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Ferrara film corto festival

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130 anni fa, Il 27 maggio 1894, nella contea di Saint Mary, Maryland, nasceva Dashiell Hammett, inventore e campione di un genere letterario, la hard boiled school (la scuola dei duri).

Oggi, mentre siamo sommersi, nei libri e in video, da delitti e investigatori -gialli – thriller – crimen story – noir assortiti –  è doveroso ricordare un grande scrittore americano. Avrebbe meritato il Nobel molto più di altri. Non poteva ottenerlo perché allora le storie poliziesche erano ancora considerate “non letteratura”, letteratura di serie B. E per un’altra ragione, Dashiell Hammett era un comunista e amico dei comunisti. Era un bravo cittadino, un bravo soldato, decorato, aveva partecipato ad entrambe le guerre mondiali, ma non gli piaceva l’America del Proibizionismo e della Grande Depressione. Aveva scelto di stare dalla parte dell’America sofferente, e aveva dato una mano al piccolo Partito Comunista Americano. A suo rischio e pericolo, come si vedrà.

La sua storia di uomo va raccontata. Quanto alla sua arte, al suo stile secco e antiromantico che in tanti, Chandler per primo, hanno provato inutilmente ad imitare, fanno fede i suoi (pochi) romanzi e i suoi racconti. A tutti il mio invito a mollare per un attimo i gialli seriali contemporanei per riprendere in mano qualcosa di Hammett. Com’è stato scritto, “nei gialli di Hammett a essere colpevole non è il solito maggiordomo ma l’intera società”.

Dashiell Hammett il mestiere dell’investigatore privato (“lince” o “annusa patte” in gergo) lo conosceva molto bene. Dopo aver fatto mille lavori per sbarcare il lunario, era stato assunto dalla famosa Pinkerton National Detective Agency dove rimase a lavorare per vent’anni. Nel 1922 pubblica il  suo primo racconto, The Road Home (La strada di casa) sulla altrettanto celebre rivista Black Mask. Negli anni a seguire pubblica decine di racconti con protagonista il detective privato Continental Op, poi nel 1928 adotta un altro protagonista, Sam Spade, che però assomiglia moltissimo al primo. Entrambi poco fotogenici e poco eroici, immersi in un’America dove è sempre più difficile distinguere la legalità dalla malavita. Sam Spade è il detective privato anche del Il Falco Maltese, il suo romanzo più noto che esce in volume nel 1930 e approda più volte a Hollywood (celebre il film di John Huston Il Mistero del Falco del 1941).

Nel 1934 pubblica il suo ultimo romanzo, a 40 anni Dashiell Hammett smette di scrivere. Intanto cerca di entrare come sceneggiatore nel rutilante mondo dell’industria cinematografica, ma non sarà un’esperienza né facile né tranquilla.

Nel 1948 inizia a pagare per le sue idee politiche.  Allora l’HUAC, la Commissione per le attività antiamericane, nata nel 1930, il Committee on Govement Operations e il Permanent Investigative Subcommittee, presieduti ambedue dal famigerato Joseph Mc Carthy, diventano in breve tempo i maggiori artefici della caccia alle streghe comuniste in terra americana. Simpatizzanti, iscritti al Partito Comunista Americano, loro amici e parenti… prima o poi vengono chiamati tutti in causa davanti al popolo americano.
Così Dashiell Hammett, nel luglio del 1951, viene chiamato a rispondere della sua attività comunista e della sua posizione all’interno del Civil Rights Congress, un’organizzazione legata al Partito Comunista Americano. Davanti al giudice Sylvester Ryan risponde alle domande che gli vengono poste dal procuratore Irving Saypol, il più temibile cacciatore di comunisti allora in circolazione.

Hammett risponde, alle domande che gli vengono poste, appellandosi quasi sempre al Quinto Emendamento della Costituzione americana. Comunque, usare questa tattica non l’aiuta per niente perché continuando a dire “mi rifiuto di rispondere a questa domanda perché potrebbe portare alla mia incriminazione” si vede ugualmente condannato a sei mesi di prigione, anche se, come ricorda Lillian Hellman, per molti anni compagna dello scrittore, “Hammett non aveva mai messo piede nell’ufficio del Civil Rights Congress e non conosceva il nome di neppure uno dei sottoscrittori. La sera prima del processo gli chiesi: Perché non dici che non li conosci i nomi?, (e lui rispose): No, non posso dirlo… perché intendo mantenere la mia parola, credo che sia questo il motivo…”. 

Quando esce di prigione, Hammett trova la Hellman ad aspettarlo e le confida che in prigione, dopotutto, non si sta male: “il cibo è disgustoso e spesso anche rancido, ma puoi sempre chiedere latte; i contrabbandieri d’alcool e i ladri d’auto sono imbecilli, ma la loro conversazione non è più stupida di quella che si sente a un qualsiasi cocktail party a New York; pulire gabinetti non piace a nessuno, ma col tempo finisci anche con l’andar fiero del tuo lavoro e con l’interessarti agli attrezzi e al materiale per la pulizia” .
Ma tempo due anni e Dashiell Hammett viene di nuovo convocato per un altro interrogatorio, ma questa volta deve rispondere alle domande del Permanent Investigative Sub-committee presieduto dal senatore Joseph McCarthy. Anche da questo incontro, appellandosi ancora al Quinto Emendamento, Hammett  ne esce male.

Hammett è tagliato fuori da cinema, radio, televisione e perfino dalle biblioteche (anche i suoi libri, perché scritti da un comunista, vengono ritirati dalle public library americane) e si ritira in solitudine, in stato di povertà, da solo fino al 1956, quando il continuo aggravarsi della salute lo costringe, malgrado il proprio orgoglio, a trasferirsi in casa di Lillian Hellman. Nel 1960 la tubercolosi si trasforma in cancro e inizia un’agonia destinata a protrarsi fino al 10 gennaio 1961.
Magra consolazione, Dashiell Hammett viene sepolto nel Cimitero Nazionale di Arlington (il cimitero militare per i veterani di guerra) e l’FBI, con una telefonata al cimitero, verifica il fatto per chiudere finalmente la pratica sullo scrittore.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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