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In luglio la maturità di mia madre Anna terminò e lei si diplomò. Allora il diploma dell’Istituto magistrale era abilitante e permetteva alle neo-maestre di iniziare subito la carriera di insegnante.

In settembre, posti disponibili permettendo, avrebbe potuto cominciare ad insegnare alla scuola primaria di primo grado (che allora si chiamava semplicemente scuola elementare).

Intanto era luglio e a scuola non andava nessuno. Mia madre passò quell’afoso mese estivo nel negozio della nonna Adelina, vendendo spagnolette, bottoni e passamaneria.

Il negozio era fresco e aveva un profumo intenso dato dagli oggetti là stipati pronti per essere venduti e dall’umidità che trasudava dai muri. Il connubio era interessante, l’umidità tratteneva gli odori del negozio e in parte li trasformava, rendendo quel posto inconfondibile.

È proprio l’odore che rende i luoghi unici. Basti pensare all’odore di polvere, fiori e incenso che caratterizza le Chiese, all’odore di disinfettante, medicinali e minestra che caratterizza gli ospedali, all’odore di carta e gesso che caratterizza le scuole.

Esistono poi luoghi particolari che hanno odori unici e riconoscibili solo per ciascuno di noi. Mi viene in mente il ‘cantinetto’ della vecchia casa della nonna Adelina, che aveva un odore forte di umidità mischiata all’odore morbido dell’olio e a quello fortissimo delle botti di vino, o all’odore riconoscibile e festaiolo della mia cucina quando è appena stato fatto il ripieno di zucca per i tortelli natalizi (ingredienti: zucca, cotognata, amaretti, noce moscata, formaggio e scorza di limone). Quell’odore di zucca sa per me di ritorno a casa, di festa, di parenti, amici, ricordi, di sospensione del tempo ordinario per assaporare il momento dell’incontro.

Sa di punto d’arrivo in cui si fa la somma degli eventi successi e si cerca di tirare un rigo per vedere se il totale è positivo o negativo. Sa anche di attesa per il futuro, per una una ripartenza inevitabile, piena di insidie e sfide, perché così è il rientro nel tempo quotidiano, nel mondo di tutti dove si consuma buona parte della nostra vita su questa imprevedibile e tumultuosa terra.

Nel negozio della nonna, nella parte posteriore del banco di vendita, c’era un reparto con le boccette di profumo. Il banco aveva due grandi cassettoni laterali e uno piccolo centrale. In quello centrale c’era la cassa, in quello più vicino alla stanza chiamata stufa c’erano i profumi e in quello dalla parte verso l’ingresso del negozio c’erano elastici, bottoni e cerniere variopinte.

Le boccette di profumo erano tutte di vetro col tappo di metallo. Le più belle avevano la scatola di cartone mentre le altre erano nude. Il vetro era pesante e a volte colorato.

Tra i profumi più venduti c’era la Violetta di Parma che aveva la bottiglietta trasparente, il tappo viola e un’etichetta con disegnate le violette. Una fragranza apprezzata ancora oggi, soprattutto dalle nonne. Un profumo che a me ricorda la primavera e Adelina.

Fu Maria Luigia D’Asburgo, seconda moglie di Napoleone Bonaparte, amante delle violette che a Parma fioriscono in molti giardini, a battezzare la nascita di questa fragranza.

Proprio lei sostenne le ricerche dei frati del Convento dell’Annunciata che lavoravano sui distillati vegetali. I frati, dopo un lungo e paziente lavoro, riuscirono ad ottenere dalle violette e dalle loro foglie un’essenza molto simile a quella dei fiori appena sbocciati.

Nel 1870 Ludovico Borsari [Qui] acquistò dai canonici la formula segreta per la preparazione di quel profumo. Borsari ebbe per primo la coraggiosa idea di farne una produzione da offrire ad un pubblico vasto. Fu un grande successo.

Il secondo, e più prezioso, profumo venduto dalla nonna Adelina e da mia madre era la Lavanda Coldinava.  Aveva la bottiglietta di vetro trasparente, leggermente bombata e il tappo viola. Sull’etichetta, anch’essa viola, era disegnata una contadina con un cesto di lavanda appena raccolta sulla schiena.

La sua formula è rimasta immutata nei decenni. Nel 1932, la ditta Niggi [Qui] diede vita ad una larga produzione di colonia alla lavanda, raccogliendo una tradizione artigianale diffusa fin dal primo dopoguerra nell’entroterra ligure, al di là del colle di Nava. Da qui il nome.

Questo secondo profumo era più costoso e, poche delle clienti del negozio della nonna, potevano permetterselo. La vendita aumentava in occasione di qualche evento particolarmente significativo per la comunità: un matrimonio, l’arrivo del Vescovo, la festa della Madonna d’ottobre e qualche viaggio particolarmente lungo per andare al funerale di un parente defunto, le cui spoglie erano deposte in un cimitero lontano.

Il viola usato per dipingere l’etichetta della Violetta di Parma e quello usato per la Lavanda Coldinava erano uguali, la stessa tonalità di colore e lo stesso potere evocativo legato al ricordo dei fiori che, in campagna, tutti avevano visto sbocciare.

Quel bel viola chiaro, caratterizzava le etichette delle boccette di profumo e abbelliva di colore il cassetto della nonna Adelina. Ogni volta che si apriva il cassetto, il profumo si diffondeva per tutto il negozio.

