo che sembrava morto prima di nascere, visto che nel 1919 aveva subito una netta sconfitta elettorale. Ma come hanno fatto a far resuscitare un morto?
AG: Intanto, perchè lo hanno fatto: col precipuo scopo di soffocare le conquiste dei braccianti e delle loro organizzazioni sindacali, ottenute grazie alle lunghe lotte degli anni precedenti. La Grande Bonifica ferrarese, iniziata nella seconda metà dell’800 fu una gigantesca operazione di ingegneria idraulica che arricchì ancora di più i grandi proprietari terrieri, i quali decisero di non fare lavorare quei terreni da contadini con contratti che li legassero alla terra, ma di prendere degli avventizi, degli operai giornalieri, pagati pochissimo e costretti a vite terribili, di fame, malattia e spesso morte in giovane età, tutto questo per limitare al massimo le spese, evitando, ad esempio, la costruzione di abitazioni. Nasce così un nuovo soggetto: il bracciante agricolo, una sorta di nuovo “servo della gleba”. Saranno uomini e donne senza speranze, capaci di ingaggiare lotte epocali che grazie alle Leghe sindacali socialiste e cattoliche popolari li portarono ad ottenere miglioramenti che i capitalisti agrari non riuscivano a digerire. Vico Mantovani, capo degli agrari, l’uomo che chiederà a Italo Balbo di diventare, a pagamento, l’organizzatore del “nuovo” squadrismo agrario, differente da quello “della prima ora” caratterizzato anche venature “socialisteggianti”, ebbe l’idea di usare quegli uomini, appartenenti ad un movimento pesantemente sconfitto alle elezioni politiche del 1919 – Mussolini non fu nemmeno eletto- per liberarsi dei “rossi”, come li chiama in un bel documento dell’Archivio centrale dello Stato che, in realtà erano stati eletti democraticamente. Egli viene solidamente appoggiato dal conte Giovanni Grosoli, importante esponente della finanza cattolica, rigido conservatore che metterà i suoi giornali, al servizio dell’operazione “sovversiva”, che doveva abbattere una giunta eletta, ripetiamolo, democraticamente, che aveva portato all’interno del Municipio quel popolo che i potenti estensi non accettavano all’interno delle istituzioni che ritenevano solo a loro riservate.
P: si può quindi in qualche modo tracciare una linea di continuità che leghi le rendite del periodo rinascimentale ai possedimenti dei latifondisti che finanzieranno il fascismo?
AG: difficile, e soprattutto necessitante di una ricerca seria e scientifica, rendere certo un legame del genere. E’ però certo che uno dei problemi atavici di Ferrara, che ne ha condizionato in negativo lo sviluppo economico, è legato anche alle scelte di tipo economico e governative del tanto celebrato ducato estense. Lo scrive ad esempio lo storico e letterato Antonio Piromalli: Ferrara, prima degli Estensi, era un centro economico e commerciale importante. Sicuramente lo spostamento del corso del Po a causa delle rotte che si susseguirono nella seconda metà del XII secolo cambiarono il volto di una città ricca e commerciale, ma è innegabile che gli Estensi si impegnarono per impedire la nascita di una borghesia imprenditoriale autonoma, a differenza, per esempio, di quello che hanno fatto i più lungimiranti Medici a Firenze. Gli Estensi furono certo i signori della città di Ferrara, che resero splendida e frequentata da uomini di primo piano di ogni settore della cultura, della scienza e dell’arte, ma su di essa tuttavia dispiegarono un potere dittatoriale e brutale. Il contado era oberato di tasse, i gabellieri arrivavano ad esercitare violenze, brutali, giungendo fors’ anche ad uccidere, chi non pagasse. I signorotti stessi erano asserviti. Quando gli Estensi se ne vanno non lasciano, certo, un tessuto economico vitale, e l’avvento dello Stato Pontificio non fa che mettere la ciliegina sopra una torta economica già avvelenata. Mi rendo conto che parlare in modo critico degli Estensi a Ferrara è difficile…
P: sapevamo della tendenza all’agiografia di Italo Balbo, di cui è difficile parlar male a Ferrara, ma l’agiografia degli Estensi sembra ancora più radicata, in effetti. Parlaci anche delle “opere” del subentrante Stato Pontificio, dopo la cosiddetta “devoluzione”.
