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All’indomani dell’ennesima alluvione a Genova, a inizio ottobre, molti hanno rilanciato le critiche e gli interrogativi sul decreto Sblocca Italia, pubblicato in Gazzetta ufficiale a metà settembre, soprattutto in materia di impatto sulla (non) gestione del territorio e sulle politiche di (non) tutela ambientale. Ebbene all’interno del ‘capo III’, proprio quello sulle misure urgenti in materia ambientale e per la mitigazione del dissesto idrogeologico, c’è l’articolo 7 “Norme in materia di gestione di risorse idriche”: in altre parole il ciclo dell’acqua. L’obiettivo di questo articolo, insieme ai provvedimenti contenuti nella Legge di stabilità, “non è rendere maggiormente efficace la gestione, ma ritornare a favorire la privatizzazione dei servizi pubblici”, ancora una volta in barba al risultato del referendum del 2011: è l’allarme lanciato dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua nell’incontro di sabato pomeriggio a palazzo Bonacossi. Secondo quanto afferma Paolo Carsetti, attivista del Forum, l’articolo 7 dello Sblocca Italia configura una vera e propria “modifica dei principi base dei servizi del ciclo integrato dell’acqua”, non solo imponendo “un gestore unico per ogni territorio”, ma arrivando anche a definire “chi debba essere questo gestore”. Il testo, infatti, dispone l’affidamento al gestore il cui bacino complessivo sia “almeno pari al 25 per cento della popolazione ricadente nell’ambito territoriale ottimale di riferimento”: dunque si favoriscono le grandi multi-utility quotate in borsa in nome di una presunta razionalizzazione all’interno di economie di scala. Parallelamente nella Legge di stabilità si esercita, per usare un eufemismo, una certa pressione sugli enti locali: in un momento in cui sono strangolati dai tagli e dal patto di stabilità, si inserisce un provvedimento per cui chi sceglierà di “cedere le proprie quote di partecipazione” potrà “usare le somme ricavate al di fuori del patto di stabilità”. Per questo Carsetti parla di una “privatizzazione strisciante”: l’obiettivo è lo stesso del governo Berlusconi e del ministro Ronchi, ma non si ripete l’errore di esplicitarlo per non correre il rischio di una possibile mobilitazione dei cittadini come è avvenuto con i referendum.
mani_cerchio_acquaÈ stato Corrado Oddi, componente del Comitato acqua pubblica di Ferrara, a riportare tutti con i piedi in terra ferrarese: “Oltre ai provvedimenti legislativi, ci sono già studi su come le multi-utility si spartiranno i profitti nei prossimi anni”. Iren, A2A, Acea e Hera potranno contare su “2 miliardi in più di margine operativo lordo” attraverso l’acquisizione delle circa 60 aziende di servizi che ancora rimangono sparse sul territorio, tra le quali per esempio il Cadf che opera nel Basso ferrarese, e “Cassa depositi e prestiti avrebbe già deciso di stanziare 500 milioni di euro per favorire questo tipo di operazioni”. E proprio parlando di Cadf (Ciclo integrato acquedotto depurazione fognatura – Consorzio acque del Delta), da più di un anno e mezzo il Comitato acqua pubblica di Ferrara ha avviato un dialogo con i sindaci del Basso ferrarese per esplorare le possibili strade per una sua ri-pubblicizzazione e molti di loro sembravano favorevoli, “almeno a parole” ha specificato Marcella Ravaglia, altra componente del Cap locale. Allora perché nessuno dei sindaci, pur invitati, ha partecipato all’incontro di sabato pomeriggio? Soprattutto perché dopo aver commissionato uno studio di fattibilità sulla trasformazione del Cadf in azienda speciale di diritto pubblico, secondo quanto afferma Ravaglia, “si è deciso di non renderlo pubblico”?

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Federica Pezzoli



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