Vite di carta /
Malinverno, un eroe tardo romantico nel romanzo omonimo di Domenico Dara
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Vite di carta. Malinverno, un eroe tardo romantico nel romanzo omonimo di Domenico Dara.
16 verticale: impazzì delusa dall’amore per Amleto.
Scrivo Ofelia senza pensarci un attimo e intanto valuto che il caso è generoso nel farmela incontrare ultimamente.
Ofelia è il personaggio femminile che ho appena frequentato leggendo il corposo romanzo Malinverno, scritto da Domenico Dara e uscito presso Feltrinelli nel 2020. Corposo e pieno, pienissimo di letteratura.
Lei per prima, la Ofelia ombrosa e dal viso bellissimo che il protagonista ama fino alle vette emotive del sublime, proviene dritta dritta da precedenti letterari. Nella sua malinconia, che è propensione alla pazzia, fa rivivere prima di tutto la eroina omonima creata da Shakespeare nell’Amleto.
Il protagonista maschile, che è anche la voce narrante, si chiama Astolfo Malinverno. Intanto il nome Astolfo è un altro bel marchio letterario che viene dall‘Orlando furioso di Ariosto, dal paladino degli innumerevoli viaggi che va perfino sulla luna.
Ora vediamo la vita che egli conduce nel suo paese, Timpamara, un posto semi-immaginario collocato in Calabria. Astolfo conduce una vita quotidiana in apparenza monotona e abitudinaria: nelle ore del mattino è custode del cimitero locale, i pomeriggi li passa come bibliotecario a sistemare e prestare libri nella biblioteca del paese.
Per uno che è nato “tre settimane dopo Alain Delon e il giorno prima di Woody Allen” il non aver fatto centro nella vita sembra essere lo stigma inamovibile che lo relega nell’anonimato, alla periferia del vivere. E infatti lo conosciamo all’inizio nella sua quotidianità solitaria di orfano e con il limite della zoppia congenita che lo tiene ancorato ai piccoli spostamenti dentro il paese.
Eppure dentro le giornate tutte uguali pulsa lo spessore esistenziale che Astolfo si è dato negli anni attraverso le sue letture. Astolfo è uno che si è letto infiniti libri, ha letto i classici di varie letterature, ha conosciuto storie e vite di carta e si è infiammato per i finali dei libri dove il mondo non si ricompone e il protagonista muore.
La morte e i libri sono il binomio su cui è costruita la struttura tematica del romanzo, quando Astolfo comincia il suo lavoro al camposanto le due sfere del suo interesse interagiscono e si contaminano. Si affolla dentro le sue giornate una galleria di paesani, viventi o defunti, con nomi e cognomi strampalati, in una sorta di espressionismo anagrafico che preannuncia le loro stranezze, o le manie, o i tic e le traversie esistenziali.
Le letture di Astolfo lo portano ad abbinare persone e personaggi letterari, come se i viventi fossero espressioni fenomenologiche riconducibili ognuna al proprio paradigma di carta.
Ed ecco entrare in scena Ofelia, che viene in visita alla tomba della madre. È inevitabile l’incontro con Astolfo, che in quanto custode del luogo spesso si aggira tra le sepolture per prendersene cura.
C’è di più: Astolfo si è da tempo innamorato della donna della foto a cui Ofelia somiglia come una goccia d’acqua, è stato attratto irresistibilmente dal mistero e dalla bellezza che promana dal suo volto sulla lapide senza nome e dagli occhi magnetici. Ha voluto darle un nome e ha scelto Emma in onore di Madame Bovary, la celebre eroina di Flaubert.
Lo sguardo della donna emana un mistero assoluto anche nella Testa di Ofelia pazza, il magnifico quadro di Michele Rapisardi che è il pezzo forte della collezione catanese di pittura esposta in Castel Ursino. Giorni fa cercavo i voli per Catania e, eccolo il caso, mi è apparsa la schermata con gli orari di visita al castello e la raffigurazione del volto di Ofelia.
Davanti a due occhi così si entra nel libro e si comprende come la sensibilità tardoromantica di Astolfo venga travolta dall’amore per la versione vivente di Emma.
L’amore di Astolfo fluisce presto su Ofelia, e Ofelia ama lui: sono compagni nel ricostruire la vicenda triste della madre di lei, ricoveratasi nel vicino manicomio in età ancora giovane e con la figlia piccola da proteggere. Il viaggio dentro al passato serve a Ofelia per comprendere che la madre non l’ha abbandonata: facendosi rinchiudere spontaneamente l’ha salvata dalle cure inadeguate che poteva darle e dalla sua follia.
La morte e l’amore divengono l’altro binomio che fissa le coordinate della vicenda narrata, e insisto sulla morte non volendo svelare la fine della storia d’amore.
Mi limito a richiamarli come categorie dello spirito romantico che Dara ha voluto assegnare al suo protagonista, e aggiungo l’estenuazione nel dolore e la propensione alla malattia mentale e fisica come elementi di una sensibilità tardoromantica che affiora tra i personaggi del libro e tra le tombe del cimitero. Con la matita ne ho segnati non pochi di passi così, durante la lettura.
Verso la fine della storia lo stesso Astolfo richiama le sottolineature che ha tracciato nei libri, in un passo che da solo mi rende questo romanzo degno di essere letto:
“Pensai prima di addormentarmi che il libro letto è tutto racchiuso nelle sottolineature. Pensai prima di addormentarmi che un giorno qualcuno avrebbe potuto fare un libro dei libri in cui riportare tutte le frasi sottolineate. Pensai prima di addormentarmi che anche la morte è una immensa sottolineatura, in cui il Grande lettore decide cosa è degno di essere ricordato e cosa invece può scivolare nel fondo del dimenticatoio universale”.
Nota bibliografica:
- Domenico Dara, Malinverno, Feltrinelli, 2020
Cover : Michele Rapisardi, Testa di Ofelia pazza (1865)
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Roberta Barbieri
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