AG: per prima cosa lo Stato Pontificio chiude gli ebrei nel Ghetto, nel 1624, senza peraltro togliere loro i patrimoni e le finanze. Diversi fuggono a Modena con gli Este dopo la devoluzione alla Chiesa del Ducato, ma numerosi di loro restano. Gli ebrei erano gli unici veri imprenditori a Ferrara: il primo insediamento in città è collocato attorno all’anno mille, nella zona dietro via Garibaldi, ma quelli erano gli stracciari, i tintori, gli ebrei “poveri”. Gli ebrei “ricchi”, i banchieri, arrivano dopo: sono quelli che finanziano anche i palazzi ducali, sono colti e intraprendenti. Alcuni di loro, tra quelli rimasti a Ferrara, in seguito sovvenzioneranno i moti risorgimentali ai quali parteciparono anche attivamente, come testimoniano diversi documenti, per sconfiggere lo Stato Pontificio e riottenere la libertà. Ma anche all’inizio del ‘900, gli ebrei sono i maggiori imprenditori e certo non solo agricoli, a Ferrara: la famiglia Hirsch, per esempio, che amministra un maglificio all’avanguardia sia tecnicamente sia nel rapporto con le maestranze, che occupa più di mille persone. La successiva persecuzione degli ebrei ad opera del fascismo, molto dura a Ferrara, oltre al sentimento di ripugna, generato dal fatto in sé, rappresenta l’ulteriore e pervicace forma di oppressione verso l’unica classe che possedeva veramente delle capacità imprenditoriali borghesi. Chiedo scusa per la semplificazione, ma anche per questo siamo diventati quello che siamo ancora oggi: Ferrara è una “nobile” decaduta governata dagli interessi del grande capitale agrario, al cui vertice troviamo persone che (salvo lodevoli ma rare eccezioni) difficilmente impegnano i loro capitali in imprese esterne all’agricoltura.
P: come si articola il rapporto tra la residua borghesia ebraica inurbata a Ferrara e il nascente fascismo – intendo quindi assai prima delle leggi razziali, che ovviamente fecero da tragica cesura ma molti anni dopo?
AG: : l’ebraismo abbiente in via maggioritaria finisce per aderire al primo fascismo, ma solo dalla fine del 1920. In un libro di Giuseppe Ghedini e di Raul Forti, militante fascista argentano delle origini vicino a Balbo, sull’avvento del fascismo a Ferrara, scritto nel 1922, si nota con evidenza che, nell’elenco dei fascisti al 19 dicembre 1920 ci sono diversi nomi di proprietari terrieri ebrei. E’ un fascismo che sta cambiando, e che sta vedendo l’entrata in opera, seguendo la strategia Mantovani-Grosoli, per capirci, dei grandi capitalisti agrari. Il primo periodo del fascismo però, leggermente antecedente e che si era protratto fino ai primi mesi del 1920, era stato differente: aderivano, infatti, principalmente giovani reduci dalla prima guerra, figli di famiglie borghesi e piccolo borghesi, anche qualche operaio, che della guerra avevano vissuto gli orrori e i disastri e ne erano usciti senza una prospettiva di vita e di futuro, nonostante le reiterate promesse del governo, durante gli anni di trincea. Uno degli esponenti ferraresi dell’epoca è Olao Gaggioli, anche lui reduce dalla grande guerra: egli, inizialmente, pur individuando come tutto il movimento fascista i socialisti come avversari, ma dovremmo dire nemici vista la violenza fisica alla quale le sue squadre li sottopone, manifesta idee simili a quelle del Mussolini di San Sepolcro del 1919, venate di alcuni elementi evidentemente “socialisteggianti”. In questo primo periodo di trattava di una vera e propria guerra tra poveri, i giovani reduci fascisti e i socialisti, che erano stai in molti casi antiinterventisti, si affrontano, senza comprendere che il vero nemico era il governo, incapace di gestire quella situazione post bellica incandescente. Se è vero che i ricchi capitalisti ebrei furono tra i fondatori dello squadrismo agrario è vero altresì che tra gli intellettuali ebrei – ad esempio la famiglia della ferrarese Matilde Bassani, nipote di Ludovico Limentani, tra i firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti proposto da Benedetto Croce – si schierano subito apertamente contro il fascismo, percependo in anticipo quello che sarebbe diventato.
P: ma questi ribelli reduci vengono semplicemente sedotti dal denaro o viene loro offerta una prospettiva e una narrazione ideale?
