La piadina romagnola è tradizionalmente cotta sulla ‘teggia’, un piatto di terracotta, ma più semplicemente si utilizza una piastra di metallo o di pietra refrattaria, il ‘testo’. I primi a cucinarne una versione rudimentale sono stati gli Etruschi, i quali furono i pionieri nella coltivazione e lavorazione dei cereali e quindi nella produzione di “sfarinate”, che somigliavano molto al “pane” di Romagna, anch’esso preparato senza lievito e cotto su una piastra di metallo o di pietra.
Le rudimentali piade continuarono a essere prodotte anche nell’antica Roma, dove rappresentavano un cibo da ricchi perché dovevano essere mangiate appena cotte; già dopo qualche ora, infatti, diventavano dure e non masticabili, quindi non erano adatte ai plebei che, invece, necessitavano di un alimento a lunga conservazione.
Nella “Descriptio Provinciæ Romandiolæ”, il Cardinal legato pontificio Anglico de Grimoard, ne fissa per la prima volta la ricetta: “Si fa con farina di grano intrisa d’acqua e condita con sale, si può impastare anche con il latte (per rendere la pasta più soffice e friabile) e condire con un po’ di strutto”.
Le varianti prevedono l’aggiunta del bicarbonato, dell’olio d’oliva e del miele. Una volta pronto, l’impasto è diviso in piccole porzioni da stendere con il matterello. Per quanto riguarda il sale, negli ultimi anni viene sempre di più utilizzato quello di Cervia (Ravenna), famoso per la purezza del cloruro di sodio e l’assenza di altri sali, più amari, contenuti normalmente nell’acqua di mare. Anche Virgilio cita la piadina nel VII libro dell’Eneide quando scrive di una “exiguam orbem”, un disco sottile che una volta abbrustolito era diviso in larghi quadretti. Il grande poeta romagnolo Giovanni Pascoli ne parla nella sua poesia intitolata “La piada” (tratta da “I nuovi poemetti”): “Ma tu, Maria, con le tue mani blande domi la pasta e poi l’allarghi e spiani; ed ecco è liscia come un foglio, e grane come la luna […]”.
La piadina è un cibo semplice, che nel corso dei secoli ha identificato e unificato la terra di Romagna sotto un unico emblema, passando da simbolo della vita rustica e campagnola (pane dei poveri) a prodotto di largo consumo. Il termine piada (localmente piê, pièda, pìda) da cui il diminutivo piadina deriva da una parola italiana settentrionale piàdena “vaso”, dal latino medievale plàdena o plàtena, da plathana, a sua volta dal greco pláthanon ossia piatto lungo, teglia.
La piadina può sostituire il pane per accompagnare moltissimi piatti, in primis i salumi (prosciutto, salame, salsiccia stagionata o coppa), i ciccioli di maiale, la porchetta, la salsiccia cotta alla brace o alla piastra (con la cipolla). E’ consigliata anche con lo squacquerone, un formaggio fresco a pasta molle tipico della Romagna, fatto di latte vaccino intero crudo e cagliato, di origine rurale, che ha conquistato i palati più esigenti. Una tipica farcitura consiste nell’abbinare il prosciutto insieme alla rucola e allo squacquerone oppure quest’ultimo con fichi caramellati. Alcune varianti dolci prevedono la spalmatura di crema gianduia, confettura o crema di nocciole spalmabile.
Un’altra tipica preparazione è quella del crescione, basata sull’omonima erba, che si trova lungo i fossati. La sfoglia è farcita, ripiegata e chiusa prima della cottura. Per renderla più saporita, nel ripieno, sono aggiunti aglio, cipolla o scalogno. Questa tradizione deriva dal largo uso che si è sempre fatto nella cucina romagnola delle erbe, comprese le foglie della barbabietola o bietole. L’alternativa moderna al crescione alle erbe è rappresentata da quello ripieno di pomodoro e mozzarella. Negli ultimi anni si è diffuso il cosiddetto ‘rotolo’, preparato farcendo una piadina sottile che è poi avvolta su se stessa.
Una buona abitudine romagnola è quella di gustare la piadina così com’è, servita in un foglio di carta, utile per assorbire l’unto in eccesso. E’ venduta in appositi chioschi, diffusi in tutta la Romagna, caratteristici perché colorati a bande verticali, con colori standardizzati per le varie località. La piadina è possibile trovarla anche confezionata, presso la grande distribuzione.
A seconda della zona di preparazione, ci sono alcune differenze tra piadina e piadina, per quanto riguarda la forma e la consistenza. Nel ravennate e nel forlivese è spessa e soffice, mentre nel riminese è più sottile e talvolta di diametro leggermente maggiore.
Nel 2013 è nato il Consorzio di tutela e promozione della piadina romagnola, fondato da quattordici produttori in rappresentanza di tutta la zona di lavorazione consentita dal Disciplinare di produzione: le tre province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena e parte della Provincia di Bologna. In sintesi esistono due varianti di questo prodotto, che da pochi giorni ha ottenuto il riconoscimento e quindi la registrazione del marchio Igp (Indicazione geografica protetta): la piadina terre di Romagna e piada romagnola (variante di Rimini).
Il suggello definitivo è arrivato dalla Direzione generale agricoltura della Commissione europea, l’organo preposto alla registrazione delle Denominazioni di origine, che, dopo averlo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, ha dato il via libera al Regolamento di registrazione (Gazzetta ufficiale Ue, Regolamento N. 1174/2014).
Il Disciplinare della piadina riminese prevede uno spessore fino a 3 mm e un diametro da 23 a 30 cm; e per la piadina delle terre di Romagna uno spessore da 4 ai 10 mm e un diametro inferiore dai 15 ai 30 cm.
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William Molducci
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