Vite di carta /
Cinque presidenti senza Stato (1985-2022)
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Ne parla diffusamente Marzio Breda, giornalista del Corriere della Sera da oltre quarant’anni, nel saggio con cui ha vinto in settembre la 58ª edizione del Premio Estense. Capi senza stato è il titolo “furbo”, come lo definisce lui, con cui ha sbaragliato concorrenti importanti come la scrittrice Dacia Maraini e il direttore di La Repubblica Maurizio Molinari.
Caso davvero raro per me, negli ultimi due mesi l’ho incontrato due volte, prima e dopo la sua proclamazione come vincitore del Premio, in più ho seguito su Youtube l’incontro che ha avuto giovedì 24 novembre al Teatro Nuovo di Ferrara, dal titolo Premio Estense Scuola – Marzio Breda incontra gli studenti.
Ho anche letto Capi senza stato e ho diligentemente preso appunti, soprattutto durante la diretta dal Teatro Nuovo che è durata due ore. Breda non è stato zitto un minuto, non ha bevuto un sorso d’acqua e non ha perso il filo del discorso nemmeno una volta, immerso nei meandri degli aneddoti o delle considerazioni che andava facendo con andamento spiraliforme.
La mia senza dubbio è stata un’esperienza di lettura diversa dalle altre: il libro resta al centro del circuito comunicativo a cui ha dato vita, ma nell’incontrare l’autore altri due aspetti sono diventati oltremodo importanti.
Il primo riguarda l’aspetto umano. Breda si è rivelato, oltre che un giornalista o meglio un quirinalista di prim’ordine, anche una persona generosa di sé nel dialogo, gli è bastato un la per aprire l’immenso scrigno delle sue conoscenze e farle defluire con convinzione verso gli ascoltatori.
Che brio, però, la seconda volta, quando poteva parlare da vincitore del Premio. La soddisfazione di avere vinto l’Aquila D’oro ha agito come un lievito. Che ricchezza di aneddoti sui cinque ultimi presidenti della Repubblica Italiana, da Cossiga a Mattarella, e sulle mogli, ove ci fossero episodi curiosi. Come nel caso di Franca Ciampi, prima assoluta per vivacità relazionale negli incontri ufficiali del marito, al Quirinale o all’estero.
Capi senza stato è un saggio non facile. Per quanto ne conoscessi già la struttura, cinque parti dedicate ognuna a un Presidente, per quanto sapessi quale tesi intendesse sostenere l’autore, ho faticato ad avere chiaro davanti a me il quadro così complesso della vita politica italiana che ciascun Capo di Stato ha avuto attorno a sé.
Il quadro è quello della crisi di sistema che ha investito l’Italia da almeno trent’anni. La tesi del libro è esposta con chiarezza già nel capitolo introduttivo e ruota intorno a questo: il ruolo del Presidente è profondamente cambiato da Cossiga in poi; con lui è finita “l’epoca dei presidenti taglianastri, certificatori silenziosi delle scelte dei partiti”.
Cossiga e i suoi successori, dovendo fronteggiare la “transizione politica, economica e sociale” che ha preso avvio nel 1990 e che risulta “ancora irrisolta”, hanno di fatto allargato la “fisarmonica” delle prerogative riservate loro dalla Costituzione, assumendo una funzione cruciale nei confronti del Paese, con obiettivi e modi diversi.
Cito ancora dalla introduzione: “C’è chi ha fatto il profeta della catastrofe, come Francesco Cossiga, e chi l’antagonista delle prime forme di populismo e sovranismo, con l’avvento di Berlusconi e della Lega, come Oscar Luigi Scalfaro.
Chi ha voluto rianimare il patriottismo costituzionale, come Carlo Azeglio Ciampi, e chi è stato sollecitatore di riforme impossibili perché imposte dall’alto, come Giorgio Napolitano. Infine, chi ha predicato un’idea di Stato-comunità in un paese tormentato dalle divisioni, come Sergio Mattarella”.
Ora che gli istituti superiori di Bologna, Ferrara e Modena possono mettersi al lavoro e predisporre un elaborato originale da inviare alla giuria del 28° Premio Estense Scuola, mi interrogo su quante e quali difficoltà potranno incontrare nella assimilazione dei contenuti di Capi senza Stato. Nel concepire le logiche dei comportamenti assunti negli ultimi trent’anni dai partiti e dagli altri soggetti che incarnano le nostre istituzioni.