Le essenze si mescolavano all’aroma degli altri prodotti allineati sugli scaffali del negozio e diventavano un tutt’uno che comprendeva l’odore dei fili di cotone, del sapone, dello shampoo sintetico in busta, del dentifricio al fluoro in tubetto, della cipria e del talco, della crema per le mani alla glicerina e della pasta Biancardi.

pasta biancardi pomataLa Biancardi era una poltiglia bianca che si metteva sulla pella per non abbronzarsi. Nel 1959 era molto ricercata perché nessuna donna voleva avere la pelle scurita dal sole. La pelle scura era un segno di appartenenza ad un ceto sociale ‘basso’, rivelava chi d’estate passava il suo tempo lavorando nei campi.

Nel negozio della nonna si vendeva anche la Leocrema che ha mantenuto la stessa composizione e la stessa confezione fino ad oggi.

C’era poi il reparto cartoleria con i quaderni che servivano ai bambini per andare a scuola. Le copertine dei quaderni erano mono-colore e non esistevano figure disegnate che potessero indirizzare la vendita verso un prodotto piuttosto che un altro.

Nel negozio erano inoltre esposti altri articoli non molto richiesti. Stavano lì più per riempiere tutti gli scaffali che per rispondere alle esigenze delle persone di Cremantello che frequentavano il negozio.

Una merceria con alcuni scaffali vuoti non era bella da vedere, per questo la nonna Adelina aveva sapientemente posizionato vasetti, imbuti e piccoli attrezzi da giardinaggio che non comprava quasi nessuno, ma che completavano l’estetica di quel negozio rendendolo vivo e bellissimo.

Per incartare i prodotti acquistati dai clienti, mia nonna e mia madre usavano fogli di vecchia carta.

Poco distante da casa loro abitava un signore che faceva il venditore di giornali. Andava sempre in giro con una bicicletta arrugginita sui cui erano sistemate due sacche di cuoio piene di quotidiani e riviste da vendere. Se qualcuno voleva acquistare un giornale, doveva uscire per strada e urlare ad alta voce: “Pinara fermati! fermati! fermatiiiii!!! Voglio comprare un giornale”.

A quel punto Pinara tornava indietro e ti dava il giornale che volevi o, in alternativa, quello che era disponibile quel giorno. Tantè, qualche notizia la si capiva comunque. A volta te lo consegnava in mano, mentre altre, se aveva fretta, te lo lanciava con una certa precisione.

Pinara e sua moglie Carolina vivevano ina una casa fatiscente, una specie di catapecchia piena di mobili e suppellettili preistoriche ed erano degli antesignani giornalai.

Marito e moglie facevano inoltre parte di quella curiosa e non troppo diffusa categoria di persone che dicono “pioverà”, quando vedono dei nuvoli neri in cielo e “si vedranno le stelle cadenti”, quando è agosto e fa molto caldo. Dei profeti nostrani che sapevano propinare oracoli efficaci e facevano promesse molto veritiere, anche se inutili.

Vivevano al limite del decoroso, erano poverissimi, senza contratto di lavoro, ferie, pensione e sanità gratuita. Senza niente da ereditare e senza figli a cui lasciare tutta la loro carta. Questi erano i giornalai del 1959, queste le loro condizioni di vita considerate allora normali.

Pinara e Carolina regalavano alla nonna Adelina vecchi giornali in cambio di un quaderno all’anno che usavano per la gestione domestica. Con quei fogli tutti pieni di scritte, in negozio, si incartavano i prodotti da consegnare ai novelli proprietari. A volte erano quotidiani e a volte riviste.

Mia madre e mia nonna tagliavano i giornali in quadrati, che impilavano nel cassone centrale stando attente a mettere i più vecchi sopra la pila. Mia nonna era inflessibile, bisognava usare sempre i più vecchi, perché la carta si deteriora facilmente e l’incartamento con fogli molto rovinati non fa un bel vedere.

Mia madre Anna, a cui è sempre piaciuto leggere, appena poteva, estraeva dei fogli impilati per l’imballaggio e leggeva le notizie documentate sui pezzi di carta. Così, tra un cliente l’altro, in quel luglio caldissimo del 1959, mia madre costruì una sua visione del mondo grazie ai ritagli che metteva insieme e a cui attribuiva un significato, aiutata da un personalissimo senso di causalità.

Sperava sempre di riuscire a finire l’articolo che stava leggendo prima che entrasse il cliente successivo. La rigorosità procedurale della nonna Adelina era infatti inalienabile e non si poteva cambiare il modo con cui venivano utilizzati i ritagli di giornale. Se entrava un cliente bisognava usare il foglio più sopra. Se conteneva un articolo potenzialmente interessante o letto solo a metà, non faceva nessuna differenza.

Un giorno Pinara chiese a mia nonna se poteva regalargli una boccetta di Violetta di Parma da donare a sua moglie per il suo settantaduesimo compleanno. Per mia nonna non era un regalo da poco ma, mossa a compassione dalla povertà di quella gente, regalò a Pinara una boccettina di profumo.

Pinara andò a casa tutto contento, ma purtroppo non poté regalare a sua moglie la Violetta di Parma. Carolina era morta mentre lui era in giro in bicicletta.

N.d.A.

I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

Per leggere tutti i racconti di Costanza Del Re è sufficiente cliccare il nome dell’autore.

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it

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