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Epatite C, in Emilia-Romagna stanziati 6 mln di euro per il 2021/22. In Italia circa 300mila casi di infezione occulta
Ferrara, 12 nov.- “In Emilia-Romagna abbiamo a che fare con numerose problematiche legate all’epatite C. Innanzitutto, c’è quella della diagnostica e dello screening di base, per cercare di far affiorare il cosiddetto sommerso. Mi riferisco a coloro che in pratica hanno l’infezione ma non sanno di averla. In Italia sono stimati tra i 200mila e i 300mila casi di infezione occulta, cioè persone che non sanno di essere affette da questo tipo di patologia e, in base anche alle direttive emanate a livello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono stati individuati diversi gruppi a rischio che sono quelli poi passibili di inquadramento: la fascia della popolazione che comprende i nati fra il 1969 ed il 1989, i pazienti afferenti ai Servizi delle Dipendenze patologiche, che qui sono rappresentate dal Direttore, e, infine, il gruppo dei detenuti”. Lo ha dichiarato il Dottor Marco Libanore, Direttore UOC Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara, intervenuto in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie. Il corso, dal titolo ‘DIAGNOSI PRECOCE E TRATTAMENTO DELL’EPATITE C NEL PAZIENTE UTILIZZATORE DI SOSTANZE IN EMILIA ORIENTALE – Un approccio razionale per eliminare il virus in un territorio atipico’, rientra nell’ambito di ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.
Informando che l’Emilia-Romagna avrà a disposizione 6 milioni di euro per avviare lo screening gratuito sull’epatite C, Libanore ha proseguito sottolineando che “si tratta di tre grandi fasce di popolazione che sono quelle che accentrano maggiormente l’attenzione e sulle quali dobbiamo concentrare tutte le nostre strategie, sia dal punto di vista dello screening sia, una volta individuate come infezioni, per essere poi trattate in maniera ottimale. Le nuove cure che abbiamo a disposizione ci consentono la possibilità di eradicare l’infezione in oltre il 95% dei casi. È quindi una strategia che dobbiamo cercare di articolare nel migliore dei modi per ottenere un risultato che sia il più alto possibile”.
Al corso ha preso parte anche la Dottoressa Luisa Garofani, Direttore UOC Ser.D., Azienda USL di Ferrara, che si è soffermata sui test rapidi, definendoli “una assoluta carta vincente per far emergere il sommerso, tanto che avevo pensato proprio di utilizzare anche gli operatori di strada, non solo quindi i pazienti che accedono al servizio per le problematiche di tossicodipendenza, ma anche quelli che possono essere raggiunti fuori dal servizio e motivati ad entrare nel servizio anche solo per fare il test. Questo è sicuramente uno dei modi più interessanti e più importanti per eradicare l’epatite C, perché chiaramente, oltre al fatto di essere a conoscenza di essere positivi all’epatite C, c’è la motivazione a curarsi e le assicuro che non è così automatico”. Nel corso del dibattito, la Dottoressa Garofani ha poi reso noto che “sono circa 700 i pazienti che afferiscono alla struttura del Ser.T. più grande, che è quello di Ferrara. Di questi 700 abbiamo fatto uno screening, riferito al 2019, di circa 156 pazienti. Ma di questi ultimi non abbiamo comunque un dato certo su quanti abbiano terminato la cura, perché i dati riferiti a questo periodo sono naturalmente poco attendibili: non sappiamo, infatti, se i pazienti abbiano proseguito la cura o se l’abbiano interrotta e se siano intenzionati a riprenderla”. Garofani ha poi tenuto a precisare che “a proposito di questo, ritengo che tale iniziativa sia molto importante, anche perché ci permette una maggiore facilità, con il Dottor Libanore con cui già naturalmente collaboriamo moltissimo, per fare una sorta di match dei dati, sia di quelli che noi inviamo ma anche dei risultati che voi ottenete. Dobbiamo, cioè, riuscire a trovare un modo per avere dati certi anche sulla guarigione e sulla cura”.
Ma a che punto è l’Emilia-Romagna nella cura e nel trattamento dell’epatite C? Il Dottor Libanore ha spiegato che “la nostra Regione, per tradizione, è sempre stata all’avanguardia nel trattamento delle epatiti virali croniche, anche perché c’è una scuola epatologica che ha una tradizione longeva. Inoltre, la facilità di avere i centri concentrati tutti nell’unico sito del Polo Ospedaliero di Cona, dove gravitano tre strutture che si interessano tutte al trattamento dell’epatite virale cronica C, che sono i due reparti di malattie infettive ed il reparto di gastroenterologia, ci consegnano dati omogenei e congiunti che permettono al paziente di afferire presso un unico polo ospedaliero, vero e proprio riferimento per il trattamento”. Libanore ha poi affermato che “ad oggi le tre strutture che si interessano della terapia dell’epatite virale cronica C hanno trattato complessivamente quasi 1.000 pazienti, che hanno ricevuto trattamenti con farmaci antivirali ad azione diretta”.
Il medico ha aggiunto che “la nostra unità operativa, essendo l’unica di fatto che si interessa anche del paziente sieropositivo, ha acquisito esperienza nel trattamento del paziente co-infetto, quindi positivo sia per l’HIV che per l’HCV, ma al tempo stesso ha acquisito anche esperienza nel trattamento del soggetto dedito alla tossicomania. Non solo. L’altra struttura, avendo come riferimento il migrante, ha acquisito esperienza nel trattamento del paziente extracomunitario che proviene dal continente africano, da quello asiatico o da altri ambiti. Possiamo poi contare su una consulenza ormai consolidata con la casa circondariale di Ferrara, che vede coinvolto un nostro collaboratore a prestare attività di screening e di terapia ormai da oltre vent’anni”. Libanore ha infine precisato che “da questo punto di vista, molti dei gruppi cosiddetti a rischio sono già arruolati e condivisi nel trattamento di questo tipo di patologia. Adesso dobbiamo solo cercare di definire e migliorare le strategie per arrivare a far sì che nessuno sfugga, che tutti abbiano l’opportunità di essere trattati in maniera adeguata nel più breve tempo possibile per arrivare a quello che è l’obiettivo dell’OMS, ossia l’eliminazione dell’epatite C comunitaria entro il 2030. L’Italia è stata individuata come uno dei 12 Paesi in grado di raggiungere questo obiettivo e noi tutti dobbiamo collaborare affinché questo obiettivo venga realizzato nei tempi dovuti”, ha concluso
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