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Nuovo parlamento, vecchia Europa

Il parlamento europeo non sarà molto diverso dal precedente. Le destre sono cresciute (150 seggi su 720, dal 18% al 21%, Identità e democrazia Id, Conservatori e riformisti Ecr ed altri ancora non affiliati ad alcun gruppo) ma non sono in grado di cambiare la maggioranza precedente. Sono cresciute ma meno delle aspettative. Potrebbero però influenzare i Popolari che sono il partito di centro (cresciuto anche lui di 11 seggi) verso politiche più di destra con l’obiettivo di contenerne la loro crescita. E

La strategia è sempre quella di trovare dei “colpevoli” come gli immigrati o una retorica più sovranista che però di fatto non riduce le cause vere della crescita della destra che sono l’enorme malumore delle condizioni socio-economiche di larga parte degli europei che trovano poi il capro espiatorio negli immigrati e nella burocrazia europea, nelle armi all’Ucraina,…. Fasce povere che votano a destra, nonostante le destre abbiamo intenzione di ridurre ulteriormente le tasse anche ai super ricchi e tagliare i sussidi ai poveri (come anche propone Sunak in Gran Bretagna).

In nord Europa la crescita delle destre si è arrestata. In crescita anche l’astensione, cioè la sfiducia nella prospettiva politica europea, come avviene, peraltro, nelle elezioni nazionali.

Il peso delle destre estreme è aumentato però in tutta Europa. Molti commentatori parlano della fine della mentalità del “dopoguerra” che ha segnato la storia dell’Europa anche perché le destre (ID, Ecr e partiti di ultradestra non ancora iscritti ad alcun gruppo parlamentare) sono forti soprattutto nei tre paesi fondatori: Italia (32%), Francia (35%) e Germania (15%) (oltre al 20% in Polonia) che hanno guidato questa Europa nel bene e nel male dalla sua nascita. Negli altri paesi si va da un massimo del 10% in Grecia al 1-3-6% altrove.

I principali sconfitti sono Macron in Francia e il cancelliere socialdemocratico Scholz, entrambi senza più maggioranza a causa della brusca caduta dei Verdi tedeschi e di Macron in Francia. Di certo non ha premiato la retorica bellicista contro la Russia che dirotta fondi, potenzialmente sociali, verso le armi e che non scalda il cuore di nessuno.

Macron in Francia azzarda le elezioni a fine mese sperando che i Repubblicani si alleino con lui e così la parte della sinistra più vicina al centro.
Mentre in Germania l’attuale Governo “semaforo” non pare voglia andare alle elezioni. La rincorsa a destra sui temi dell’immigrazione, delle armi all’Ucraina, la marcia indietro sulla politica climatica e a favore dei “trattori” non hanno arginato l’emorragia del centro e centrosinistra e, nel caso dei Grünen tedeschi, si è tradotta in una implicita condanna per alto tradimento che ha dimezzato l’elettorato verde. La Germania è entrata con la guerra Russia-Ucraina in una crisi, avara di futuro e ciò ha favorito le destre.

Un certo successo si è avuto nella sinistra-verdi in Italia e nelle sinistre al Nord Europa e anche altrove, dove il disagio delle popolazioni premia partiti che chiedono di tassare di più i ricchi e di fare la pace (e non le destre). Anche Sara Wagenknecht che è uscita dalla Linke (sinistra) tedesca per formare un proprio partito (Bsw), usando una parte dei temi della destra (solo immigrazione regolare, no armi all’Ucraina), oltre alle classiche parole d‘ordine della sinistra, ha avuto successo (6,1%, doppiando la Linke). Questo “test” è interessante perché mostra che la sinistra viene premiata se usa parole d’ordine radicali, ma non lascia alle destre questioni centrali per i ceti poveri come: immigrazione, sicurezza e pace.

La maggioranza in Consiglio Europeo (361 seggi) potrebbe essere simile all’attuale, ma più debole.
L’Europa rischia grosso però perché non può restare un gigante economico senza una equivalente forza politica. Impresa sempre più difficile nel contesto di una globalizzazione in cui Cina e USA fanno sul serio e non fanno sconti all’Europa, resasi odiosa a vasti strati sociali come mera curatrice dei mercati, della moneta e della finanza. Le destre puntano su questo disagio sociale, sono contro gli immigrati (di cui pure c’è bisogno con una immigrazione legale e ordinata) e offrono soluzioni nazionaliste ancor meno capaci di risolvere i problemi.

