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Vite di carta. Qual è L’età fragile nell’ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio.

La signora seduta accanto a me dice di essere di Milano, mi sorride e precisa che ha preso la metropolitana per arrivare qui, alla libreria Ubik appena inaugurata in Via Monte Rosa 91. No, io vengo da Ferrara, sono stata a visitare la modernissima Piazza Tre Torri, cuore del quartiere City Life che non conoscevo.

Vedo per la prima volta anche questo complesso plurifunzionale Monterosa 91, progettato dallo studio di Renzo Piano e da poco inaugurato nei diversi settori che lo compongono: uffici, sale meeting, palestra, ristorante, asilo nido e, appunto, spazi dedicati alla cultura. Un affascinante aggregato di edifici di solo vetro, allo sguardo.

Cosa ha portato qui lei e me da luoghi così distanti? La scrittura di Donatella Di Pietrantonio. Il suo romanzo appena uscito presso Einaudi, L’età fragile, è disponibile in gran copia su un tavolino messo accanto alle sedie dove si accomoderanno tra poco l’autrice e Gaia Manzini, che condurrà la presentazione. Ne leggerà alcuni passi  la voce garbata di Elena, di cui non riesco a cogliere il cognome.

L’ho già letto e soppesato, ma aspetto di sentire da lei, dalle sue risposte, su quale sostanza umana abbia avvertito il bisogno di scrivere quest’ultimo libro. 

Ho letto per prima la pagina finale, quella dei ringraziamenti, intuendo quale sia stata la gestazione della scrittura e le fatiche che ha comportato. Ho provato la consueta invidia buona che mi suscitano coloro che sono vicini, oppure dentro, ai libri belli. In fondo sono qui oggi per seguire un percorso di vita, quello che ha le letture importanti tra le pietre miliari. Sono venuta a fare manutenzione della mia vita interiore, perché mi serve avere coraggio.

Vado all’inizio: la dedica dice “A tutte le sopravvissute” e in effetti nei capitoli iniziali una madre e una figlia, tornata a casa ferita dalla grande città, faticano a rapportarsi tra loro e col proprio personale passato. Alla domanda di Manzini sui temi portanti del libro l’autrice sta rispondendo che sì, nei suoi romanzi il rapporto tra genitori e figli, specie tra madre e figlia, è un tema costante.

In questo, tuttavia, il punto di vista dominante è quello di una madre, Lucia. Certo, è da Lucia che mi sono fatta guidare dentro la storia. Attraverso lei ho conosciuto Amanda, tornata alle radici nel paese vicino a Pescara dopo che Milano ha minato ogni sua sicurezza; ho messo a fuoco le figure maschili del padre di Lucia, Rocco, e di Dario, il marito da cui vive di fatto separata da tempo.

Di chi è la fragilità nella fase della vita che ci viene raccontata al presente? Siamo nel pieno della pandemia da Covid 19 e una patina di timore, un sentore di vita perennemente allarmata ha preso un po’ tutti. Tuttavia nel passato di Lucia è ancora vibrante un doloroso fatto di sangue che né lei né la comunità intera del suo paese sembrano avere rielaborato.

Per volontà di Rocco, che sente avvicinarsi la fine della vita, arriva per lei e ricade su famigliari, amici e compaesani il momento di fare i conti con il femminicidio avvenuto trent’anni prima, nell’estate del 1992, su al campeggio, nel terreno che ora Lucia deve ereditare come unica figlia da suo padre.

Lucia si sente scissa, da un lato non ha una bussola per andare verso il futuro che l’eredità può comportare, dall’altro sente di dover superare l’inerzia del presente e affondare finalmente lo sguardo nel passato. Come può non sentirsi fragile in uno snodo così delicato della propria vita.

Abbiamo tutti vissuto abbastanza per non intuire che, proprio recuperando con l’esercizio della memoria ciò che è accaduto, potrà dare una sagoma agli anni a venire. E in effetti due lunghe parti del romanzo, la seconda e la quarta, nonché penultima, ridanno forma al fatto delittuoso e al milieu della montagna, in cui è maturato.

Anche il processo che ha condannato il colpevole fa parte della ferita, perché nel processo tutti, le vittime sopravvissute e il carnefice, sono stati esposti una volta di più alla sofferenza.

Ogni età è esposta, dice Di Pietrantonio. Ogni età è l’età fragile. Per Lucia, che si trova nel ruolo difficilissimo di essere al contempo figlia e madre. Attorno ha la fragilità del padre, venuta alla luce dopo la perdita della moglie, e la fragilità di Amanda, dopo l’aggressione subita a Milano.

La manutenzione per cui sono venuta è a buon punto: le domande che vengono poste all’autrice sono una dopo l’altra impeccabili, ma aspetto di sentir parlare della scrittura, di come è scritto il romanzo al di là (o al di qua) dei temi che lo sostanziano. Certo, si allude allo stile essenziale e al nitore lessicale, quanto mai preciso. Avrei tuttavia una domanda da porre, e rimango un po’ delusa dal fatto che alla fine dell’incontro non venga lasciata la parola al pubblico.

La dico qui. Sarà che, per avere letto ogni sua cosa, ho dimestichezza con la sensibilità con cui Donatella Di Pietrantonio si espone raccontando. Sarà che sono stata catturata molto presto anche da quest’ultimo racconto condotto in prima persona, il fatto è che a pagina 42 mi sono fermata a scrivere una mia considerazione, più che una domanda: la forza narrativa risiede nella modalità con cui apprendiamo le informazioni. Lucia ce le consegna quando vengono pensate o dette da lei, nell’immanenza dei suoi atti quotidiani.

Raccogliamo qua e là che ha uno studio, che ha studiato fisioterapia, ci dice il suo nome a una cinquantina di pagine dall’inizio.

Si svela con pudore, perché al lettore non si mente e ogni dettaglio costruisce il quadro di cui siamo fatti. Non credo che dobbiamo attendere di saperne il passato per capire Lucia. Certamente serve a lei come a noi la ricomposizione, ma c’è di più.

Ho scritto: ogni giorno che viviamo ha in sé il patrimonio genetico della nostra vita e di questo ci mette a parte lei, in ogni titubanza, in ogni momento di angoscia e di amore.

Nota bibliografica:

  • Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile, Einaudi, 2023

Cover: Neve a Campo imperatore su licenza Wikimedia Commons

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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