AG: indubbiamente gli anni delle lotte bracciantili avevano prodotto violenze ed eccessi anche da parte delle leghe: spesso gli scioperi, la paralisi delle attività agricole, gli incendi dei fienili non danneggiavano solo i latifondisti, ma anche i piccoli proprietari o gli affittuari, e questo fu un errore politico rilevantissimo delle Leghe. Nei primi anni del Novecento le leghe bracciantili ferraresi erano diventate una rete estesa ed erano diventati una forza che, in quei territori, era in grado di contrapporsi ai proprietari terrieri. Ricordiamo che, dopo lo sciopero del 1898, venne ottenuto proprio nel Ferrarese il primo rappresentante dei braccianti che con i grandi padroni discute i Patti Agrari. Allora contro i braccianti lo Stato mandava l’esercito, vent’anni dopo i grandi proprietari si resero conto che lo Stato non lo faceva più, e serviva chi lo facesse per loro, che qualcuno diventasse il loro esercito privato. Mussolini, lo scrive anche Renzo De Felice, esce dallo stato di premorte causato dalle sconfitte elettorali, proprio grazie al grande capitale agrario che pensa di poter usare i giovani del suo movimento per liberarsi di socialisti e sindacato. Va ricordato che in quel periodo gli agrari ferraresi sono i più potenti di tutta Italia. Non è un caso, quindi, che il 4 aprile 1921 egli venga a Ferrara, ufficialmente per partecipare ad una grande manifestazione fascista, in realtà per stringere, nelle segrete stanze, un patto di ferro con Vico Mantovani, capo degli agrari, e con Balbo, organizzatore dello squadrismo agrario: il futuro duce dà il proprio consenso all’uso degli uomini del suo movimento per essere impegnati capillarmente contro i “rossi” e in cambio chiede di essere inserito nel collegio di Ferrara, per le elezioni del maggio, al primo posto e di avere la certezza, come accadrà, grazie anche alle pesanti violenze esercitate dai fascisti, di essere eletto. Francamente, non credo che inizialmente fosse una questione di soldi, credo fosse disagio, rabbia, paura repressa. E’ probabile che proprio l’entrata degli agrari nel fascismo muti la prospettiva e renda il denaro e la possibilità di acquisire posizioni di primo piano, sia politiche sia economiche, centrali anche per molti di quei giovani della prima ora.
P: che ai giovani e spiantati reduci potesse interessare fare da “legione privata” degli agrari anche per avere vantaggi economici è verosimile. Nel caso di Italo Balbo, più che davanti a una verosimiglianza siamo davanti a una verità storica, per come viene costruita attraverso, appunto, il metodo dello storico: documenti e testimonianze. La sua famosa frase “sas ciapa a far al fassista?” è in questo senso esemplare.
AG: Italo Balbo è una figura interessante e composita. Fa studi un po’arrembanti – conquista la laurea non solo a suon di studio, ma anche appoggiando la rivoltella sul tavolo, quando si trova in difficoltà, come del resto altri reduci – ma certo, per quel periodo è un uomo più colto della media. La sua adesione è, evidentemente, frutto di un calcolo, della volontà di trovarsi un posto nella società, di avere un’entrata economica, tanto è vero che non si limita a chiedere cosa si guadagna a diventare fascista, ma chiede anche garanzie – un posto in banca – , nel caso in cui la scalata al potere fallisca. Balbo e Edmondo Rossoni, per citare un altro famoso gerarca poi ministro che fece carriera partendo dalla nativa Tresigallo – addirittura i suoi esordi sono nel sindacalismo rivoluzionario socialista -, erano di origini modeste. Alla fine della loro parabola di potere, diventarono ricchissimi. Balbo, oltre ad essere un uomo strategicamente preparato, però, va ricordato, era disposto a tutto per il potere. Prova ne sia quello che scrive chiaramente nel suo libro “Diario 1922, dove teorizza e mostra la messa in pratica, da parte delle sue squadre, di una violenza spietata che mirava alla distruzione, anche fisica, di quello che non era più un avversario, bensì un nemico politico da annientare in ogni modo. E’ interessante come, stabilizzatasi la dittatura, egli riesca a costruirsi, grazie ad ottimi amministratori ed intellettuali che lo supportano – basti pensare a Renzo Ravenna e a Nello Quilici – l’immagine di novello duca, di uomo interessato all’arte, alla cultura, all’economia, dando, ad esempio, lustro all’Università e rendendo la città estense luogo di grandi mostre e convegni internazionali.
