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Ancora successi per “L’allaccio” di Daniele Morelli, menzione speciale della giuria professionale al Ferrara Film Corto Festival

Sceso il sipario sul Ferrara Film Corto Festival, vogliamo continuare a parlarvene e, in particolare, a presentarvi alcuni cortometraggi di giovani registi che hanno colpito giuria, pubblico o parte della critica. Oggi è il turno de L’allaccio, di Daniele Morelli.

Vincitore del premio come Miglior Colonna Sonora al San Benedetto Film Festival, prima di arrivare all’Ischia Global Festival, è stato protagonista della Mostra Internazionale del Cinema Sociale dal 2 al 9 luglio a Vico Equense. Qui, Daniele Morelli, classe 1994, ha presentato il suo cortometraggio L’allaccio, già in concorso ai David di Donatello 2023, e premiato come miglior cortometraggio (Colosseo d’Oro) oltre che miglior sceneggiatura (Colosseo d’Argento) al Roma Film Corto 2022. Altra menzione speciale della giuria professionale è arrivata dal Ferrara Film Corto Festival, lo scorso 28 ottobre.

Morelli è un vero talento, una promessa del cinema: è laureato in Beni Culturali, Musicali e dello Spettacolo all’Università di Tor Vergata, nel 2017 ha frequentato il corso propedeutico di regia al Centro Sperimentale, ha lavorato come assistente alla regia sul set di Loro di Paolo Sorrentino e, nel 2019, ha frequentato il Master Rai Master di scrittura seriale di fiction per affiancare alla regia uno studio sempre più accurato della sceneggiatura e il programma Biennale College di Venezia. Oggi lavora a Roma con varie case di produzione, come Lotus Production, Publispei e Minerva Pictures, e ha diretto vari cortometraggi caratterizzati da una regia evocativa e discreta che emoziona.

Appassionato di scrittura e cinema – grande ispirazione, ha detto, gli è arrivata da film come Batman, Il Padrino o Joker, così come dalla serie Romanzo Criminale -, questo giovane regista/sceneggiatore si concentra sulla realtà, dalla quale trae profonda ispirazione, mettendo l’Uomo sempre al centro, con le sue contraddizioni, le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi dubbi e le sue debolezze. Nei suoi lavori, ricorrono spesso i temi della morte e del lutto, argomenti che vuole approfondire, quasi con una lente d’ingrandimento. Avesse un caleidoscopio, creerebbe molteplici versioni della realtà

“Credo che la chiave del mio lavoro”, ha detto, infatti, in un’intervista, “sia restituire onestamente la complessità dell’essere umano, di come ogni persona reagisce di fronte a tutto ciò che, nel bene e nel male, offre la vita”. “L’indagine su un caso”, continua, “ti permette una profonda analisi della complessità dell’animo umano”.

E così avviene anche per L’allaccio, una storia di lutto e paternità, la vicenda reale del dolore immenso del grande regista Roberto Gastone Zeffiro Rossellini per la perdita di suo figlio Romano, di soli nove anni, il 14 agosto 1946, avuto dalla moglie Marcella de Marchis. Era l’anno del film a episodi Paisà e Rossellini doveva girare Germania Anno Zero e, per questo, recarsi a Berlino, ma non riusciva a staccarsi dalla tomba del figlio. Una colla invisibile fatta di tristezza e rimorsi pareva inchiodarlo lì. Così chiese, alla compagnia TETI, di farsi allacciare, un telefono al Cimitero del Verano accanto alla tomba di Romano, per poter comunicare con il produttore, gli sceneggiatori e la troupe del nuovo film che girava in una Berlino rasa al suolo, sotto l’amministrazione francese.

“Le opere di mio padre le divido in quelle prima della morte di Romano e in quelle successive, dove c’è una spiritualità non presente in quelle precedenti – ha detto Renzo, il figlio di Rossellini -, Germania anno zero mio padre l’ha organizzato da qui. Dopo i bombardamenti di San Lorenzo qui molte tombe erano aperte e io passavo ore e ore a giocare con le ossa, creavo trombette, sono stato allevato nel lutto e nel dolore dei miei genitori. Negli anni passati ho fotografato la colonnina e la tomba e le ho mandate a tutti i sindaci di Roma, ma solo grazie alla sensibilità di Marino questo oggetto ora entra nella storia”. Oggi questa storia si trova anche nella Guida storico-culturale del Cimitero Monumentale del Verano, edita nel 2015, un grande libro dei ricordi di un’intera comunità.

Il protagonista di Germania anno zero, uscito nel 1948, è interpretato da Edmund Moeschke, un ragazzino di 11 anni che nella vita si esibiva al circo come acrobata con la famiglia: pare che Rossellini lo avesse scelto anche perché gli ricordava Romano, alla cui memoria il film fu dedicato nei titoli di testa. Il circolo si chiudeva. I cipressi intorno, quasi a stringersi in un infinito abbraccio disperato ed empatico.

Un uomo solo, dunque, prigioniero nel limbo del Cimitero, dopo un abbraccio in lontananza con Anna Magnani, e una colonnina in ghisa che c’è ancora (non il telefono), restaurata. Una strana richiesta che colpisce ancora e che intenerisce. Un filo.

Così Morelli racconta la storia dell’operaio, interpretato da Francesco Acquaroli, che realizza l’allaccio al grande regista, un operaio che non parlava con il padre da tempo, e la cui voce incredula, vinta la propria ritrosia interiore, sentirà proprio da quel telefono, dopo aver composto il suo numero per testare la linea. Un figlio che chiama il padre, per ritrovarlo (con tanto di sorpresa finale), un padre che vorrebbe chiamare un figlio, ma che non può, perché che non c’è più. Destini che si incrociano, un po’ chi ha il pane non ha denti e chi ha i denti non ha il pane, reciterebbe il detto popolare. “Un chiasmo emotivo”, dice Morelli, “dove il regista e il telefonista, grazie alla conoscenza dell’altro, si donano qualcosa, riuscendo entrambi ad affrontare i propri demoni personali”.

Si tratta di fare i (temibili e terribili) conti con il proprio passato, un intreccio di destini da cui nasce una vera e delicata poesia. Una storia, misteriosa ma sensibilissima, in un’ambientazione dai colori un poco noir, che tocca temi profondi come la perdita, la colpa, il desiderio di vendetta e la necessità di confrontarsi con il proprio passato.

L’allaccio, di Daniele Morelli, scritto da Edoardo Carboni e Daniele Morelli, Italia, 2022, prodotto da Necos Film, durata 20 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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