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La singolare domanda di Berlinguer

Facevo il giornalista all’Unità e alla fine di aprile del 1984 ebbi l’incarico di seguire Enrico Berlinguer, segretario generale del PCI, che venne a Ferrara per un paio di giorni, per poi recarsi ad inaugurare una sezione del partito a Contarina, in provincia di Rovigo. Dovetti sostituire Ugo Baduel, il suo resocontista ufficiale. Mi recai dove alloggiava Berlinguer – l’albergo Astra, in viale Cavour – per chiedere il testo del discorso che egli avrebbe dovuto pronunciare in serata in piazza Trento-Trieste, da trasmettere al giornale.  

Gli uomini della Digos e della vigilanza mi lasciarono passare perché mi riconobbero. Poi Antonio Tatò, l’onnipresente segretario di Berlinguer, mi sbarrò l’entrata nella stanza chiedendomi bruscamente dove andavo; dissi chi ero e perché ero lì. Tatò sparì per telefonare ed io mi trovai in piedi davanti al numero uno del Pci: curvo, quasi aggrappato a un grande tavolo, scriveva e fumava una dopo l’altra le Turmac senza filtro, sigarette ovali che estraeva da un pacchetto bianco. Scriveva lentamente, con caratteri grandi, su fogli che mi parvero da ciclostile, l’occhio destro semichiuso per il fumo. 

Eravamo noi due soli. Stetti per qualche minuto in silenzio in preda ad un forte imbarazzo. Fino a quando Berlinguer mi disse:

“Che fai in piedi? Siediti”.

Io zitto. Ero paralizzato. Sedetti.

“Dove lavori?” domandò il segretario.

Gli risposi che lavoravo alla redazione ferrarese dell’Unità, che allora ospitava una pagina di cronaca, inserita nel fascicolo regionale dell’Emilia-Romagna.

Ancora silenzio. Berlinguer continuava a scrivere lentamente, chino sui suoi fogli e fumava, fumava. Mi chiese, forse per non mettermi troppo in imbarazzo:

“Come va la Spal?”

Farfugliai qualcosa, in vita mia sarò andato allo stadio tre o quattro volte… dissi che la Spal non stava attraversando un bel momento.

Fu sempre lui a parlare:

“Che cosa scrivete nella vostra pagina?”

Abbozzai una risposta generica, cercai di spiegare su cosa intervenivamo: l’agricoltura, la chimica, la politica del Pci ferrarese, le lotte sindacali, la cronaca bianca e nera…

“E nella pagina mettete anche i morti?” mi chiese Berlinguer.

“I morti?”

“Sì, i necrologi”.

Proprio così, i morti. Risposi che pubblicavamo anche i necrologi con i quali si facevano sottoscrizioni al giornale e il dialogo finì. Berlinguer mi diede una copia del discorso che aveva terminato di scrivere, poi ci salutammo. Uscii dalla stanza per tornare in redazione. Più tardi ebbi modo di tornare all’Astra per informarmi sull’itinerario dell’indomani; ed ebbi modo di osservare un Berlinguer affettuoso che parlava con la piccola figlia dei proprietari, chiedendole come andava a scuola. 

Andai poi il giorno dopo con il segretario del Pci anche a Contarina. Durante il viaggio i dirigenti del Pci lo accompagnarono all’oasi di Boscoforte, piccola penisola incontaminata nel cuore delle valli di Comacchio. Berlinguer aveva un passo tale da lasciarsi indietro gli uomini della scorta. Il mio modesto articolo sull’inaugurazione della sezione comunista di Contarina finì in una pagina interna del giornale – in quarta, se ricordo bene – tagliuzzato qua e là.

Ripenso a volte, con qualche inquietudine, al colloquio, alla domanda sui morti che Berlinguer mi rivolse prima della sua scomparsa poche settimane dopo a Padova, l’11 giugno 1984. Per me una domanda quantomeno singolare, che dopo tanti anni risuona come un presagio.

© Franco Stefani, 2024

Enrico Berlinguer, Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984 

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.

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