Mi gingillo con tanti lavori cominciati e solo pochi conclusi: Bassani, Canova, Paola Masino, Elsa Morante, mentre l’occhio ansioso non abbandona le immagini e i commenti che la tv propaga ad ogni ora del giorno e della notte.
Dall’inconscio affiorano le terribili immagini che da bambino mi hanno accompagnato come ossessione e incubo, legate alla presa di coscienza che quello era – ed è – il mondo che mi toccava vivere. Unica salvezza: rifugiarsi nell’immaginario che diventa Storia, come ha scritto e insegnato la grandissima Elsa [Qui].
Nel mio percorso (orrida parola che rimanda al percorzo ogni giorno recitato nei mezzi di comunicazione) umano e culturale ho imparato che l’immaginario è ciò che di più reale vi sia e ci sia imposto. Un reale che s’impone e che non lascia via di scampo, come ha scritto ed esemplato il mio Cesarito, Cesare Pavese [Qui].
Allora la divaricazione tra vissuto quale fonte dell’immaginario e la realtà si fa precisa, dura, implacabile. L’esempio che spesso ho portato in anni giovanili al mio psicanalista è che qualunque avvenimento più o meno clamoroso si ritorceva – e tuttora si ritorce – in immagini familiari, in vissuto.
Allora, guardando la tragedia dell’Ucraina, involontariamente l’inconscio riporta alla memoria i passi cadenzati dei soldati tedeschi, che alla fine della seconda guerra mondiale si spostavano al Nord, mentre noi tremavamo nel ridicolo rifugio che ci ospitava, appoggiato al muro della Villa delle Statue.
O la sensazione del dolore fisico, che si propaga dalle innumerevoli immagini degli ospedali ucraini, che mi fa ancora dolere l’estirpazione di una ghiandola sotto la gola eseguita da un medico militare a Riccione, o nell’ospedale sant’Anna di Ferrara semi-assediato in tempo di guerra il terrore di mio fratello e mio, condotti mano nella mano all’operazione di ernia, eseguita bruscamente e duramente. Unica consolazione le camicie da notte mia e di mio fratello, di felpa bianca con cagnolini azzurri.
Sarebbe allora pericoloso rifugiarsi nell’immaginario? Certamente sì se non si compisse l’operazione rischiosa ma necessaria di far divenire l’immaginazione realtà, non rifiutando il vissuto, ma partendo da quello.
Ogni volta che un peloso attraversa la mia esistenza, specie le mie due Lille, ecco che il vissuto proietta nello specchio dell’immaginazione la Pupa grassa e ringhiosa, il mite Tavi e anche quelli che avrei voluto, ma che non mi è stato possibile avere.
Così l’immagine tremenda del ragazzo ucraino che porta in spalla per chilometri un grande cane dice in modo angoscioso e irreversibile come gran parte degli umani sia indegna di trattenere rapporti con gli altri ‘animali’ che popolano il pianeta.
E la frase che stupidamente pronunciamo come offesa e ingiuria: “Ti comporti come un animale”, andrebbe rovesciata in quella ancor più mostruosa e offensiva: “ti comporti come un uomo”.
Esempio totale e assoluto l’osceno Putin.
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Gianni Venturi
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