P: prima hai fatto un passaggio sulla violenza che ha caratterizzato anche alcune azioni delle leghe bracciantili. Che differenza c’è tra queste violenze e la violenza fascista?
AG: la violenza dei braccianti era quella di gente che viveva un’esistenza misera e affamata, persone che non avevano nulla da perdere, visto che la durata della loro vita media era attorno ai 29 anni. Le lotte del ’19 e del ’20 mirarono, riuscendoci, a migliorare le loro pessime condizioni di vita, cosa che manderà su tutte le furie gli agrari che li consideravano, ripeto, veri e propri servi della gleba e che smuoverà la ferocia del fascismo squadrista. Un’altra cosa va detta: l’idea della rivoluzione di tipo “sovietico” nelle nostre campagne era presente come un portato più che altro “ribellistico” e molto ridotto. Erano uomini come Giacomo Matteotti, che tanto aveva lavorato, come amministratore, politico e parlamentare ad essere amati e seguiti da quel popolo affamato che egli conosceva bene. Basti pensare che nel 1925 vengono ritrovati dalla polizia nelle valli di Comacchio degli altarini con l’effigie di Matteotti e, sotto, un cero acceso per rendergli gloria. Viceversa, la violenza dei fascisti nasce da una teorizzazione della vittoria sull’avversario politico con ogni mezzo. Alcuni dettagli della violenza fascista sono stati taciuti spesso per rispetto verso le vittime. Il ricercatore Saluppo scrive delle violenze sessuali che subirono anche molti uomini – compreso Matteotti – in adesione ad un’idea di sottomissione che aveva accenti di devirilizzazione del nemico politico. Questa violenza, teorizzata come metodo politico, diventa poi struttura organizzata grazie alle finanze dei grandi agrari: i fascisti ferraresi hanno camion, hanno moto, hanno bombe a mano, fucili, armi a ripetizione. Balbo è l’organizzatore militare di tutto questo. Ricordiamoci che i fascisti chiamano “sovversivi” i socialisti, che hanno vinto regolari elezioni democratiche. Non dobbiamo stancarci di ripeterlo in un’epoca in cui si sta cercando, in parte vittoriosamente, di riscrivere la storia, invertendone il senso. Questo rovesciamento di senso delle parole ha condotto anche al giustificazionismo dei giorni nostri, come se in effetti il fascismo fosse stato una risposta d’ordine all’assalto di terroristi. Era esattamente il contrario.
P: la Grande Bonifica è stata un evento di enorme rilievo, in termini sociali, economici e, come abbiamo visto, politici. E in termini ambientali?
AG: Wu Ming 1 (al secolo Roberto Bui, n.d.r), che è di Dogato, e che ha partecipato al nostro podcast, ci ha spiegato che, secondo alcuni studi, se soltanto si riallagasse una parte dei terreni della bonifica, che peraltro in alcune zone è sempre stata una poco produttiva, Ferrara, città molto sofferente per le alte temperature estive, potrebbe usufruire di un consistente calo di temperatura. Una parte delle popolazioni locali che viveva di pesca e caccia, alla fine dell’800, quando le bonifiche iniziarono, aveva questo sentimento ancestrale, una percezione molto netta, che la bonifica, per come sarebbe stata realizzata, avrebbe stravolto anche il rapporto con la natura, oltre, diciamo noi, a creare la figura del “proletario della terra”. Queste persone si opposero a mani nude contro l’esercito, che ebbe la meglio. Forse è un parallelo azzardato, ma credo che una parte dei giovani che si oppongono, oggi, al potere che non vuole affrontare la crisi climatica, possiedano, in qualche modo, questo sentimento ancestrale e che, anche usano metodi a volte criticabili per attirare l’attenzione che nessuno gli dà, dovrebbero avere più ascolto da noi adulti e da chi di dovere.
Sostieni periscopio!
Nicola Cavallini
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Ho letto l’intervista e ascoltato il pod cast tutto d’un fiato e come sempre rimango a bocca aperta nell’ascoltare la competenza, la chiarezza e il fascino delle parole della dott.ssa Guarnieri. Complimenti e grazie per essere la mia partigiana del cuore
Hlvs