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Ancora dal satellite

E cosa vedo, quando accendo la luce in corridoio.

Sotto la porta, un foglio. La vicina, Ada, non questi dello stereo ma l’Ada, quella ieri in terrazza con le lenzuola: un foglio scritto a mano, da lei, Se puoi mi porti in centro, domattina? Ho l’auto. Grazie. Ada.

Non ho neanche la Teresa, domattina: ha qui le sue nipoti, di passaggio, solo domani qui al satellite. E certo, che accompagno l’Ada in centro.

Ascolto i suoni, poi vado a dormire.

 

La cugina di Ada sta in via Assiderato, appena dentro le mura: e in auto dal satellite a porta d’Amore, a via Assiderato, con Ada nel traffico prenatalizio, nel sole debole, adagio, imparo che primo Ada non guida più, ha un’età, non si fida, i bus son pieni e in taxi guai; due, il giorno di Natale è da sola ma certo non si azzarda a disturbare nessuno . Per cui, e tre, da sua cugina Lorenza lei ci va oggi: anche la Lorenza è da sola, il giorno di Natale. Passiamo il ponte sul Volano e le dico Quattro, Ada:  siamo libere anch’io e la Teresa. Quattro siamo. Un pranzo di Natale improvvisato, da me o da te o dalla Lorenza, qué te parece, Ada?

La Yaris nel cortile della Lorenza, caffè e ciambella nella sua cucina. Affare fatto per Natale. E’ uscito il sole. Faccio un giro in città e vi lascio sole, cugine, torno tra un paio d’ore. E la Lorenza dice che se ho tempo, se ho voglia, c’è un lavoro per me dopo Natale. Liberare una casa qui vicino. E leggere a una signora in via Romei, via Contrari, quasi in piazza, una signora con una bella casa e tutto l’aiuto, ma non chi legge per lei, che lei non riesce più.

 

Cammino dalla parte del sole. Non ripartirò da Ferrara tanto presto, mi sa. Non vado in piazza. Mi perdo un po’ nei vicoli, nei ciottoli, nella luce imperterrita. Poi entro in una chiesa.

Mai vista prima. Neanche ai tempi della Consolazione, che è dall’altra parte della città e di certo qui non passavo mai; mio padre ci portò in Belgio che avevo undici anni, a Ferrara non tornai quasi più, e nessuno in famiglia andava in chiesa. Io nemmeno.

Dentro la chiesa, nessuno. Legno e oro vecchio, un refolo d’aria muove un lampadario che pende dalla navata in un moto lento, circolare, continuo. Siedo qui, come dentro una scultura cava. Nessun fedele, nessun prete. Solo, presso l’altare, un angelo.

Un angelo di marmo. Torsione lieve del busto, l’ala, il moto che scopre un ginocchio flesso, che danza nelle pieghe della veste e le mani unite in un gesto di gioia, quasi anteriore alla preghiera.

Poi uscirò di qui e penserò a Ferrara, son qui per poco e non conosco quasi nessuno, penserò a Rocco che mostra la piaga nella gamba, Rocco il suo cane e la polvere, la strada, e all’angelo della storia che guarda indietro, che ha una tempesta impigliata alle ali e non può più chiuderle. Penserò a tante cose di passaggio, al satellite, ma ora non penso a nulla. Ascolto i suoni e la penombra e so, anzi ne sono certa, che quest’angelo io lo ho già incontrato: dove non so ma è così familiare, così prossimo. Poi torno fuori, nella luce imperterrita.

 

Il tempo va verso l’Epifania. Capodanno sarebbe ogni giorno, a guardar bene, ma qui siamo. Anno nuovo. Nebbia. La casa prestata è quasi vuota. Il mio tempo qui va accorciandosi, ma intanto le giornate si allungano.

Di mattina vado dalla Teresa. Verso sera cammino, scanso piazza e luminarie e via Mazzini affollata, attraverso volte e vicoli e vado a leggere. Via Contrari, Voltapaletto, un angolo vertiginoso visto dall’alto, da dentro, dalle tende socchiuse rosso spento. La signora in un salotto pieno di libri, di quadri.
Non mi vede, ma sa che sono io. So chi sei, mi dice dalla sua penombra. Sei l’amica di Ada e di Lorenza. Accomodati e dimmi il tuo nome.

Mi chiamo Voce, dico.

Il libro lo sceglie lei, senza alzarsi dall’ottomana su cui siede; io, invece, io scelgo cosa leggere. Posso sfogliare, mi dice la signora: scegliere pagine, frasi, così come mi va.

Respiro e leggo frammenti – sono una voce, tutto qui.

Neve in via Salinguerra, un’allieva infermiera, una bicicletta appoggiata a un muro di cinta. La notte. La tragedia, la rabbia. Resistere in segreto. E schegge di una gioia irriducibile. La doppia, opposta schiera di cento fondachi e botteghe e dentro ciascuna “una piccola, cauta anima, intrisa di mercantile scetticismo e ironia”: in via Mazzini, un uomo sopravvissuto alla Shoah. Certi vetri celesti, la risacca del tempo e le parole.

In piedi accanto alla finestra, leggo. Guardo fuori, giù in strada quell’angolo incredibile, non euclideo, poche luci, il fiato ai vetri. Lei nella sua penombra, lei queste storie le sa tutte: uguale a me muove le labbra ma in silenzio, come anche lei leggendo. Siamo voce, ecco tutto.

E’ stato quando già stavo per andarmene. Prima di cena. Torna ancora, mi ha detto, e dammi la mano. Eccomi, dico, ed è allora.

E’ in quel momento che vedo la foto. In bianco e nero, una scala monumentale e una bambina in grembiule nero. E accanto a lei un angelo di marmo. Quell’ala. Il panneggio, il ginocchio, come un principio di danza estatica.

La foto è piccola e in penombra, ma quell’angelo. Forse. E una bimba che avrei potuto essere anch’ io, a scuola avevo un grembiule uguale.

Quest’angelo, dico, questa statua. Della bimba non chiedo, non dico.

E’ una foto di cinquanta, dice la signora, cinquanta e passa anni fa. L’angelo, chissà dove sarà adesso. Fu scattata alla Cassa di Risparmio, mi dice: tu sei di fuori, se non sai come è andata con la Cassa di Risparmio, che fine ha fatto, beh insomma non lo chiedere a me, che il medico mi ha proibito di incazzarmi. Con rispetto parlando. Maledetti. E poi voglio durare ancora un po’, e tu che torni a leggermi di Clelia Trotti.

Tutto passa, penso mentre attraverso la Ripagrande. Anche la nebbia passerà. Ma certo che lo conoscevo, quell’angelo. In chiesa no, ma in banca mi ci portava, mia nonna, ai tempi della Consolazione. Con un libretto di risparmio grigio. E un giorno anche la maestra, con tutta la mia classe.

Il satellite emerge dalla nebbia, tutto passa ed è qui – voci, apparizioni, case vuote. Ogni giorno un’epifania.

In copertina: Fino all’ultimo Luis Borges (già cieco a 56 anni) era abituato a farsi leggere i libri dagli amici. Nella foto la lettrice è una giovane María Kodama, legata a Borges da un sodalizio prima intellettuale quindi affettivo per 33 anni e che curò la sua eredità intellettuale come presidente di una Fondazione internazionale.

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Silvia Tebaldi

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