Sanità pubblica: Polesine al collasso.
Il personale sanitario, da eroi della pandemia a limoni da spremere
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Periscopio si definisce “quotidiano glocal”, perché parte spesso dall’analisi di un fenomeno locale per allargare lo sguardo alla situazione globale. Questo dibattito, che parte dalla situazione della sanità nel vicino Polesine – terra affine al ferrarese molto più di certe realtà emiliane – per poi toccare problemi e prospettive comuni a tutto il territorio nazionale, ci è sembrato calzare perfettamente alla nostra filosofia editoriale.
In questi giorni la stampa rodigina ha ospitato un botta e risposta sullo stato della sanità pubblica nel Polesine. Al grido d’allarme di Riccardo Mantovan, segretario provinciale della Funzione Pubblica CGIL Rovigo, qui, ha replicato piccato il DG della ULSS 5 Pietro Girardi, qui. Abbiamo quindi chiesto a Riccardo Mantovan di esplicitare ulteriormente le sue preoccupazioni.
Periscopio: Riccardo, faccio finta di essere un alieno catapultato sul pianeta Terra, destinazione ospedali del Polesine. Leggo sulla stampa locale il tuo grido di allarme su: ferie sospese, aspettative non concesse per carenza di personale e contemporaneamente il paradosso delle graduatorie per assunzioni bloccate o che vanno al rallentatore, coordinatori che rinunciano all’incarico. Poi leggo il DG dell’Ulss 5 che dice che in tre anni i medici sono aumentati di 49 unità, più 141 infermieri in cinque anni, più 30 OS, più 34 amministrativi. Aiutami a capire.
Riccardo Mantovan: il DG ha fatto volutamente un primo confronto con l’anno pre-pandemia, nel quale i numeri del personale in servizio avevano raggiunto i minimi storici. Se poi consideriamo che dopo l’unione delle due ULSS Polesane si erano aggiunte nuove unità operative, le insufficienze di organico avevano assunto accenti drammatici. La tragedia della pandemia ha esacerbato i problemi di un sistema sanitario infinitamente deficitario già nella gestione ordinaria, in maniera particolare nel settore risorse umane. In quel frangente era inevitabile procedere ad assunzioni di ogni tipologia per tamponare una situazione gravissima di carenza di personale. Pertanto, utilizzare come riferimento i numeri pre-pandemia per evidenziare un aumento di organici può essere considerata una furba strategia mediatica di veicolazione di un messaggio pro domo propria. Resta il fatto oggettivo che la Direzione Generale ha formalmente comunicato alla parte sindacale la carenza di 100 medici. Noi non abbiamo fatto altro che comunicarlo anche alla cittadinanza, per segnalare la gravità della situazione. Aggiungiamo che in ULSS 5 la percentuale dei part time assegnati tocca mediamente l’8%, quando il CCNL prevede un tetto del 25% con possibilità di aumento di un ulteriore 10% attraverso la contrattazione aziendale. Questo otto per cento non dipende dalla mancanza di richieste. Le richieste ci sono eccome e provengono da lavoratrici madri con una famiglia ed una necessità di equilibrare il tempo di lavoro con il tempo di vita. Queste richieste di part time vengono spesso negate e con quale motivazione? La carenza di organici! E’ questa amministrazione stessa ad affermarlo. In questa ULSS, sempre per lo stesso motivo, non trovano risposta le richieste di ferie o di permesso. Diventa persino complicato concedere un permesso per motivi di lutto! Ci sono turni di lavoro che variano giorno per giorno, e sapete perchè? Perchè gli organici non sono adeguati in previsione delle assenze “improvvise” che in ogni luogo di lavoro si verificano e dovrebbero, invece, essere messe in conto e fronteggiate in anticipo. Se a questo aggiungiamo il numero elevato di dipendenti con il diritto all’utilizzo dei 3 giorni di permesso mensili e l’altissimo numero di dipendenti con limitazioni mediche, la carenza di personale diventa vertiginosa e di conseguenza salgono i carichi di lavoro, lo stress ed il clima diventa rovente. Ecco: forse adesso i numeri forniti dal DG assumono un valore ed un significato diversi.
P: per l’opinione pubblica, in epoca Covid affamata di retorica e impaurita dalla pandemia, il personale sanitario era composto da “eroi”. Fammi qualche esempio di come è stato riconosciuto il loro eroismo: nella realtà che conosci, i sanitari sono messi nelle condizioni adeguate per lavorare in sicurezza in termini di dotazioni e risorse? Le retribuzioni sono state adeguate al loro eroismo?
