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Le storie di Costanza. Settembre 2062 – Tata Spara

Zeus-t vola sopra di me e si ferma davanti ad una delle finestre del soggiorno. Schiaccia il pulsante e la tapparella si abbassa, in modo che il sole entri solo un po’. La parte più bassa della stanza brilla, grazie ai riflessi di luce che attraversano i vetri, mentre la parte più alta è in penombra. Con il nuovo posizionamento della tapparella, il soggiorno resta più fresco e l’ambiente è piacevole e accogliente. I divani gialli sono sempre lì fermi e angolari, il divanetto d’Adelina ha sempre la sua fodera di velluto rosa.

Ho novant’anni e questa è sempre stata la mia casa. Ho sempre abitato qui e, anche se per alcuni periodi ho lavorato in città, qui sono tornata quasi tutti i fine-settimana della mia vita. Zeus-t atterra su un tavolo di legno, abbassa le sue ali meccatroniche e si ferma. È in standby e così resterà fino a quando lo azionerò la prossima volta. Un robot-drone-t bellissimo, a forma di libellula, che ammoderna la stanza da solo.

È lui la prova che siamo nel 2062 e non nel 2030 o nel 2010. Il mio piede è appena guarito e non posso ancora camminare molto. Però la situazione è migliorata; certe volte non resta che sforzarsi di vedere il bicchiere mezzo pieno.

Ho passato un’estate tra gesso e stampelle, non il massimo per una a cui piace camminare. I miei nipoti, amici, vicini e parenti hanno però contributo ad alleviare questa mia reclusione forzata, venendomi a trovare e mandandomi messaggi di incoraggiamento. Li dovrei ringraziare tutti, ma non sono molto brava con queste formalità. Li ringrazierò un po’ alla volta, quando e come potrò.

Le mie cugine Ines e Bella sono venute a trovarmi da Cremantello, il paese dove sono sempre vissute e dove hanno gestito il Bar Ghepardi per molti anni. Mi sono sempre chiesta perché il Bar avesse il loro stesso cognome, forse avrebbero potuto cambiare il felino di riferimento e chiamarlo Bar Leoni. Bar Leoni mi suona bene, trasmette un’idea di forza e determinazione e poi i leoni ricordano alcuni dei nostri monumenti più importanti, ad esempio San Marco a Venezia.

Le ha portate a Pontalba Marta, la figlia di Bella. Abbiamo chiacchierato, riso e mangiato la pizza ricordando avvenimenti del nostro passato, poi se ne sono tornate a casa loro. I ricordi condivisi sono un vettore d’affetto e complicità.

Ricordare avvenimenti lontani che hanno caratterizzato la vita di tutte noi cugine, rende la possibilità di conversazione ed emozione pressoché inesauribile. Sarà perché sono vecchia, ma penso sempre che ciò che rende una persona speciale, è il tempo in cui c’era e ti ha dedicato attenzione, a scapito di tutto il tempo in cui altri avrebbero potuto esserci ma non ci sono stati, a volte generando stupore e anche un po’ di tristezza.

La presenza, l’affetto, la condivisione di gioia e sofferenza creano parentele vere, che non necessariamente hanno a che fare con quelle sanguinee. Così inanellando un pensiero dopo l’altro, seguendo vie tortuose che sono quelle dei miei ricordi, delle mie emozioni e delle immagini di persone che sono passate dalla mia vecchia casa, mi sorprendo a pensare al Circolo ricreativo Tito Speri.

Questo simpatico ‘circolo’ è costituito da un gruppo di persone che alla sera si siede fuori casa e chiacchiera. Mi piace proprio perché è così, semplicemente così.  È la gente che incontra gente, che ritrova sé stessa in una comunità spontanea, nata dalla prossimità abitativa, dalla narrazione di avvenimenti reali e quotidiani.

Un circolo dove puoi sempre fare qualche chiacchiera leggera. Non si paga nulla, non si è obbligati a fare nulla, chi passa e vuole fermarsi è ben accetto, chi si alza e se ne va è libero di farlo senza dare troppe spiegazioni. “Ci vediamo la prossima volta che passo”, ed è finita lì. Al Tito Speri si porta la propria sedia e ci si siede in cerchio, vicino a una panchina di cemento che fa da perno strutturale del consesso, lì si ascoltano storie di paese.

Al massimo qualcuno fa le frittelle e le porta per tutti, per chi c’è, per chi arriva, per chi passando ne prende una al volo e se ne va. Il circolo funziona solo d’estate perché la sua sede principale è semplicemente una panchina di una delle vie di Pontalba. Via Adriano Olivetti. È un luogo di socialità spontanea che nessuno finanzia, che nessuno controlla, che nessuno ha progettato. È nato dalla prossimità degli abitanti di via Olivetti, dalla loro convinzione che stare un po’ insieme è meglio che stare sempre da soli. È bello così.

A volte ci vado anch’io, mi siedo là e ascolto un po’ di parole. Commenti sulle macchine che passano, sul tempo, sulle persone che sono in vacanza, su quelle che andranno in pensione a breve. È divertente e, tutto sommato, giusto. Giusto perché è democratico e volontario, giusto perché è equo e libero. Contribuisce a rasserenare le giornate che volgono al termine. La leggerezza, quella buona che non fa male a nessuno, è una benedizione, allunga la vita. Le persone della zona hanno cominciato a chiamare quel ritrovo serale Tito Speri per scherzo e poi hanno finito per adottare quel titolo definitivamente.

