UN BEL POSTO DOVE VIVERE.
9 suggerimenti per costruire piccoli mondi a misura d’uomo
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Un bel posto dove vivere. 9 suggerimenti per costruire piccoli mondi a misura d’uomo
Un un contesto sociale sempre più urbanizzato e sempre più mobile sembra essersi modificato radicalmente il legame delle persone con i luoghi e delle comunità con i territori che abitano. Da un lato, come ha notato Marshall McLuhan, più aumenta la mobilità e, in particolare, la velocità della mobilità, più viene distrutta la possibilità della comunità”; dall’altro gli spazi sono sempre più privatizzati e ridotti a merce, trasformati in mero panorama in alcuni casi, spesso de-classificati a contenitori di beni e di oggetti, ridotti a supporti per il traffico di merci ed informazioni o, peggio ancora, deprezzati e ridotti a discariche per le esternalità della produzione e del consumo. Malgrado questo non possiamo che vivere in un ambiente senza mai dimenticare che la qualità della nostra vita dipende ampiamente dalla qualità dell’ecosistema in cui viviamo.
L’uomo del futuro, che abbiamo imparato a conoscere attraverso l’immaginario cinematografico scaturito dagli incubi visionari di Philip K.Dick, rimane un monito e allo stesso tempo una sinistra possibilità. Oggi comunque nessuno può vivere nei circuiti digitali dove viaggia il capitale globale e dove scorrono le informazioni; nessuno può ancora vivere bene nei circuiti della logistica planetaria, dove circolano le merci stipate nei container, non meno delle persone inscatolate nei charter; non possiamo vivere a lungo e in salute in non luoghi e negli ambienti degradati; per fortuna gran parte di noi vive ancora in uno spazio fisico, in un territorio, in un posto che si può riconoscere come “casa”.
Cosa chiedere dunque, cosa suggerire? Cosa serve per costruire qualcosa di meglio a partire dal basso, dal territorio e dalle comunità? In che modo dare senso e contenuto alla massima “pensare globalmente agire localmente”?
- 1. Servono spazi ben organizzati dal punto di vista urbanistico, nei quali poter vivere a misura delle fragilità umane, partendo dal presupposto che i bisogni essenziali delle persone vengono prima di quelli riconducibili alle merci; un territorio organizzato in modo tale che le fasce più deboli della popolazione, anziani, bambini, diversamente abili e ammalati, possano esercitare l’elementare diritto alla cittadinanza, alla mobilità pedonale, al gioco e alla sicurezza e, in tal modo, possano vivere la propria naturale socialità indipendentemente dall’esistenza di prodotti e servizi a pagamento. Il territorio non può essere regolato dalla logica della speculazione e della corruzione che rappresenta fin troppo spesso il volto visibile del mercato.
- 2. Servono luoghi di vita nei quali poter praticare e sviluppare la nostra capacità di contemplazione estetica. Luoghi che valorizzino il patrimonio ambientale e culturale, dove si presti grande cura alla qualità urbanistica ed architettonica, alla qualità dell’aria che si respira e dell’acqua che si beve. Non è più sostenibile la vita in territori abbruttiti dai quali si evade di tanto in tanto per godere a pagamento di spazi dedicati ad un benessere momentaneo.
- 3. Servono infrastrutture tecnologiche intelligenti, piattaforme diffuse che favoriscano l’apprendimento, che generino capacità, che diminuiscano gli sprechi e che non esproprino le persone dei loro talenti per sostituirli sempre con merci e servizi a pagamento. Le tecnologie abilitanti che si presentano in forma di reti ed autostrade digitali, sistemi di controllo intelligenti, sistemi di coproduzione energetica e quant’altro, rappresentano un modo per attivare il protagonismo e la responsabilità delle persone e un mezzo per rendere le comunità maggiormente protagoniste del proprio destino.
- 4. Serve un modo nuovo di guardare ai bisogni delle persone, capace di separare ciò che è essenziale in termini di promozione della libertà e delle capacità personali e dei gruppi da ciò che è indotto dalla coazione al consumo. Il bisogno è sia una carenza che una motivazione, una spinta all’azione: non è più sostenibile che il bisogno venga esclusivamente ridotto ad una funzione della produzione, mentre questa dipende dai giochi di una finanza completamente sganciata dalla realtà della vita delle persone. Non è bene che i bisogni vengano definiti in via esclusiva da una casta di professionisti il cui unico scopo è salvaguardare ed ampliare la propria sfera di influenza con i relativi benefici economici.
- 5. Serve una conoscenza reale e diffusa del territorio, della cultura e dell’ambiente in cui si vive; spesso è qui infatti che sono presenti straordinari saperi, conoscenze e competenze che non possono essere ridotte al mero folklore o relegate al campo dell’obsoleto; esse costituiscono di per sé potenziali micro agenzie formative non formali che si collocano al di fuori dei circuiti (scolastici) ufficiali. In Italia la ricchezza di questo patrimonio è straordinaria: si tratta di importanti dimensioni di senso che possono acquisire una rilevante dimensione anche economica se si esce dagli stereotipi dei mercati di massa e si osservano con cura le opportunità dei mercati di nicchia. Queste agenzie non formali di apprendimento vanno riscoperte a valorizzate in modi innovativi che vadano oltre la logica del nobile e antico imparare a bottega.
- 6. Bisogna riconoscere e valorizzare, accanto all’economia formale, l‘economia informale, conviviale e familiare, che comunica e produce senso attraverso lo scambio di beni e servizi non contabilizzati. È il recupero dell’economia del dono, dell’informalità, della socievolezza che può dare più valore alla vita sociale senza nulla togliere all’importanza dell’economia ufficiale.
