Sperimento il caos miscellaneo che la vita mi presenta ogni giorno. Da un osservatorio con i suoi privilegi, quello di giornate più lente ora che sono in pensione, colgo le storie che vorticano all’intorno.
Una diversa dall’altra, le situazioni non solo mie, ma di parenti, amici, conoscenti. Senza parlare delle notizie che vengono da tv e internet. Voglio definirlo guazzabuglio, anche se mi veniva bene chiamarlo minestrone davanti agli studenti, quando si facevano complessi i quadri culturali da studiare e c’era bisogno di un po’ di ironia prima di rimboccarsi le maniche.
Vediamo un po’. La sensazione più viva viene dall’ultima esperienza di ieri: la permanenza al pronto soccorso in tarda serata-notte. Ho alzato poche volte lo sguardo attorno, più che altro ho parlato fitto con mia nipote, sdraiata senza comodità sul suo lettino provvisorio, in attesa di essere visitata da qualcosa come dieci ore.
Però l’ho alzato. Sono anche andata in giro un paio di volte tra le salette di attesa, tra i lettini tutti uguali con sopra persone tutte diverse. Se la postura dice qualcosa, mi sono sembrate una più tramortita dell’altra; alcune con la fissità che prelude al sonno. Credo si stessero difendendo non tanto dal loro male, quanto dall’attesa imperscrutabile in cui erano piombati da ore.
Ho avuto una forte impressione di scollamento: non esisteva alcuna continuità tra gli astanti, il personale medico e infermieristico che appariva e scompariva e lo spazio, l’arredo, i monitor con l’elenco dei codici di accesso. P104 e colore azzurro, e sotto molte altre P con tre cifre a formare una lista asettica e non decifrabile ai non addetti.
A quale di questi codici poteva corrispondere la suora di media età, silenziosa e supina, che mi aveva guardato appena mentre le passavo accanto. O la signora seduta sul lettino, che consultava il contenuto della borsetta e l’immancabile display del cellulare. Ogni tanto, un frammento di contiguità. Quando un’infermiera usciva dal proprio ambulatorio per chiamare a gran voce un nome. Meglio ancora se si chinava su qualcuno per bisbigliare frasi meno formali, magari aggiungendo un sorriso.
Un altro quadro molto vivace che ho in testa è riferito alla festa della scorsa domenica: festa a casa di parenti, nel prato intorno alla bella casetta e sotto i gazebo approntati per l’occasione. Dei veri forni riempiti di tavole imbandite di ogni ben di Dio, per celebrare la prima comunione del rampollo di casa. Il caldo rappreso sotto i tendoni ha reso agli invitati un delizioso colorito, credo di essere diventata paonazza alla seconda deliziosa ora di conversazione e cibo.
Deliziosi anche i momenti di incontro con i parenti che vedo ogni qualche anno, momenti pieni di riassunti sui rispettivi vissuti. A colpi di tagli e colori di capelli profondamente mutati, ricoveri in ospedale e successive riabilitazioni, crescita incontrollata dei nipoti, diventati alti a dismisura nel giro di qualche mese. Eccetera. Sono tornata a casa dopo tre ore e mi sentivo ben pasciuta, in tutti i sensi.
Ancora. Le presentazioni di libri a cui ho preso parte negli ultimi giorni. I libri come il mondo che è tondo spaziano a trecentosessanta gradi per varietà di contenuti e di modi espressivi. Lo dicono a mo’ di esempio i due titoli che vado a riportare.
Il primo è Quando qui sarà tornato il mare. Storie dal clima che ci attende ed è stato scritto a più mani durante un laboratorio su cambiamento climatico e scrittura collettiva condotto da Wu Ming 1 [Qui] nel basso ferrarese.
Il nome del collettivo, Moira Dal Sito, non è che l’anagramma di Mario Soldati, lo scrittore che frequentò a lungo la zona del delta del Po e al quale è intitolata la biblioteca comunale di Ostellato, dove si è tenuto il laboratorio nel biennio 2018-2019.
Ho ascoltato la presentazione del lavoro presso la Biblioteca Giardino, sere fa, divenendo consapevole della seguente previsione: l’Adriatico che si alza, che vuole spingersi nell’entroterra, potrebbe nei prossimi decenni arrivare a coprire di acqua la provincia di Ferrara, fino a pochi chilometri dalla città.
Come recita il risvolto di copertina, “lo scopo era immaginare il mondo sommerso di fine secolo e ambientarvi storie create con vari metodi. Ne è nata l’epopea di un mondo ancora e sempre in bilico, tra fatalismi e ritorni all’utopia, miti antichi e sogni di futuro”.
Il mondo in bilico, appunto. Come nelle sale e salette del pronto soccorso, ieri sera.
Il secondo è un giallo ambientato sul Po, all’Isola Bianca di cui avevo solo sentito parlare prima di vederne le immagini durante l’incontro con l’autrice, la ferrarese Chiara Forlani. La quale, appassionatissima dei luoghi, ha parlato distesamente della nascita di questo romanzo, del misterioso delitto avvenuto sull’isola nel 1950 e della situazione storica in quegli anni a Ferrara. Delitto sull’isola bianca è il primo di una trilogia che la scrittrice ha già finito di scrivere, segno di una invidiabile energia narrativa.
Ancora. I libri che sto leggendo e i libri da leggere. Sto leggendo Quando le montagne cantano di Phan Que Mai Nguyen, la saga di una famiglia che intreccia la storia del Vietnam lungo tutto il Novecento ed è raccontata con rara sensibilità dalle due protagoniste femminili. Leggo questa storia e consulto la guida turistica del Vietnam, in attesa di partire per Ha Noi tra due settimane.
Devo leggere l’ultimo romanzo di un altro autore ferrarese, Alessandro Carlini. Di lui non ho ancora letto nulla, ma lo conoscerò anche di persona quando sarà ospite della Biblioteca comunale del mio paese per la presentazione di questo suo ultimo Il nome del male. Una nuova indagine del magistrato Aldo Marano.
Ora torno a ieri sera nelle sale e salette del pronto soccorso a Cona, dove un signore attempato dall’abbigliamento clownesco passava di stanza in stanza declamando versi e poi cantando ariette famose. Portava un cappello rosso natalizio e sopra una cuffia di lana bianca abbinati a pantaloni corti e a un cardigan dai colori sgargianti.
Una apparizione incongrua in tanto silenzio. Eppure costituiva lo scarto da tanta immobilità forzata, era il colpo d’ala di chi non soggiace alla situazione contingente e inventa alternative.
Come la lettura.
Avrei voluto avere con me un bel romanzo, o meglio ancora un racconto e tentare di fascinare l’uditorio con una storia che li mettesse a distanza da se stessi in un momento così incoerente. In un non-luogo così difficile da impattare.
Per costruire una prima corazza di emergenza: le parole altrui, le storie altrui che gira gira sono anche le nostre. Diamo loro la delega a rappresentare le vite e quando leggiamo calziamo le scarpe degli altri fingendo di non sapere che sono anche ai nostri piedi.
Nota bibliografica:
- Moira Dal Sito, Quando qui sarà tornato il mare. Storie dal clima che ci attende, a cura di Wu Ming 1, Alegre, 2020
- Chiara Forlani, Delitto sull’isola bianca. Le indagini del Foresto, Nua Edizioni, 2022
- Nguyen Pan Que Mai, Quando le montagne cantano, Editrice Nord, 2020 (traduzione di Francesca Toticchi)
- Alessandro Carlini, Il nome del male, Newton Compton Editori, 2022
Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di carta, clicca [Qui]
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Roberta Barbieri
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