Roberto Napoletano, già direttore de Il Sole 24 ore dal 2011 al 2017, ha aggiornato il suo libro (Il cigno nero e il cavaliere bianco, ed. La nave di Teseo, 2024, pag. 560, 16 euro) in cui fa il paragone tra l’annus horribilis 2011 e il “2024: l’anno della svolta”, sottotitolo della II edizione. Il cigno nero, per Napoletano, sono le politiche europee seguite alla prima crisi finanziaria (dei sub-prime Usa del 2009) che gettò tutta l’economia dell’Occidente in recessione. Gli Stati Uniti si ripresero in un solo anno con politiche espansive (keynesiane), mentre l’Europa ci mise 3 anni a capire che doveva fare anche lei politiche espansive. Tutti citano il “Whatever it takes” di Draghi per difendere l’Euro, ma pochi sanno che quel discorso fu fatto a Londra il 26 luglio del 2012 (3 anni dopo l’avvio della crisi subprime).

Faccio presente che ancora oggi (2024) l’occupazione di cui si dice che l’Italia ha un livello massimo mai raggiunto (di tasso di Occupazione), non ha raggiunto il livello di ULA (Unità di Lavoro) del 2008, un indicatore più preciso degli Occupati (che invece ha superato il livello del 2008) perché considera un part-time la metà di un tempo pieno (potenza della manipolazione statistica).

Per Napoletano allora l’Europa sbagliò con “politiche pro-cicliche – in sostanza di austerità- che si avvitano su sé stesse e invece di curare la malattia l’aggravano”. Allora fummo salvati dal “Cavaliere bianco”, cioè da Draghi che (anche per l’appoggio della Merkel) come presidente della BCE, avviò dal luglio 2012 una politica di espansione (Whatever it takes), garantendo l’acquisto del debito pubblico italiano senza limiti, dando così solidità all’euro contro qualsiasi speculazione finanziaria.
Da allora Draghi ha cambiato idea sull’euro e si è convinto (a ragione) che dietro la moneta deve esserci un sovrano che nell’area euro non si è voluto. Ed è anche convinto (questa la mia opinione) che senza sovrano l’euro finirà. E’ anche convinto (a ragione) che fuori dall’euro non c’è prospettiva, specie per paesi deboli come l’Italia e ciò implica un ruolo politico diretto. Ecco perché Draghi è stato incaricato di fare un piano per l’Europa. Draghi è convinto che bisogna avere una immaginazione politica, un sovrano, una cessione di sovranità dagli Stati all’Europa, una politica fiscale e di bilancio europea.
La sua impostazione è però molto liberista e prevede privatizzazioni e liberalizzazioni.

La mia idea (che ovviamente non conta nulla) è invece che se è vero che ci vuole un sovrano, deve esserci anche una politica estera e di difesa europea, indipendente da quella degli Usa, e che non è vero che sia necessario proseguire nelle privatizzazioni ma che ci vorrebbe una politica economica con investimenti pubblici guidata all’Europa, indipendente dagli Usa, che punta, come avvenuto con Airbus, sui settori del futuro costruendo col debito “buono” più occupazione di qualità e più welfare e ciò implica avere molte risorse con politiche coraggiose di tassazione dei ricchi (che non si fanno e così aumentano le destre) e di chi si approfitta di rendite (come di recente è avvenuto per banche e imprese energetiche).

Oggi invece, dice sempre Napoletano, poiché il Cavaliere bianco non c’è più, tutto dipende dall’Italia che ce la può fare “solo a patto che non lisci più il pelo al populismo elettorale, eviti pasticci come la tassa sugli extraprofitti delle banche e recuperi stabilmente la credibilità fiscale che non dipende dall’Europa, ma solo dall’Italia e per farlo serve una politica economica che faccia della Meloni una nuova Tatcher attuando un conservatorismo moderno”. Se non farà questo il nostro debito pubblico diventerà cattivo e travolgerà l’Italia. Questa l’analisi e le proposte di Napoletano (molto diverse dalle mie).

Abbiamo alcune domande: se lui considera positive le politiche del Cavaliere bianco del 2012 (espansive) perché non si fanno in Europa anche oggi, come ha fatto nel 2009 e fa ancora oggi la Federal Reserve Usa? Il Cavaliere bianco avviò nel 2012 queste politiche, ma perché non le ha fatte prima? Non è forse questo dovuto ad un vantaggio monetario del dollaro?

Purtroppo l’Europa non ha alcuna intenzione di diventare un polo mondiale indipendente dagli Stati Uniti e continua a seguire mini-politiche pubbliche e di austerità che non sono in grado di farci decollare e per l’Italia sarà complicato ridurre il debito pubblico se non si prelevano i soldi da chi li ha (banche con extraprofitti, ricchi che non pagano l’imposta sulle eredità, crescita dell’elusione ed evasione fiscale). Lo scopriremo nei prossimi mesi.

Cover: Mappa dell’Europa del XVIII° secolo, Incisore Giovanni Sansone

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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