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“Io chiedo quando sarà, che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare, e il vento si poserà.”

 

La tragedia Palestinese / Israeliana è un argomento su cui sono particolarmente sensibile, da tanto tempo. E’ dal giorno dell’orrore compiuto nei Kibbutz che vorrei scrivere qualcosa, anche se non aggiungerà molto ai fiumi di inchiostro e ai commenti dei bravi giornalisti e politici occidentali. Le parole, le frasi, i pensieri mi si bloccano sui polpastrelli al momento di digitarli su una tastiera. Vorrei sputarli più che scriverli, vorrei gridarli più che commentarli, vorrei partecipare, agire, fare qualcosa perché quella martoriata regione sia terra di pace, come forse non è mai stata.

Da quando la questione Palestinese mi sta così a cuore? Dalle scuole medie, dal tempo del massacro di Sabra e Shatila, perpetrato dalle falangi libanesi cristiano-maronite con la complicità e l’aiuto dell’esercito israeliano al cui capo, in qualità di Ministro della Difesa, c’era un certo Ariel Sharon. Le modalità furono molto simili a quelle utilizzate da Hamas nel Kibbutz a Kfar Aza: una carneficina tenda per tenda, in quanto si trattava di due campi profughi, lasciando disseminati sul terreno dai 700 ai 3.500 morti (a seconda delle fonti), tra cui molte donne e bambini. La barbarie viene da lontano, è insita in quell’essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio che sono gli uomini.

Mi immagino i commenti indignati ed esterrefatti di alcuni lettori: “cosa c’entra, qui si sta parlando di un macello recente, il passato è passato”. Il passato non è passato. Se anche lo fosse, non ha lasciato sedimentato nulla, la storia si ripete, all’infinito, nel sangue degli innocenti, da Erode a Dio stesso, sempre uguale, sempre diversa.

Ora vorrei aggiungere un pensiero, che credo in Italia sia ormai fuorilegge. Io, bambino di tredici anni appena compiuti, sono diventato filo palestinese dal 18 settembre 1982. E qui vedo le moltitudini che si nutrono della stampa e della tv italiana inveire e gridarmi in faccia di essere filo Hamas, additandomi come connivente morale di un branco di criminali, invasati dalla droga e dalla religione. Ecco, qui vorrei azzardare alcune similitudini, sconvenienti, e sicuramente minoritarie nel pensiero comune delle nostre solide democrazie occidentali: le falangi libanesi, gli squadroni cristiano-maroniti, Ariel Sharon, Hamas, Bibi Netanyahu, sono portatori di morte, tutti allo stesso modo. Ognuno di loro fonda la propria ideologia sulla persecuzione e sullo sterminio del nemico. Il nostro amico Bibi ritiene che non potrà mai esistere uno stato Palestinese, i capi di Hamas dalle loro suite in Qatar (!) pensano che la soluzione finale debba essere unicamente la distruzione di Israele. Qual è la grossa differenza fra i tagliagole e la consolidata democrazia di Israele? Le armi con cui si uccidono i bambini? Barbare le lame, chirurgiche le bombe?

Ricordo, per chi non lo sapesse, che sono ateo e comunista e quindi mai potrò stare dalla parte di un gruppo di criminali fascisti, invasati dalla religione come Hamas; ma non posso stare zitto quando si parla di una violenza cieca solo da una parte del muro del lager di Gaza. Non posso.

La storia dello Stato di Israele nasce alla fine della seconda guerra mondiale. Leggendo in rete, o meglio utilizzando testi storici, ognuno si può fare una opinione. Non è mia intenzione quella di parteggiare in maniera ottusa come stessimo parlando di un derby. Più ci si informa, più crescono i dubbi. C’è tanto, troppo di più.

Nei miei ricordi di bambino, e di adolescente poi, Arafat e l’OLP erano additati come terroristi fanatici nemici dell’occidente, mentre probabilmente erano il vero argine contro l’ottusità sanguinaria del nascente movimento di Hamas. Al liceo indossavo un bomber con la spilla dell’OLP, del PCP, la pezza del Che, e l’immancabile spillina della S.P.A.L. Ero un pericoloso estremista, ma le mie posizioni da allora non sono poi cambiate di tanto.

Gli oppressi e gli oppressori, gli invasi e gli invasori, la diaspora e la nakba, hanno davvero la stessa dignità nell’evoluto mondo occidentale? Oppure cambiano a seconda della geografia, della religione, dei punti cardinali e delle parti dei muri da cui si vedono?

Ricordo le foto di Berlinguer abbracciato ad Arafat, e ricordo pure come quelle due figure mi rappresentassero, mi ricordo la dignità e l’orgoglio delle mie, anzi delle nostre idee. Oggi, a parte poche piazze, poche figure (mi viene in mente la giornalista Francesca Fornario, per citarne una su tutte) i miei pensieri sono fuori moda, fuori dal tempo, fuori di testa.

In copertina: foto Libertinus su licenza Creative Commons

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

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