Riuscire ancora a prendere sonno.
In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, una certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia.
(Cesare Pavese)
Catina Balotta (qui) mi esorta su Periscopio, seppure all’interno di un appello collettivo, a non distruggere l’infanzia se voglio salvare l’umanità. L’occasione di cronaca è fornita dai fatti di Gaza e di Israele. “Non distruggere l’infanzia è l’unica strada per salvare l’umanità. Mi chiedo quanta consapevolezza ci sia su questo e quante azioni mancate ci riguardino, in questi giorni tetri come la notte. Per poter salvaguardare l’infanzia su questa terra infestata da armi mortali, sofisticate e diffuse ovunque, serve la mobilitazione di tutti.”
Quante azioni mancate ci riguardano? Ribalterei la questione. In una situazione come questa, quali sono le uniche azioni ammesse, e che (quasi) nessuno compie né compirà mai?
Le uniche azioni ammesse sono: organizzarsi, andare là e mettersi a disposizione per aiutare i feriti, abbracciare le madri e seppellire i morti, a rischio della propria stessa vita. Come? Difficile già dal punto di vista puramente logistico, difficilissimo dal punto di vista esistenziale. Eppure sarebbe l’unico agire che legittima un parlare. Tutto quanto possa essere fatto di alternativo è inane, e non autorizza l’impiego di parole, persino le più accorate e in buona fede, per commentare questa situazione. Per quanto accorate, per quanto in buona fede, suoneranno sempre gratuite, comode, prive di rischi, come le varie solidarietà che siamo abituati a manifestare con l’esposizione di una bandiera al balcone, o su una foto del profilo social. Il profilo social. Già il pronunciare una simile locuzione suona oscenamente vacuo di fronte al male del mondo.
Francesco Monini in un messaggio, non saprei anche qui se personale o collettivo – credo entrambi – mi scrive invece: “riuscite a dormire durante la strage dei bambini?”. La mia risposta è: riesco a dormire se non guardo il mondo. Se non guardo il male del mondo. Infatti non lo guardo più. Non accendo la televisione. Salto i notiziari radio, elimino i filmati dei bambini di Gaza che girano sul web. Prolungo il mio lockdown privato.
Cosa potrebbe fare un mio conoscente, persino un amico, di fronte a un mio grave lutto personale, o addirittura collettivo come è un lutto causato da una guerra o una catastrofe? Ben poco, ma almeno sarebbe un amico o un conoscente, e se non oggi, un giorno potrò apprezzare la sua vicinanza del momento, ricordandola. Cosa posso fare io per queste persone che non conosco e non mi conoscono, non vincendo la viltà di non andare là? Nulla. Cosa posso fare per evitarmi la frustrazione, l’inutile dolore senza uno sfogo, senza uno scopo? Coltivare l’anestesia. Per riuscire ancora a prendere sonno.
Cover: “Numb” by Dandy-Jon, copyright dell’autore, pubblicato con licenza Creative Commons
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Nicola Cavallini
Commenti (5)
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Bellissimo testo, intenso, emozionato ed emozionante!
Grazie!!!
Nicola Cavallini mette il dito sulla piaga personale di ognuno di noi.
È terribile quel che dice, ma è la verità.
Aggiungo . Servirebbe forse una mobilitazione tale contro le guerre di proporzione e continuità mai viste sino ad ora per costringere i governi
a impedire o far cessare i conflitti. Ma siamo realisti: chi riuscirebbe a metterla in piedi e a farla durare per essere veramente efficace?
Così come Hammas disumanizza i bambini Israeliani, così come il governo Israeliano disumanizza i bambini Palestinesi, noi ci indigniamo quel tanto che basta a farci dormire la notte, una dose sufficiente a poterci far credere di essere assolti, ma come dice il poeta _ Per quanto noi ci crediamo assolti
siamo per sempre coinvolti.
Coinvolgente riflessione che ci sposta dalla nostra zona di comfort ma che mi assolve dal compito di giustificare che alla domanda di Francesco Monini io avrei risposto di sì, che riesco a dormire, chiedendomi a mia volta se qualcuno di noi ha davvero perso il sonno.
Io poi come nei casi della vita nei quali mi sento impotente penso che partire dal personale mi faccia stare meglio. Fa stare meglio me, ma certo non serve a chi sta attendendo la morte. Mi fa stare meglio coltivate la speranza, quella che se faccio miei dei gesti quotidiani di nonviolenza, questo possa contribuire tessera dopo tessera, a costruire un mosaico di pace. Intendo, ma non so, ditemi voi, se sia un’illusione da invasata, cosa succederebbe se nel percepire i nostri nemici politici locali cominciassimo ad agire con il dialogo, con la nonviolenza che, come insegnava Daniele non è passività né arrendevolezza, ma combattimento rispettoso. È ascolto, è riconoscimento dell’altra e della sua dignità, delle sue ragioni, dei suoi bisogni diversi dai miei. È accettare l’errore per trasformarlo e costruirci la bellezza,l’utile. È mediazione, è creatività. È umorismo dice Marianella Sclavi, è non prendere troppo sul serio noi stessi ma prendere molto sul serio gli altri. Anche questo ci ha insegnato Daniele Lugli. Credo che questo potrebbe essere un inizio di costruzione di un mondo senza guerre.