RM: la pandemia è stata causa di enormi cambiamenti che hanno investito una società già alle prese con tante difficoltà quotidiane. In una specie di vortice psichiatrico ha creato momenti di grande aggregazione e molti altri di grande paura, sofferenza e rabbia. Questi stati d’animo si sono consolidati nella società di oggi, più attenta alle questioni personali che a quelle collettive. Da fannulloni ad eroi e da eroi a fannulloni è stato un attimo. Siamo già rientrati in un presente che aumenta in maniera importante il rischio di aggressioni in ambito lavorativo. I servizi di front office sono quelli più a rischio: tra questi evidenzierei i Pronto Soccorso ed i Consultori, dove le condotte aggressive sono all’ordine del giorno. È chiaro che le carenze di organico diminuiscono in maniera esponenziale i livelli di sicurezza operativa sia dal punto di vista personale che professionale. Peraltro, proprio in queste due unità operative i sistemi di tutela e sicurezza messi a disposizione dall’ULSS sono impercettibili. Diminuzione della sicurezza e aumento di responsabilità e rischi operativi non sono andate di pari passo con un adeguamento degli stipendi. Tutt’altro. Nel nostro paese, gli stipendi dei sanitari sono molto al di sotto della media europea. A questo proposito, con specifico riferimento all’ULSS 5, pur avendo firmato un accordo aziendale sulle progressioni economiche 2023 che avrebbe dovuto portare qualche soldino nelle tasche dei lavoratori, al 30 di aprile 2024 è ancora tutto bloccato. Piccola parentesi da valutare in ordine al significato dei numeri snocciolati dal DG: per la copertura delle assenze improvvise si impegnano ogni anno circa 300.000 euro (non dal bilancio aziendale, ma dai fondi di “comparto” che servirebbero da CCNL a pagare tutte le voci extra stipendio base) per incentivare i lavoratori a fare doppi turni. Ecco, quei lavoratori stanno ancora aspettando i soldi dei turni aggiuntivi del 2023.
P: leggo anche di una vostra accusa di “immobilismo” della Direzione Professioni Sanitarie. Al solito alieno che cerca di capire, potresti chiarire cosa intendi per “immobilismo”?
RM: il primo luglio 2022 é stata attivata per la prima volta in questa ULSS la Unità Operativa Complessa della Direzione delle Professioni Sanitarie. Unità Operativa prevista strategicamente dalla regione per il coordinamento, la programmazione operativa, l’organizzazione del lavoro, la gestione ordinaria e straordinaria di tutto il personale del comparto di area sanità e sociale. In pratica, tolti amministrativi e tecnici non sanitari parliamo di circa 2000 lavoratori, tre ospedali e punti sanità presenti nei 2 Distretti del territorio. Dopo esattamente 22 mesi dall’attivazione di questa U.O. nulla ancora si è visto uscire da quell’ufficio. Pensate che in 22 mesi di “operatività” ci sono Coordinatori che neanche sanno che faccia abbia il loro Direttore. Sta su una nuvola, occupa uno spazio fisico nell’ospedale HUB di Rovigo ma di fatto nessuno si è mai accorto della sua esistenza, lontano anni luce dai problemi contingenti: il problema della carenza degli organici e della deficitaria organizzazione del lavoro nasce anche da questa distanza.
P:I dipendenti pubblici del settore sanitario sempre più spesso scelgono di abbandonare un impiego sicuro nel pubblico per andare a lavorare nel privato, nonostante nel cambio non abbiano, a volte, nemmeno un miglioramento retributivo. Le ragioni di questo travaso in parte le hai già dette. Ce ne sono altre?
RM: negli ultimi 15 anni la pubblica amministrazione in generale ha subito un attacco inaudito, capitanato dal signor Brunetta, quando faceva il ministro. Lui ha dato il via ad una campagna denigratoria del servizio pubblico che ha avuto la conseguenza di renderlo meno attrattivo ed interessante. Se a questo aggiungiamo: stipendi più bassi rispetto a molti contratti di tipo privato; maggiori responsabilità e rischi, che trovano sempre più spesso rilevanza penale; condizioni di lavoro nettamente peggiori; viene spontaneo pensare che oggi il rapporto di lavoro privato sia migliore del lavoro pubblico anche a parità di stipendio.
P: lo scivolamento verso la privatizzazione di fatto della prestazione sanitaria sembra inarrestabile. E’ così? Cosa possono fare lavoratori e cittadini utenti per contrastare questa china?
RM: Questa sarà la piaga che, purtroppo, dovranno vivere le prossime generazioni. Già oggi il Veneto risulta essere la 4° regione per richieste di finanziamenti a carico dei cittadini per poter accedere alle cure! Il 6,4% dei cittadini del Veneto “rinuncia” alle cure sempre per motivi economici. I sistemi per evitare questa deriva esistono e sono ben conosciuti dalla politica in genere. Manca evidentemente la volontà o i riferimenti di interesse. E’ materia che avrebbe necessità di molto spazio: provo a rappresentarla con qualche numero. L’85% del bilancio della regione Veneto fa capo alla voce sanità. Corrisponde esattamente a 10 miliardi e 600 milioni. Di questi, 10 miliardi e 300 milioni sono finanziati dal governo. I 300 milioni che mancano vengono coperti da un sistema che fa capo alle donazioni. Credo risulti evidente che la Regione Veneto, che si vanta di essere ticket free, non investa neanche un centesimo per migliorare il sistema sanitario veneto, pur considerando che su questa materia ha già pieni poteri. Ecco, una cifra molto considerevole di quei 10 miliardi la regione la gira alla sanità privata. Tutti dobbiamo lavorare per costringere chi lo può fare ad invertire il trend. Tra tutti, il massimo potere è a disposizione proprio dei cittadini, ai quali probabilmente dobbiamo risvegliare le coscienze.
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Nicola Cavallini
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