Andrea Pizzardi, che presiede la giuria ed è vicepresidente di Confindustria Emilia, ravvisa nella lettura di questo libro un’ottima opportunità che gli studenti hanno di scavalcare la cronaca sul presente per accedere all’orizzonte più ampio della storia politica del nostro paese.
Lo stesso Breda ha indicato come obiettivo del saggio la volontà di dare un valore sistematico ai passaggi storico politici a cui ha assistito come giornalista. Essere consapevoli di ciò che si verifica oltre la dimensione del presente, crescere come cittadini dotati di senso critico: questa la finalità che i ragazzi devono perseguire aderendo alla edizione 2022-23 del Premio.
Vengo allora al secondo aspetto della presentazione del libro che mi ha colpita. Ed è la profondità delle riflessioni emerse nel dibattito al Teatro nuovo, soprattutto grazie alle domande che hanno rivolto a Breda alcuni studenti di Istituti della provincia, come il Montalcini di Argenta, e di Ferrara, come il Dosso Dossi. Niente a che vedere con le richieste di aneddotica avanzate in precedenza dal pubblico ‘adulto’.
Ragazzi e ragazze sono saliti a uno a uno sul palco, si sono presentati e con uno studiato linguaggio formale hanno posto una o più domande del tipo: “Quale aggettivo sceglierebbe per definire con una sola parola ognuno dei cinque presidenti di cui tratta il suo libro?” “Un Capo di Stato deve leggere ‘opere politico-morali’ come il Principe di Machiavelli e possedere una cultura vasta?” “Sarebbe applicabile il semipresidenzialismo oggi in Italia?”
Breda si compiace del tenore delle domande, le sue risposte sono oro per me, che ho bisogno di rinforzare la mappa dei contenuti dopo una sola lettura del suo libro. Chiarisce che a ogni Presidente si può associare una espressione-chiave che ne riepiloghi l’operato e riprende i brevi titoli contenuti nel libro in ognuna delle cinque parti.
Un esempio: Ciampi è stato “il defibrillatore della crisi di sistema” col suo “carisma passivo” e la “lotta a colpi di passato”, perché gli Italiani si ritrovassero “in una storia comune”. Dice che sì, i Presidenti sono uomini di vasta cultura, in particolare Cossiga e Ciampi; fino dagli anni del liceo hanno bruciato le tappe del loro percorso scolastico e hanno acquisito nel tempo una cultura sterminata.
Per rispondere al quesito sul semipresidenzialismo riprende i momenti salienti della grande crisi italiana: la spietata guerra contro la mafia dal 1992 e l’inchiesta di Mani pulite che, a partire dallo stesso anno, porta allo scoperto la corruzione dilagante del sistema politico, il crollo dei vecchi partiti nel 1993 e la nascita l’anno dopo di nuovi soggetti politici, dai primi anni 2000 la grave crisi economica e il difficile rapporto dell’Italia con la Unione Europea.
Breda suggerisce alle scuole che vogliano partecipare al Premio Estense di cominciare dal quadro di questa crisi e dal guado in cui ancora il paese è impantanato. È necessario domandarsi come mai non ne siamo ancora usciti e dà la sua risposta: è mancata la capacità di riformare le istituzioni per mettere in sicurezza il paese. Dunque il semipresidenzialismo va affrontato con avvedutezza istituzionale e con attenzione al bilanciamento dei poteri.
Se i cinque Presidenti, di cui parla il libro, hanno sopperito al vuoto lasciato dalla inconsistenza della politica dei partiti, lo hanno fatto nel tentativo di “garantire la stabilità, e in qualche caso la salvezza dell’Italia, come ha fatto Mattarella, alle prese con i disastri della pandemia e della crisi economica”. Spesso contrastati dagli altri poteri.
Il titolo Capi senza stato mi pare che riveli allora, non solo la profonda conoscenza del quirinalista, che si onora di avere intrattenuto rapporti di amicizia personale con i presidenti, ma anche la sua amarezza. Siamo ancora nel guado e la figura di garanzia che ci dà un po’ di stabilità, Mattarella che va a Genova e abbraccia i parenti delle vittime del ponte Morandi (per dirne una) vive e opera in solitudine.
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Roberta Barbieri
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