Il nome di un patriota, uno dei martiri di Belfiore, non sembrerebbe un nome adatto ad un circolo di natura spontanea, però questo si chiama proprio così.  Molto spesso i nomi nascono quasi per caso e, altrettanto spesso, nessuno riesce più a ricostruirne la genesi.

In via Olivetti si narra che una sera un ragazzo abbia aperto per caso il libro di una bambina che stava facendo i compiti delle vacanze e la prima parola che ha letto sia stata proprio “Tito Speri”. “Tito Speri, Tito Speri”, tutta la sera si è continuato a ripetere il nome di quel povero martire come un ritornello per far sì che la bambina lo memorizzasse.

Il nome del circolo è nato così. Chi è Tito Speri, cosa ha fatto, in che periodo ha vissuto, chi erano i martiri di Belfiore … alla fine tutti i partecipanti al circolo lo sapevano. Quale miglior nome di quello di un personaggio che conoscono tutti? Così il circolo ha acciuffato un nome dai compiti delle vacanze di una bambina e se lo è tenuto. Chi c’è stasera al Tito Speri, chi va stasera al Tito Speri, quelli del Tito Speri stasera mangiano le frittelle, e così via.

Mi piace questo modo di scegliere i nomi anche la casualità ha il suo valore, porta creatività e curiosità insieme. Anche a Cosmo-111, il robot di Valeria, piace venire con me al Tito Speri. Si posiziona in mezzo al circolo cercando di attirare attenzione. Alza le sue corte gambe, fa roteare gli occhi-telecamera e, ogni tanto, fa anche qualche saltello cantando la sua canzone preferita: “Saputo, saputo, aku, aku. Saputo, saputo, akù, totù.”.
I partecipanti al circolo, che sono abituati a cogliere più le buone intenzioni che l’abilità in sè, applaudono sempre alle sue destrezze e lui si inchina compiaciuto davanti a tanto apprezzamento.

Qualche sera fa c’è stato un incidente. Un bambino che di solito è al centro dell’attenzione perché transita abilmente con suo monopattino davanti alle persone sedute catturandone l’attenzione e i commenti entusiasti, ha dato una sberla a Cosmo-111. Le bizzarrie del mezzano che hanno divertito tutti, gli hanno rubato il palcoscenico e lui si è molto arrabbiato.

Ad ognuno di noi piace essere al centro dell’attenzione, anche per poco, anche per un nonnulla. Proprio quel nonnulla può fare la differenza tra un giorno qualunque e un giorno che finisce nel sacco dei ricordi con una scintilla in più. Anche al Tito Speri è così, capitano dei minuscoli momenti di gloria individuale che nessuno vuole perdere o donare. Momenti così piccoli e così estemporanei che sono equamente divisi, quasi casuali. Starnutire forte, mangiare una mosca mentre si parla, rompere una ciabatta mentre si sta camminando, indossare una maglietta al contrario, macchiarsi con una pallina di gelato al cioccolato.

Altre volte anche al Tito Speri capitano delle “vere glorie”. Il canto di un ritornello di una canzone popolare, la recita di un pezzo di una preghiera in dialetto lombardo, la descrizione con dovizia di particolari di come si potano le viti, di come si trovano i funghi sotto i rovi. Questi sono i momenti di attenzione generale e conseguente soddisfazione individuale che al Tito Speri brillano e durano, sono appariscenti, quasi stellari.

Negli ambienti dove non si è apprezzati non si va, nei luoghi dove ci sono persone e contesti depressivi si fugge appena si può.  Qualche sera fa il bambino del Tito Speri ha perso una piccola stella perché quel ‘matto’ di Cosmo-111 si è messo a cantare in ‘mezzanese’ e tutti hanno guardato lui.

Ma Cosmo è intelligente, razionale e sa valutare bene i pro e i contro delle situazioni.  Quando ha capito che il bambino si era offeso, ha cercato di distrarlo e di rimettere le cose al loro posto. Ha così detto: “Io non sono bravo ad andare col monopattino, a far quello è bravissimo Jacopo, però sono bravo a scrivere poesie e ne ho scritta una anche per voi.”

Ha poi dato il foglio con la poesia a Jacopo, chiedendogli di leggerla. Il bambino ha preso il foglio ed è scoppiato a ridere, perché la poesia di Cosmo-111 era scritta con una sola vocale. “Sentite cosa ha scritto Cosmo!”  e tutto il circolo si è preparato ad ascoltare l’ennesimo esploit del robot.

Tata Spara
Tata Spara a sampra là
A cantanaa a davartara cha passa da là
Tata Spara a balla, là paaa travara an fratalla.
Tata Spara sta sampra là
A cantanaa a stapara cha passa da là
Tata Spara à ana balla parala, cama an aqaalana cha vala.
Tata Spara à sampra casà
A cantanaa a stapara cha passa da là
Tata Spara à an gaardano abatabala, cama an faara amabala.
Tata Spara sta nal maa caara
A la passa chaamara amara
Tata spara à an carcala da parsana cha patrabbara assara ra, ragana a rabat da sacanda ganarazaana
Prapraa a lara varraa ragalara an galatanaa.

“Bravo, Bravo Cosmo-111 !!!!” urla il circolo Tito Speri facendo un bel coro, poi scoppia l’applauso e il sipario cala fiammante su via Olivetti e sulla notte che verrà.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

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