- 7. Serve una consapevolezza diffusa circa i danni alla salute che sono causati da uno stile di vita dissipativo, dall’alimentazione insalubre spinta dalla corsa al profitto, dal vivere in ambienti inquinati, pensati per le merci e non per gli uomini che, ridotti a consumatori, quelle dovrebbero semplicemente produrre e consumare. Le evidenze sono chiarissime pubblicamente dichiarate dalle agenzie sanitarie ma sempre disattese alla prova dei fatti.
- 8. Servono nuove storie, nuove narrazioni e nuovi miti capaci di sostenere un cambiamento di enorme portata che ci investe nel profondo. Bisogna infatti riconoscere che sono le strutture narrative ben più dei numeri e delle statistiche che ci consentono di comprendere il mondo come ben sanno tutti i manipolatori della pubblica opinione, i professionisti dei media e i pubblicitari.
- 9. Soprattutto servono persone capaci di motivare ed entusiasmare, di portare modi alternativi di vedere le cose dentro processi decisionali che sono attualmente abbandonati agli interessi della speculazione ed ai meccanismi apparentemente impersonali della burocrazia e della finanza.
Purtroppo basta girare ed osservare lo scempio degli ultimi 30 anni per capire come all’aumentare della retorica della sostenibilità sia aumentato anche e in misura decisamente maggiore il danno prodotto.
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Bruno Vigilio Turra
Commenti (4)
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Bellissimo articolo. Quando in politica si parla di avere una visione, questo ne è un esempio. Se si vuole ristabilire una differenziazione fra sinistra e destra o tentare nuove sintesi che superino steccati ideologici obsoleti, come qualcuno invita a considerare, in funzione di un’operativita’ costruttiva ed efficace per la comunità e il suo futuro, è necessario ricondurre il discorso alla visione che abbiamo del vivere insieme e degli obiettivi che le comunità si pongono
Condivido lo scritto del precedente commento:” Bellissimo articolo!”. Vorrei solo aggiungere, stimolata dall’immagine proposta in testa al contenuto, il bucato steso, che da quando mi sono ammalata per una esposizione tossica oltre 30 anni fa, ho preso coscienza della tossicità nascosta che ci circonda e che sta inquinando l’aria che tutti condividiamo, l’acqua e il suolo: le fragranze aggiunte ai prodotti di consumo oltre alla ampia gamma di profumi forti, che sono diventate altamente inquinanti sia per gli ambienti indoor che outdoor. Da ricerche Statunitensi competono con l’inquinamento veicolare attraverso la produzione di COVNM- Composti organici volatili non metanici che contribuiscono alla formazione di particolato e ozono negli strati dell’aria vicino al suolo. Le industrie hanno indotto le persone a credere che il “profumo di pulito” che in realtà non ha odore, sia scambiato per queste fragranze iperprofumate e onnipresenti nell’ambiente. La contaminazione dell’aria in casa e negli ambienti al chiuso supera dalle 3-5 volte quella dell’aria esterna. Questi composti chimici non migliorano il senso dell’olfatto ma lo rendono assuefatto, compromettendo la capacità discriminatoria. L’olfatto è un organo che ci dovrebbe proteggere da esposizioni a sostanze nocive per la salute. L’olfatto inoltre è strettamente collegato con il cervello, per cui le problematiche poi ricadono anche su questo importante organo umano. I prodotti per il bucato sono i più carichi di queste iperprofumazioni e si espandono nell’aria fino ad un chilometro di distanza. Le zone attorno ai supermercati e ipermercati, che spuntano come funghi nei centri urbani, ne sono altamente contaminate 24 ore al giorno, come attività di lavanderia, centri di grande distribuzione di profumi e cosmetici e prodotti per la casa, oasi ecologiche di raccolta rifiuti. Le persone che ne risentono maggiormente sono gli asmatici, gli allergici alle fragranze, gli individui che soffrono di cefalea, le persone affette da autismo e malattie del neuro sviluppo, quelli con iperosmia e sensibilizzazione chimica. Il cambiamento può partire solo dal singolo individuo che non si fa assimilare da questi contesti commerciali che danneggiano l’ambiente e la salute umana.
Ha ragione su tutto Donatella Strocchi: sull’inquinamento da detersivi, sul condizionamento commerciale, e naturalmente sul fatto che “il cambiamento può partire solo dal singolo individuo”. Ho ancora nelle orecchie quel “Dash che lava così bianco che più bianco non si può”, smentito nei decenni successivi da detersivi e additivi chimici che promettevano un “bianco ulteriormente bianco”. Siccome però l’immagine di copertina è importante (per noi di Periscopio particolarmente importante) e la scelta spetta alla redazione (in questo caso la foto l’ho scelta io), vorrei provare a giustificarmi, o almeno a spiegarmi. I panni stesi sulle case volevano citare “la cultura del vicolo”, oggi perduta in coincidenza con “la scomparsa delle lucciole”, e insieme proporre per l’oggi “una cultura del vicinato” e della politica che ha sede e senso nel lavoro locale e dal basso. in sintonia con i “piccoli mondi a misura d’uomo” del bellissimo intervento di Bruno Turra e, mi pare, anche della chiusa del commento di Donatella Strocchi. Ma un’immagine rimanda a ognuno di noi ricordi e pensieri diversi, e forse sono io che ho voluto con un’immagine citare e proporre troppe cose. Di questo mi scuso con Donatella e con i lettori.
bellisimo fa bene alla mente leggere ….