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Il mio problema è di essere egocentrico per eccellenza, e non ho mai sopportato l’idea di avere una vita, come dire, normale.
Oddio, essere un comune mortale mi avrebbe demoralizzato e giuro che se lo fossi stato, oggi non sarei qui a parlare con voi.
“Certo, staresti in un normale ufficio, a fare il tuo normale lavoro, onestamente come i comuni mortali!”
“In ogni caso non ci starei in quel dannato ufficio, sarei morto, mi sarei ucciso con le mie stesse mani! Invece i giornali hanno parlato di me, e domani ci saranno centinaia di articoli che parleranno di me!”
“Credi di essere una grande celebrità?!”
“Lo sarò!”
“Non credo che ci sia motivo di vanto per quello che hai fatto!”
“Lo sarò! Questo mi basta!”
“Tu sei pazzo!”
“No, sono egocentrico!”
“Credi che questa sia una giustificazione? Credi che questo sia un buon motivo per rapinare decine di locali?”

So solo che mi divertivo da matti, era il momento più bello della mia giornata:

“Signori e Signore, Ladies and Gentlemen questo è il mio show quotidiano, quindi, mi raccomando, tutti concentrati su di me!”
Poi sceglievo una persona a caso, solitamente una persona poco robusta o che aveva la possibilità di sfuggire alla mia visuale.
“Tu, vieni qui!”
La persona si avvicinava ed io gli consegnavo una busta nera.
“Svuota il registratore di cassa e metti tutti i soldi qua dentro. E muoviti!”, gli urlavo.
Non avevo preferenze nello scegliere i locali, andavo ‘a fiuto’. A volte entravo nei locali
senza un programma definito, di preciso in mente avevo solo l’inizio e la fine, il resto veniva da sé.

Avevo sempre avuto la fissa per quella maschera maledetta.
Comprai tutto: la crema bianca, il rossetto rosso fuoco e la matita nera.

“Signori state fermi e giuro che non vi succederà nulla.”
Puntavo la pistola contro la persona che avevo scelto per raccogliere i soldi e gridavo: “Tu, sbrigati se non vuoi avere una lapide al cimitero!”
Era tutto questione di minuti, quattro, al massimo sei quando erano locali con due o tre registratori di cassa. In quel caso le persone designate erano due, ma cercavo di evitare questo tipo di posti, perché spesso avevano delle telecamere a circuito chiuso, pronte a mettermelo nel culo.
“Allora ti sbrighi!” gridavo alla persona che stava raccogliendo i soldi.
Ma questo accadeva raramente perché la pistola puntata contro metteva il pepe nell’anima!
Dopo i calcolati quattro o sei minuti, la persona mi si avvicinava tremante con la busta di soldi tra le mani.
“Adesso mettiti buono in quel posto e non muovere il culo fino a quando non sarò uscito da questo posto di merda! Chiaro?”
La persona eseguiva senza obiettare, poi davo uno sguardo completo al locale per vedere se mi era sfuggito qualcosa o qualcuno, per sapere come comportarmi fuori.
“Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, spero che lo spettacolo vi sia piaciuto, e che vi comportiate allo stesso modo se avrete il piacere di assistere ad un altro mio show!”

Dopodiché avveniva la parte più rischiosa della scena, perché poteva sfuggirmi tutto di mano, ma nulla avrebbe avuto senso senza quel gesto in cui scaricavo tutto me stesso.

L’inchino.

Mi inchinavo, portando il busto in avanti di quarantacinque gradi, il cilindro nella mano destra che scivolava davanti al capo. I capelli lunghi cadevano a peso morto a pochi centimetri da terra.
Poi alzavo la testa e sorridevo ai miei spettatori.

Avevo sempre tutto con me.
Il trucco.
In macchina, prima di iniziare lo spettacolo mi spalmavo la crema bianca intorno al viso, tralasciando le labbra e due linee semisferiche sulle guance che andavo a pitturare con il rossetto. Poi, prendevo la matita nera e disegnavo due linee verticali sotto gli occhi, di pochi centimetri, e due triangoli neri sulle sopracciglia.
Mi guardavo nello specchietto retrovisore, sorridendo in modo da mettere in evidenza i canini.
Quando mettevo in testa il cilindro nero, l’opera era terminata.
Lanciavo ancora un’altro sguardo nello specchietto, e sorridevo ancora.
Poi mi buttavo nello spettacolo!

