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Anna e il Chiriguare – La costruzione del sè

Arriva nel mio studio Anna, 20 anni. La mamma adottiva è preoccupata perché la figlia è come bloccata. Il suo isolamento è progressivo come pure l’insuccesso scolastico, la passività, i sintomi depressivi. É carina, con lunghi capelli neri e lucidi. Ha un fascino esotico che osservo ma non commento. Ha nuovamente interrotto gli studi universitari. Non sa che fare della sua vita. Ha idee molto generiche, sensate: lavoro e famiglia ma, pare, non esista strada per avvicinarla realisticamente a questi traguardi.

Alla fine della prima seduta, nel salutarla, commento positivamente il suo aspetto e Anna mi informa educatamente ma quasi risentita, di essere sudamericana, specifica molto frettolosamente: “non so lo spagnolo, non sono mai stata né desidero andare in sudamerica”. Mi liquida come se avessi oltrepassato un confine molto preciso anche se invisibile.

Penso che, forse, uno dei problemi di questo blocco, iniziato nella adolescenza, sia la presenza di un conflitto ineriore più antico: il desiderio di una identità.

La presenza di un senso di sé idealizzato al confronto con un principio di realtà che rende impossibile il bisogno di non portare su di sé, impressa nel corpo e non eludibile nel profondo inconscio della mente, la sua origine primigenia.

La sua immagine è quella di una indigena del pueblo, una Pocahontas sudamericana. Cerco di capire come può conciliare il riflesso che lo specchio le rimanda: occhi a mandorla, incarnato olivastro, piccola statura, con i canoni estetici occidentali cui aspira, sottolineati involontariamente dai suoi genitori: alti, bianchi, colti, affermati.

Come ritornare con il pensiero ad una madre che l’ha abbandonata, a un padre chissà se esistito, a una recondita inconsapevole certezza di un rifiuto, di una vita iniziata nella trascuratezza, nella povertà, con la sola urgenza di sopravvivere e chissà cos’altro? 1

Come tutto ciò può trovare posto nella sua ricerca di radici non frammentate, di identità di giovane adulta italiana?

La sua soluzione é nella negazione, nella rimozione. Freezing: una dissociazione che permette di sopravvivere psichicamente ma che, come in ogni trauma porta al “congelamento” e alla scissione. L’esito: la costruzione di una identità diffusa e frammentata.

Difficile capire, per me, come arrivare ad una integrazione che le permetta di ridare dignità e rispetto alla sua origine e non la metta contemporaneamente, nel contesto attuale, dentro ad un confronto perdente o rabbioso persino con la sua famiglia come in parte già avviene. “Non mi hanno mai capita”.

Ma un giorno mi viene in mente El Chiriguare.

Cerca la laguna vive el chiriguare
con cara de burro i cola de bagre(…)
Viene el chiriguare te và a comè

[Intorno alla laguna vive il chiriguare con la testa d’asino e la coda di pesce….arriva il chiriguare  ti mangerà]

Le racconto, come per un pensiero casuale, di conoscere alcune canzoni del folklore latino-americano. Le chiedo se può aiutarmi a disegnare questo strano animale che viene descritto nella canzone ma che vorrei tanto prendesse una forma. Niente di serio, un gioco, una canzone infantile, le leggo il testo in spagnolo e lo traduco, faccio confronti con alcune filastrocche della mia infanzia, lo canticchio.

Anna asseconda la mia richiesta e comincia a lavorarci sopra in diverse sedute: prima lo sfondo di uno stagno con acque invitanti i cui colori mescola con spontaneità, sapienza, senza esitazioni. Poi su un altro foglio si dedica al Chiriguare che verrà disegnato per una prima bozza, poi ridisegnato, decorato, impreziosito e infine ritagliato e collocato sul primo foglio. Il risultato è esteticamente piacevole, il suo impegno leggero, silenzioso, preciso.

Osservo: El Chiriguare è stato disegnato con cura, ma è stato “tagliato” e tolto dal suo foglio di origine. Appiccicato su quel verde stagno immobile di cui non si scorge nulla, lì come in prestito, al centro e solo. Terminato il lavoro lo metterà in disparte e non ne farà più spontaneamente alcun riferimento.

Il lavoro con Anna è continuato, a lungo hanno predominato il silenzio, poche parole incerte e imbarazzate ma questa fertile suggestione ha permesso un nesso significativo, rispettoso, delicato. Una rappresentazione visibile che spero permetta ad Anna di ricontattare amorevolmente le sue prime radici e permetta un disgelo che invita al risveglio della primavera della sua giovane vita.

Una affermazione di sé convinta e non appiccicata e, a quel tempo, messa da parte.

Ci sarà una svolta nel suo percorso grazie ad un altro lavoro pittorico ma vi lascio nella suspense per una prossima volta.

Una chiave di lettura:
I genitori affermano di averle raccontato la sua storia, Anna dice di non sapere niente dei suoi primi anni. Sottolineo che il senso di una identità stabile ed integrata si sviluppa proprio nei primi mesi in base allo stile di attaccamento, cioè alla qualità e all’affidabilità delle cure della figura primaria che quasi sempre è la madre. L’adolescenza è una fase in cui si fa pressante la domanda chi sono e chi voglio essere e può far riemergere istanze emotive psichiche irrisolte.

Nota importante: tutti gli articoli della rubrica sono tratti da casi clinici reali, romanzati ed adattati per rispettare la privacy. Le immagini dei pazienti sono autorizzate dalla liberatoria che mi è stata concessa solo a scopo di pubblicazioni a mio nome. Ne è vietata la riproduzione per altri usi.

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioli, clicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.  

In copertina: El Chiriguare, tecnica tempere e collage

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Giovanna Tonioli

Giovanna Tonioli da molto tempo si occupa di Dipendenze Patologiche nel servizio pubblico. A lungo, come educatrice, ha pensato di fare uno dei mestieri più belli perchè coraggioso, avventuroso, “stupefacente” come le storie delle persone. Il battesimo lo deve a Marco Cavallo e, sull’onda del pensiero della Psichiatria Democratica, le piace abbattere le porte chiuse e lottare contro tutte le forme di stigma; è testimone delle più svariate umanità. Si è laureata in Psicologia clinica, si è specializzata presso l’Istituto di Psicoterapia Espressiva di Bologna ed è socia di Art Therapy italiana. Lavora a Ferrara. L’incontro con l’arte terapia è stata una svolta importante sia personale che professionale – ma Marco Cavallo lo sapeva già – e così come libero professionista svolge l’attività di Psicoterapeuta Espressiva, dove l’arte, la creatività e l’estetica si sposano con la psicoanalisi, le neuroscienze, la mente con il cuore delle persone. Una terra di mezzo, uno spazio transizionale in cui le parole possono incontrarsi con tutte le forme espressive, il rigore con la curiosità e il gioco, la disciplina con l’immaginazione. Giovanna è anche un mezzo (e sottolinea “mezzo”) soprano, una sfocata fotografa, un’artista naif. Vive in provincia di Ferrara, precisamente alla Cuccia, una piccola casa in uno sperduto borgo di campagna, con i suoi cani che nel tempo si avvicendano, ma che, sempre, sono a loro modo grandi maestri di vita.

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