A voler essere obiettivi occorre ammettere che in gran parte le differenze tra Nord e Sud del Paese non sono frutto del fato cinico e baro, ma di scelte precise compiute nel corso degli anni. Senza scomodare come è avvenuto il processo di unificazione dell’Italia, basti ricordare che le ingenti risorse che sono state impiegate per dotare il settentrione di infrastrutture materiali e immateriali non sono state in egual modo destinate al meridione. Non sarà mica un caso che l‘Autostrada del Sole arrivi solo fino a Napoli, così come l’alta velocità ferroviaria si fermi a Salerno. E potremmo a lungo proseguire ricordando come l’insediamento di industrie private ha faticato a realizzarsi, anche per mancanza di strade e ferrovie efficienti. A pagarne le conseguenze sono innanzitutto i cittadini e le cittadine di quei territori e poi tutto il Paese. È stata l’Europa, assegnandoci la quota maggiore di risorse del fondo per Next Generation Eu, a dirci che quei divari vanno colmati.
TAGLI AL PNRR
Il ministro Fitto sembra non saperlo e non interessarsene, visto che nel piano di revisione del Pnrr ha proposto tagli per quasi 16 miliardi ma ben 7,6 riguardano finanziamenti per progetti del Mezzogiorno, dalla riqualificazione delle periferie ai piani urbani integrati, passando per il contratto di sviluppo di Salerno. Ultimo ma non per importanza, l’eliminazione di un miliardo destinato alla riconversione verde dell’ex Ilva di Taranto che proprio in queste ore rischia la chiusura. Non solo i tagli, ma anche la rimodulazione di alcuni finanziamenti colpiscono indirettamente il Sud. Lo spiega Luca Bianchi, direttore generale della Svimez che dice: “La rimodulazione ha sostanzialmente spostato le risorse da singoli progetti al Repower Eu cioè a incentivi alle imprese. Chiaramente, in assenza di un disegno industriale, rischiano di andare di più dove le imprese sono, quindi più al Centro-Nord. Temiamo che questa rimodulazione possa comportare un’ulteriore perdita relativa di risorse per il Sud”. Non solo, è sempre il direttore della Svimez a manifestare la preoccupazione che la riserva del 40% di stanziamenti destinati al Mezzogiorno non venga, così, rispettata.
Sempre il ministro Fitto, seguendo una strategia che sembra essergli cara, accentrare tutto il possibile, ha decretato la chiusura di otto Zes retroportuali che dopo anni di ritardi avevano cominciato a funzionare, per istituirne una sola allocata a Palazzo Chigi nel suo dicastero. Grande la perplessità della Cgil, sia a livello nazionale che territoriale. Anche Bianchi evidenzia una preoccupazione: “Se in linea generale l’idea di un’unica struttura potrebbe essere positiva dal punto di vista di un coordinamento reale degli interventi nei diversi territori meridionali, il rischio che tutto si fermi è reale. Occorre fare il piano strategico della Zes unica, che però non è stato ancora avviato. Il crinale tra successo e fallimento della Zes unica dipenderà dalla capacità di attuarla”.
LA DISTRAZIONE DEL FONDO DI COESIONE
L’ultima denuncia arriva dal presidente della Campania De Luca, che minaccia di denunciare Fitto per la mancata assegnazione di 20 miliardi del Fondo sviluppo e coesione. Già il segretario nazionale della Cgil Christian Ferrari sosteneva: “L’utilizzo delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione, per compensare quanto verrà tagliato con la cancellazione di molti progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è il classico gioco delle tre carte, perché già destinate per l’80% allo sviluppo del Sud”. E non solo, anche i presidenti di Calabria e Sicilia, eletti dal centrodestra, si sono lamentati della decisione del governo su richiesta del ministro Salvini, di destinare alla costruzione del famigerato ponte sullo stretto ben 1,6 miliardi del Fondo Coesione sottraendoli alle due regioni che magari avrebbero potuto utilizzarli per realizzare infrastrutture indispensabili ai cittadini di quei territori.
Ma la vera ciliegina amara su una torta già assai indigesta è arrivata pochi giorni fa. Con un tratto di penna sono cassati i 4,4 miliardi del Fondo di perequazione destinato proprio a ridurre le differenze tra Nord e Sud. Era stato il governo Conte 2 a stanziare quelle risorse in vista dell’autonomia. Non solo, il Fondo è stato svuotato e proprio domani arriva all’esame dell’aula del Senato il testo sull’autonomia di Calderoli. Tre giorni di tempo per licenziarlo senza modifiche, questa la volontà del ministro.
IL VERO ALLARME
Lo lancia ancora il direttore Bianchi, è un allarme assai preoccupato: “L’azzeramento del Fondo di perequazione è stato un pessimo segnale. Pur essendo assolutamente insufficiente, era un primo tentativo di avviare, nell’ambito dell’attuazione del federalismo, un processo reale di perequazione strutturale, cioè di riallineamento delle offerte infrastrutturali”. E al pessimo segnale segue, appunto, l’arrivo in aula del testo Calderoli. Chiosa il dirigente della Svimez: “L’allarme per noi più elevato, più drammatico è la prosecuzione del percorso di attuazione dell’autonomia differenziata, perché al di là delle risorse, quella potrebbe essere la vera pietra tombale su qualunque prospettiva di riallineamento dei divari di cittadinanza tra Sud e Nord. Questa è la principale preoccupazione e questo rimane il tema principale su cui concentrarsi”.
ASSENZA DI POLITICHE O STRATEGIA?
Nelle tre ore di conferenza stampa di inizio d’anni, Meloni non ha mai pronunciato la parola Mezzogiorno. Dimenticanza o scelta strategica? La considerazione di Ferrari è netta: “L’esecutivo non ha idee, non ha una strategia, non investe sul Mezzogiorno. Soprattutto – conclude Ferrari – non ha alcuna intenzione di risolvere la sua crisi sociale sempre più acuta e in questo modo danneggia l’intero Paese, che ha bisogno, per crescere in maniera solida e strutturale, di ridurre diseguaglianze e divari territoriali, e di rilanciare innanzitutto le aree più svantaggiate”.
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