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Bologna Jazz Festival: Ron Carter, maestro unico
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Bologna Jazz Festival: Ron Carter, maestro unico.
Se esistesse lo strumento jazz per antonomasia io credo sarebbe il contrabbasso.
È uno strumento imponente, bello, caldo, armonioso.
Ricordo che, tempo fa, il bravo contrabbassista Adriano Brunelli mi raccontò che il contrabbasso, in dialetto ferrarese, si chiama “liron” (lirone) probabilmente a causa delle due “effe” di risonanza sulla cassa armonica, ai fianchi del ponticello, che assomigliano al simbolo delle lire.
Se esistesse un vocabolario visuale, alla voce “contrabbassista di jazz” sicuramente ci troveremmo la fotografia di Ron Carter.
Lui, che oggi ha 86 anni, è il più bravo ed apprezzato da ormai 60 anni per diversi motivi: possiede uno stile inconfondibile, ha una potenza ritmica unica, ha risorse tecniche inesauribili, esegue la cavata in modo perfetto ed elegante, riesce a coniugare delicatezza e forza in modo personale ed è un ricercatore musicale instancabile.
Ha suonato in migliaia di dischi con centinaia di musicisti ma il suo periodo più famoso rimane quello con Miles Davis negli anni 60 insieme a Herbie Hancock, Wayne Shorter e Tony Williams.
Se esistesse un quartetto jazz ideale, io credo che, fra i migliori degli ultimi anni, ci sarebbero i Foursight Quartet, il gruppo con Ron Carter al contrabbasso, Jimmy Green al sax tenore, Renee Rosnes al pianoforte e Payton Crossley Jr alla batteria.
Il Bologna Jazz Festival li ha ospitati quest’anno al Teatro Auditorium Manzoni il 12 novembre scorso dove hanno dato vita ad un concerto musicalmente perfetto ed emozionalmente potente.
L’esibizione di questo quartetto è stata meravigliosa; andrebbe riascoltata e riascoltata per apprezzare a pieno la ricchezza di spunti tematici, la precisione delle trame ritmiche, la varietà di citazioni musicali, la finezza esecutiva, la cura dei dettagli e la bellezza dell’armonia fra musicisti.
Il primo brano, della durata di 40 minuti circa, potrebbe essere usato come libro di testo nelle scuole per musicisti: una vera e propria antologia di cosa vuol dire suonare insieme.
In un brano successivo, caratterizzato da un dialogo fra il piano e il contrabbasso, la delicatezza e la dolcezza sono state di una intensità unica.
Gli omaggi alle composizioni di Miles Davis sono stati chiari.
Il pezzo assolo di Carter ha impreziosito un concerto già stupendamente elegante.
Ascoltare quel concerto jazz ha fatto bene al mio io interiore perché lo ha fatto viaggiare alla scoperta di armonie inaspettate. Credo che, quando è suonato divinamente, il jazz può diventare davvero terapeutico.
Lo verifico anche a scuola, con i bambini e le bambine, perché spesso ascoltiamo il jazz in sottofondo ai momenti di concentrazione in classe o in primo piano quando proviamo ad intrepretare il significato di quelle note sincopate con i disegni, le parole o i movimenti.
Certamente nei prossimi giorni farò ascoltare in classe le note di quel fantastico Maestro unico che è Ron Carter perché possano trasmettere direttamente e far sentire il vero significato della parola “classe”, intesa sia come ottima qualità che come interscambio di relazioni che può arricchire ciascuno dei componenti, che siano di un quartetto jazz o di una classe.
Ron Carter – Foursight Quartet at Jazz San Javier 2019
Tutte le foto, compresa quella di copertina, sono di Mauro Presini
Cover: Primo piano delle mani di Ron Carter sul suo contrabbasso – Ph Mauro Presini
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Mauro Presini
Commenti (1)
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Felicità per un direttore di un piccolo ma intrepido quotidiano anti-mainstream come Periscopio è anche avere fotografi come Mauro Presini, come Valerio Pazzi, come Romeo Farinella, come Ambra Simeone, come tanti altri collaboratori e fotografi amatori, attenti sensibili e intelligenti. Poi ci sono le parole. E c’è il grande Jazz di Ron Carter e degli artisti mito entrati per sempre nel nostro moud. Grazie a voi Periscopio vede quello che altri non hanno voglia di vedere.