Dal satellite
Un racconto di Silvia Tebaldi
C’è quella canzone, il tizio che dice Ad un tratto so che devo lasciarti, tra un minuto me ne andrò: il minuto è passato, Tizio, sei ancora qui? In silenzio morderai le lenzuola, so che non perdonerai, ma figuriamoci, quién te conoce a vos! Vai, vai. Mentre va la musica, nella stanza di là. Mai stati indispensabili, voi, tizio. Che qui lo sappiamo da millenni, cos’è davvero importante: la notte stellata dentro di noi.
Poi la musica è cambiata. Nell’appartamento di là, nello stereo dei vicini. Ma ora ascolto motori in lontananza, il compressore del frigo, il buio. Ci son più cose in cielo e in terra, tizio, di quante tu ne sogni. E da qui, dal satellite, da qui vedo lo spazio e i suoni.
Di mattina aiuto un’anziana poi torno qui, in questa casa in prestito, e lo spazio si espande fino all’alba. Vengono a portar via gli scatoloni, le cose dei padroni di casa: la venderanno, intanto si fa sempre più spaziosa. Già ora senti tutto. I pensieri. I vuoti tra i pensieri. Oliveros, Panaiotis e Dempster che suonano in una cisterna vuota sotterranea. Un karaoke in via degli Ostaggi, i camion, il ronzio delle luminarie di Natale. I passi. I respiri.
Da qui, dal satellite, vedo il tempo e le porte dell’aurora. Cassiopea, M42, la stella centrale. Da qui, dal quinto piano, si domina la valle. Il satellite ai bordi del mattino.
Una che abita qui accanto, non quella dello stereo, un’altra vicina, ieri mi ha chiesto come va, ogni giorno così, e come sta la vecchia. Tutto passa, le dico. Lei ci prova a farmi parlare, ma no. Nessuna afflizione. Rabbia sì, dolore sì, ma nessuna afflizione. Non parlo spesso di politica. Li inghiottirà la terra, quelli che hanno tradito chi lavora, che hanno messo le bestie in schiavitù. Chi brutta la terra, chi affama la gente, chi inganna brucerà nel fuoco. Stavo piegando le lenzuola e le dico ecco, non piove più come una volta, ma ci son certi cieli. Albe come in Antartide. Guarda. Li inghiottirà la terra, ma una luce.
Il Satellite è un sobborgo alle porte di Ferrara. Vivo da tanti anni altrove, mille chilometri lontano, ma in questa città ci sono nata. In un luogo che aveva nome gli Orti della Consolazione. Qualcosa vorrà dire. Tutto passa.
L’anziana l’ho portata dalla parrucchiera, là in fondo a via Gandini, poi al bar. L’insegna si vede bene, bar Satellite, dalla strada che va verso Bologna. E le chiedo Teresa, lo sai perché si chiama Villaggio Satellite? Certo, mi risponde, perché eravamo persi nello spazio.
Poi ho piegato e inscatolato certi golf, certe tovaglie. Tutto passa, le cose cambiano di mano finché servono poi ritornano polpa, muffa e polvere. Come noi. E ora sto qui seduta, al buio, guardo fuori ed è notte. Me le ricordo queste notti, le più lunghe dell’anno, ai tempi della Consolazione. Il cielo denso come vino, il brusio dei pianeti.
L’ultima luna. Rigel, gemma di Orione, che si specchia in un fosso.
Tra due giorni è Natale e tutto passa, tutto è qui.
Non importa chi sono o chi son stata. Se fui nell’Aleph, nella mente del memorioso Funes, nel Ciclo dell’Impero o in un meschino impero di quaggiù, di queste terre emerse. Sono una che piega le tovaglie, che accompagna in bottega la Teresa. Storie non ne ho mai scritte, in vita mia, ma quante ne ho ascoltate. Sono una voce, ecco tutto.
A un certo punto il tizio che cantava ha detto che torna a casa, dalla sua donna che starà dormendo, ha detto che il suo posto è là. Vai vai, gli ho detto, fottiti. Poi ho acceso la luce, dovevo andare in bagno e il corridoio è pieno di scatoloni.
E cosa c’era. Cosa ho visto. Trovato. E ora posso scrivere una storia. Finalmente. Con questa voce qui.
Ho questa voce, qualcosa vorrà dire.
Quando Natale sarà passato e toglieranno le luminarie dalla strada, la ruota panoramica dal parcheggio, quando ritornerà il vuoto dei giorni, allora avrò finito di riempire gli scatoloni. E allora ti racconterò. I giorni saranno ognuno un po’ più lungo del giorno prima, le notti una dopo l’altra più brevi, la volta celeste avrà altre stelle. Ma prima sarà Natale, la rivoluzione di un bambino. Natività. E allora pace in terra e buone feste a chi le merita.
Ascolta.
E’ quasi giorno.
Cover: Fotogramma da Blade Runner
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Silvia Tebaldi
Commenti (4)
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Bello. Grazie Silvia. Buon anno.
Luca!, grazie 1000
Sempre eterea questa tua scrittura, attaccata a cose estremamente concrete, quotidiane, ma che ti portano in altri luoghi. Grazie.
grazie, Mammamsterdam. buon anno nuovo!