“E vivo della poesia come le vene vivono del sangue”
(Antonia Pozzi)
Nel bere la gola si muove veloce
Nel bere la gola si muove veloce
quasi a dire qualcosa ad alta voce e invece
– invece – non parla. Ha sete e ingoia
acqua spiriti, cose segrete di varia matrice
rimaste sospese a farla lavorare.
Il moto ondulatorio produce pressione
appena sotto il punto d’adesione tra faringe
e laringe. È il processo respiratorio a rischiare
la compromissione: prestare dunque attenzione
a che nulla vi sia a stringere il canale.
A soffocare un corpo
con un altro estraneo che spinge.
A poggiare il viso sulla spalla si rischia
A poggiare il viso sulla spalla si rischia
di marchiarla a fuoco – di macchiarla
con il sangue. Ché il dolore si sa
lascia traccia, cambia i tratti
fisionomici; assegna i nomi fin allora
conosciuti all’usuale senso della foratura.
Ne rimane concreto sedimento,
sentimento di concrezione. E terra
si rende per quel che cresce e si tende
nella vertigine tra perpendicolarità
nucale e parallelismo clavicolare.
Il battito intuito dal moto della fossetta del giugulo sul collo
Il battito intuito dal moto della fossetta del giugulo sul collo
– quella proprio appena sopra la forchetta dello sterno –
suggeriva uno stato di veglia del corpo.
Quasi a dirne sottovoce la soglia, l’essere estremo
creato, non generato secondo un credo sacro
tutto carne – tutto umano.
Dal profilo la vena pulsante diceva
quel che ancora esitante rimaneva di un male antico:
il tuo forzarti sotto al limite
minimo delle funzioni vitali.
Uno stato di fatto durato nel tempo
il non credersi animati, animali degni o presunti
tali. Tolto tutto a lasciare giusto lo spazio
dello strazio calcolato tra le ossa del costato.
La debolezza che spezza le unghie
La debolezza che spezza le unghie
nel togliere la buccia ai mandarini
somiglia a certi mattini d’inverno:
è gennaio con il sole che basso
passa sotto lo sterno; segue passo
passo un respiro mancato, quel battito
infermo che nulla trova tra sistole
e diastole. Si direbbe forza
quella che manca – priva di ossa o scorza
a protezione; del frutto che lascia
è l’ultima forma di assoluzione.
Domenica
Hai grigliato la carne il documento
di testo quel frammento di cielo terso
ripreso entro il diaframma fotografico.
Hai provato
il dramma del tempo perso per estremi
punti o disteso misurato in denti
stretti in morsi dati o ricevuti;
in ricevute di pagamento a prova a testamento
dell’esser stati (chissà cosa dove quando).
Intanto il dolore tiene svegli
quel tanto che basta all’acqua della pasta
per arrivare a bollire.
Tutto esiste con un proprio rumore.
Arianna Vartolo è nata nel 1998 a Roma, dove vive. L’aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi. Compare nell’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia – della cui redazione fa inoltre parte dal 2021. Alcuni suoi inediti e lavori sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso (nella cui redazione fa ingresso a marzo del 2022), nonché su La bottega della Poesia del quotidiano La Repubblica – Roma.
Nel 2021 è rientrata tra i finalisti del Premio di Poesia Città di Borgomanero – Achille Marazza e del XXII Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Guido Gozzano”.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]
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Pierluigi Guerrini
Commenti (3)
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Così giovane Così profonda ..meta-fisica. Mi piace molto
Arianna, non plus ultra del continuo sconcerto positivo.
𝓖𝓵𝓲𝓮𝓵𝓸 𝓼𝓬𝓻𝓲𝓿𝓸 𝓪𝓷𝓬𝓱𝓮 𝓬𝓸𝓼𝓲̀.