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Elvis torna in un biopic hollywoodiano, con il bravissimo (e bellissimo) Austin Butler

Standing ovation di 12 minuti al festival di Cannes 2022, dove era stato presentato in anteprima mondiale, Elvis, il biopic hollywoodiano su Elvis Aaron Presley, firmato dal visionario Baz Luhrmann, è piaciuto e piace al pubblico.

Raccontare leggende ha sempre il suo fascino, soprattutto se si tratta di quei miti intergenerazionali che hanno fatto la storia del costume e scardinato modelli prestabiliti, con la forza della loro ostinata ribellione e trasgressione. Liberi.

Se poi a interpretare il “bello, ribelle e sexy” per eccellenza, dalla voce calda e suadente, è un altrettanto bellissimo e sensuale attore – in questo caso uno strabiliante Austin Butler – il risultato è garantito.

Per il ruolo, Butler, partito dalle serie Disney, ha ricevuto una candidatura agli Oscar 2023 come miglior attore protagonista (il film ne ha ricevute 8), e, per calarsi nella parte, ha usato il metodo Stanislavskij, con un’immersione talmente profonda per due anni che oggi, ha raccontato in un’intervista a Entertainment Weekly, ha difficoltà a distinguere la sua voce da quella del personaggio. Nel film, infatti, canta e benissimo.

Insieme a lui, l’attore due volte premio Oscar Tom Hanks che interpreta l’enigmatico manager-padrone che decide tutto, quell’Andreas Cornelis van Kuijk che pretendeva di essere americano e si faceva chiamare colonnello Tom Parker, il “cattivo” della storia che, sul punto di morte, nel 1997, racconta la leggenda di Elvis, annegato in un mare di lustrini.

Al centro di tutto, elemento originale del racconto, il rapporto tossico fra la star e il manager-impostore, che fiuta subito la “gallina d’oro”, la manipolazione che un Elvis fragile, incerto e insicuro subisce sempre da parte di un uomo senza scrupoli che lo tiene legato a sé, indissolubilmente, con continui ricatti psicologici e raggiri.

Il colonnello Parker mette il giovane astro nascente sotto contratto, lo manda in Europa a fare il servizio militare per fuggire alle accuse di immoralità (qui conoscerà la futura moglie Priscilla, interpretata da Olivia DeJonge), lo fa diventare grande ma non gli permette di fare tour all’estero e lo spreme per anni legandolo a Las Vegas, anni di concerti in cui Elvis diventa la versione grottesca di sé. Con un matrimonio che andrà in frantumi anche a causa di pasticche bianche, Elvis si ritroverà solo, depresso, insoddisfatto e infelice.

Nelle riprese principali svoltesi nel Queensland, in Australia, a fianco di Butler, Hanks e DeJonge, recitano anche la pluripremiata attrice teatrale Helen Thomson, nei panni della madre di Elvis, Gladys, Richard Roxburgh in quelli del padre di Elvis, Vernon, e Kelvin Harrison Jr. che interpreta B.B. King. Per ritrarre le altre icone della musica del film, Luhrmann ha scelto la cantautrice Yola come Sister Rosetta Tharpe; il modello Alton Mason come Little Richard; Gary Clark Jr., come Arthur Crudup e l’artista Shonka Dukureh come Willie Mae “Big Mama” Thornton.

Nel film c’è ovviamente tantissima musica, dalle prime performance con le fan in delirio fino ai tristi show di Las Vegas degli ultimi anni. Molto intense sono le scene dell’incontro di Elvis con la musica blues e gospel (fin da quando, ragazzino, spiava i canti e i balli afro, proibiti alla chiesa) e la chitarra elettrica, le inquadrature di fan urlanti e le performance esplosive. Ci sono, in un crescendo coinvolgente, musica, danza e tante celebrità. Elemento molto interessante, appunto, l’influenza della musica nera su Elvis e il pericolo che questo rappresentava per i sostenitori della supremazia bianca. Ragione di più per osteggiare, oltre a un “movimento di bacino scandaloso e lussurioso” (la star detestava l’appellativo che gli era stato attribuito “Elvis, the Pelvis”).

In una parabola di una celebrità che nasce, cresce, giunge fino all’Olimpo e poi declina e muore, non si perdono mai di vista la delicatezza e la fragilità di un uomo che ha vissuto per la musica e per il suo pubblico. Alla fine, soccombendovi.

 

 

Elvis, di Baz Luhrmann, con Austin Butler, Tom Hanks, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Olivia DeJonge, USA, 2022, 159 minuti.

Immagini Warner Bros. Pictures

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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