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Prove di dialogo

La vide quasi accucciata sulla soglia di un negozio vicino al suo portone di casa – oggi le ragazzine si mettono a sedere ovunque, lungo i marciapiedi – con gli occhi fissi sul telefonino. Era uscito per depositare il sacco pieno di plastica per la raccolta differenziata e quasi la sfiorò. Stava rannicchiata contro la saracinesca del negozio, in un atteggiamento difensivo.

Si fermò un attimo a guardarla. Poteva avere quattordici -quindici anni: poco più di una bimba, con la frangetta di capelli castani che le ricadevano sul viso un po’ truccato per sembrare più grande della sua età.  Lei alzò gli occhi e si ritrasse con un istintivo moto di timore.

“Non aver paura” disse lui “non ti faccio nulla. Hai bisogno? Posso aiutarti?”.

Lei lo guardò e non rispose, stringendo il telefonino come se volesse aggrapparvisi.

“Scusami” – fece lui “se vuoi me ne vado. Volevo solo sapere se ti occorreva qualcosa…”.

La ragazzina parlò, restando seduta. “Aspettavo un’amica, ma non è venuta”. Poi abbassò gli occhi.

“Devi andare da qualche parte?” domandò lui. “Abiti qui?”

“No” rispose lei. “Abito a C.”, aggiunse, nominando un paese vicino.

Beh, pensò lui, abbiamo stabilito un contatto. E adesso cosa le dico? Cominciò a rimuginare. Ho cinque volte la sua età. Cosa diavolo interessa a queste ragazzine? Che cosa pensano i giovani? Mah, vai a sapere…

Intanto lei disse piano: “Ho freddo. Non voglio tornare a casa”.

“Scherzi?” scattò lui. Ma si morse subito la lingua. Non sono un suo genitore. Però, questa è sola, sembra smarrita… “Non puoi restare qui. Tra poco il negozio chiude, è sera e non passerà più nessuno” disse in fretta, per paura di intimorirla ancora di più. Però poi chiese: “Perché non vuoi andare a casa? I tuoi staranno in ansia se non ti vedono arrivare”.

“A casa o qui è lo stesso. Con mia mamma e mio padre ci parliamo appena…” disse lei con un sospiro. Ahi, ecco una prima grana, pensò lui: meglio essere prudenti. Prendiamola alla larga. “Dove studi?” le domandò. “All’istituto professionale per la moda” “E ti piace?” “Insomma… non tanto, molti prof sono piuttosto stronzi” disse lei. E dai, ecco la scuola che non funziona. “Ma che preferisci fare?” le chiese. “Disegnare”. “Che cosa?” “Bei vestiti, belle stoffe…” “Ti piacerebbe avere bei vestiti?” “Sì”. E che lavoro vuoi fare? “Non lo so. Forse lavorare in una casa di mode, oppure fare la costumista o la sarta, in un teatro o nell’industria cinematografica”.

***

Il proprietario del negozio aveva abbassata la saracinesca e se n’era andato. La ragazzina si era alzata in piedi. Altre luci di insegne si stavano spegnendo. Oddio, si disse lui, adesso qui la situazione precipita, questa deve andare assolutamente a casa, poi succedono dei casini…

Fu lei a trarlo d’impaccio. “Va bene. Se per favore mi accompagni a casa…”. “Sì, aspetta, prendo le chiavi della macchina, è parcheggiata là di fronte, la vedi?”. Entrò per prendere le chiavi e poi tornò sul portone. Lei era ancora lì. Si era tirata in testa il cappuccio del giaccone, un indumento strano, ed aveva un aspetto buffo.

Salirono in macchina. Indossarono le cinture e si avviarono. C’erano circa venti chilometri da percorrere. Lui domandò: “Stai comoda?”. “Sì”. “Parlavamo della scuola, prima. Ma poi cosa fai oltre ad andarci?” “Guardo dei film alla Tv, gioco alla playstation, sto davanti al computer”. “Non pratichi qualche sport?” “Ogni tanto vado in piscina”. Rispondeva sempre guardando il telefonino. “Ma che ci fate col telefonino?” le chiese. “Chattiamo. Scriviamo messaggi. Guardiamo i cantanti, ascoltiamo i rapper”. “Conosci Laura Pausini?” provò a chiedere lui tentando un goffo approccio musicale. “L’ho sentita qualche volta, piace a mia mamma”. Perbacco, una cantante poco più che quarantenne e affermata era già quasi nell’archivio della storia, per ’sti ragazzi. Meglio non avventurarsi oltre.

Avevano ormai percorso metà strada e tacevano. Dopo un po’ lei domandò: “Tu hai paura?” “Di che cosa?” “Del terrorismo islamico”. “Beh, sì” rispose lui. “È vero che i terroristi possono essere dappertutto?”. “Certo”. “E come facciamo a vivere?” Provò a spiegarle quel che tutti dicevano: che non bisogna dargliela vinta, che si deve condurre una esistenza normale, quella di tutti i giorni, che non dobbiamo rinunciare alla nostra cultura, al nostro sistema di vita, provando a dialogare con i musulmani moderati, eccetera eccetera. La ragazzina ascoltava. Poi mormorò: “Io ho paura. Ho paura anche delle guerre in Ucraina, in Palestina”.

“Ma in famiglia non ti senti un po’più al sicuro?” “Quando sono a casa prendo il mio gatto in grembo – raccontò lei – e allora mi calmo”. “Non hai delle amiche con cui confidarti?” “Sì, ma loro pensano molto a come farsi notare dai ragazzi”. “E tu?”. “Il ragazzo ce l’ho, ma queste cose del terrorismo e delle guerre non le vuole sentire”. “E le notizie come le segui?”. “Guardo la televisione”. “Leggi i giornali, o dei libri?” “Non leggo quasi mai, i libri sono quelli di scuola”. Ahi. “Dovresti leggere, informarti” lui disse. “Poi, con chi discuto quello che ho letto?” rispose la ragazzina.

Erano arrivati. “Ti lascio un po’ lontano da casa” fece lui. “Così i tuoi genitori non si arrabbiano nel vederti con uno sconosciuto. Spero che non ti sgridino e che non litighiate perché sei tornata tardi. Auguri, per tutto quanto”.

Lei lo guardò. Sospirò e disse: “Forse… mi piacerebbe avere un nonno come te”. Poi aprì la portiera, scese e sparì nel buio.

 

©Franco Stefani, 2024

 

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.

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