Il luna park dei bagliori e dei clamori natalizi ha vinto il silenzio di cui si adorna la deserta bellezza di Ferrara declamata dal poeta.
È festa e tutto deve essere gioioso e felice, o perlomeno, assomigliargli. Ma viene il sospetto che a guidare la città ci sia un banditore di eventi, un procacciatore di profitti per bottegai.
Questa di vendere la città al mercato del turismo è appunto il modo per impoverire la città del suo silenzio e della sua deserta bellezza, violandola, agghindandola d’artefatti.
Siamo nel terzo millennio e ancora non siamo stati in grado di appropriarci di una cultura nuova dell’abitare la città, che nulla abbia a che vedere con l’eredità delle politiche urbane del ‘900, non proprio degne d’essere reiterate.
Vorremmo una cultura nuova nei cittadini e nei loro amministratori. Una politica che non portasse le persone a privilegiare la fuga dalla città, ma a riscoprire l’umanità nell’abitare la propria città.
Questa è la scommessa che ha davanti il nuovo millennio.
Ho scritto altre volte che vorrei che la mia città fosse un hub di intelligenze e di creatività, non per coltivare un’utopia, ma nella consapevolezza che questa è l’unica risorsa che abbiamo per il futuro.
Possiamo illuderci di vendere la città, di portare turismo e soldi, di fare impazzire il trenino bianco mandandolo intorno come fossimo una spiaggia dell’Adriatico, ma in tutto questo c’è una arroganza che offende la città e l’identità di chi la abita. Perché una città è prima di tutto città per chi vi risiede, per chi della città ha fatto il suo luogo di vita.
Questo di non tenere in considerazione che la città non appartiene né al sindaco né alla sua giunta, che la città non è una macchina per fare soldi offende le persone che non si sentono considerate nella loro dignità di cittadini.
La città è un meccanismo delicato e come tutti i meccanismi va usato con accortezza. Nella città natalizia, addobbata come un’attrazione le persone si perdono, sono ridotte a massa, sono solo ombre, i cittadini ignorati, su tutto si staglia il grande mercato delle luminarie; sarà Natale, ma potrebbe essere una qualunque sagra paesana.
C’è dell’esagerato in tutto questo, come le signore dell’alta borghesia che sfoggiano le loro mise alla prima della Scala, c’è della cafoneria, mancanza d’equilibrio e senso della misura.
La domanda si fa pressante: quali valori uniscono gli abitanti della città, quali valori permettono di riconoscersi nel luogo della propria vita. È una domanda a cui è importante rispondere, perché il rischio è il venir meno del senso di appartenenza. La sensazione è che questo sentimento di appartenenza che dovrebbe accomunarci, possa venire a mancare o stia per essere manipolato profondamente.
Non è detto che vendere la città sul mercato del turismo, faccia della città un luogo, la città potrebbe divenire per tanti di noi estranea, un non luogo, se la vendita è un mercato all’ingrosso, una fiera di bastoncini colorati e zucchero filato.
Gli urbanisti parlerebbero di genius loci, il rapporto tra spazio, architetture e umanità. Oggi dovrebbe essere compito di ogni comunità di abitanti difendere le peculiari qualità del loro luogo, come espressione della loro identità, del loro profondo senso di appartenenza che sono fattori indispensabili per partecipare alla vita della propria città. La città è un luogo carico di significati che non possono essere usurpati da un commesso piazzista che apre baracconi per attrarre i clienti.
Pare che le luminarie abbiano abbagliato gli occhi dei ferraresi rimasti ingabbiati nell’enorme palla di luci ai piedi dello scalone del municipio.
Il futuro che si offre ai bimbi della città è la stella cometa del winter park e un dizionario del dialetto ferrarese, perché non si perdano le radici della cultura popolare. È un futuro che sa di passato come è ormai d’abitudine offrire alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, perché il futuro deve essere rimasto strozzato da qualche parte.
Nel merito quella del dialetto ferrarese è un’operazione identità che preoccupa, perché è un’operazione di chiusura culturale, non nasce a scuola, ma fuori dalla scuola, un’operazione imposta da chi difende le proprie radici per negare quelle degli altri.
Questo non è natale, questo è morire, uccidere gli anni nuovi che verranno, non ci sono prospettive, futuri da disegnare, idee da lanciare, pensieri da rincorrere, niente di tutto questo, solo lo stordimento delle menti, nella finta euforia delle feste, spente dall’incombere del virus.
Dice il sindaco che le luminarie sono un abbraccio di luce, ma una città senza progetti per i giovani e il loro futuro è una città senza luce, una città di cittadini spenti. Non sono un abbraccio di luce, ma luminarie per nascondere il buio più oscuro che tornerà ad avvolgerci appena saranno spente.
“Ferrara per le feste non immaginarla vivila” è lo slogan ideato dai creativi ingaggiati da questa amministrazione come richiamo per sedurre i turisti.
A noi per le feste, signor sindaco, sarebbe piaciuto poter vivere la nostra città immaginandola al futuro, avremmo voluto che fossero all’opera fucine di idee e che a brillare fossero le loro scintille.
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Giovanni Fioravanti
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