Faceva più caldo del solito, la macchina aveva una temperatura prossima ad un forno.
Il sudore mi rigava il viso, dovetti passare la crema più volte per fissarla. Quando terminai tutto, lanciai uno sguardo fuori, al locale predestinato, poi guardai di nuovo la gente, ero in attesa del buon momento per scagliarmi fuori. Intanto il caldo aumentava.
Quando fu il momento adatto, infilai la pistola sotto la giacca e scesi di corsa. In un attimo raggiunsi il locale.
C’erano due uomini in fila alla cassa, una donna davanti al banco dei liquori, il cassiere al suo posto e il commesso dietro al bancone.
Calcolai in un attimo le distanze e chi doveva raccogliere i soldi. I tre clienti erano in un’ottima visuale e apparentemente innocui, ma gli impiegati potevano avere qualche allarme a portata di mano.
I calcoli erano fatti. Sfilai la pistola dalla giacca e iniziai lo spettacolo:
“Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, questo è il mio show quotidiano, quindi mi raccomando, tutti concentrati su di me!”
Puntai la pistola contro il cassiere,
“Tu, vieni qui!” Gridai a lui e al commesso dietro al bancone. Consegnai la busta nera al cassiere, ordinando di consegnarmi tutti i soldi del registratore di cassa, mentre il commesso si occupava dei portafogli dei clienti. Questa era una mossa che non avevo mai fatto.
“Signori, state fermi, e giuro che non vi succederà nulla. – gridai ai clienti – E voi, sbrigatevi se non volete avere una lapide al cimitero!”
La mia pistola passava sui volti di tutti i presenti.
“Allora, cazzo, sbrigatevi!”
Quella volta la pistola puntata non aveva messo il pepe nell’anima.
Si sbrigò prima il commesso che si occupava dei clienti. Si avvicinò tremante con in mano alcuni portafogli e due cellulari.
“Pezzo di merda, mettili in una busta!”
“Quale busta?” mi chiese tremando.
Mi innervosii: non riuscivo a capire se il commesso la stesse tirando per le lunghe o se fosse rincoglionito davvero.
“Non avete una busta del cazzo?!”, mi alterai.
“Certo, certo, signore” – disse – mentre si allontanava verso il bancone
“Dove stai andando?” gridai.
“Signore, a prendere una busta, come vuole lei, signore.”
Puntai la pistola verso il cassiere.
“Tu sei ancora lì? Sbrigati!”
“Butta per terra quello che hai e non ti muovere di un millimetro, intesi?!” gridai al commesso.
Il commesso obbedì immediatamente, mentre i minuti calcolati erano terminati già da un pezzo e pensavo alla cosa più banale che potesse accadermi, cioè che un nuovo cliente entrasse nel locale e mi sparasse alle spalle.
Cercai con gli occhi qualcosa che riflettesse. Le bottiglie davano un’immagine troppo distorta, per il resto niente poteva essermi utile.
“Pezzo di merda, muoviti!”
Il cassiere si mosse verso di me con la busta in mano.
Il tempo filava via, il sudore colava e la crema bianca sul viso si scioglieva.
Lanciai uno sguardo all’orologio: erano passati più di dieci minuti, non era certo il tempo che ci voleva per svuotare un registratore di cassa.
Le sirene in lontananza mi diedero la conferma della mia impressione: quel bastardo del cassiere aveva dato l’allarme!
“Figlio di puttana!”, gridai.
Sparai due colpi, ma non colpii nessuno, e di questo poi ne fui felice.
Uscii di corsa dal locale e mi infilai in macchina, buttando tutto il mio peso sull’acceleratore. L’urlo della sirena si avvicinava, accelerai ancora di più svoltando in alcune stradine. Gli spettatori si affollavano sui marciapiedi.
“Il mio spettacolo sta continuando!” esultai.
Accelerai ancora di più, mentre la polizia mi stava alle calcagna. Sviai ancora in altre stradine, ma un’altra volante della polizia sbucò dalla strada di destra. Il suono delle sirene si faceva assordante.
Quando mi voltai vidi una terza macchina che mi inseguiva. Lo scenario si faceva più spettacolare, pensai. Imboccai altre stradine prima di ritrovarmi di nuovo in quella principale. Gli spettatori sui marciapiedi erano sempre di più.
Era l’ora di punta, e in quel viale avrei incontrato traffico. Mentre ragionavo su quale stradina infilarmi, i miei occhi si distraevano a guardare le frotte di curiosi intenti ad assistere alla mia scena.

Scena! Pensai.
La mia scena.
La polizia, la gente.

“E perché no?!”, dissi.
La polizia era sempre più vicina.
Accelerai di colpo, la vidi allontanarsi.
Già immaginavo i titoli sui giornali.
L’immancabile ingorgo di quell’ora era lì, pronto ad acclamarmi, insieme a quattro volanti della polizia e agli spettatori, sempre lì, sui marciapiedi apposta per me.
In piena corsa tirai il freno a mano e mi ritrovai catapultato in un paio di giri. Sentii i freni urlare.
Appena la macchina si fermò, presi il cilindro, velocemente salii sul tettuccio della macchina.
Da lì si godeva di un’ottima visuale.
La gente sui marciapiedi affollati, la polizia che mi veniva incontro. Le luci della sirena facevano da scenografia.
“Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, spero che lo spettacolo vi sia piaciuto, e che vi comportiate allo stesso modo se avrete il piacere di assistere ad un altro mio show!”
Misi il cilindro in testa e mi inchinai al mio pubblico.

Il mio spettacolo terminò lì, con tre pallottole nel cuore del Joker.
Prima di morire sorrisi a centinaia di persone che erano accorse per assistere alla mia morte.
La morte del Joker!
“Perché la polizia ha sparato?”
“Probabilmente era armato”, sentii dire.
I loro occhi erano tutti per me, e lo sarebbero stati anche gli articoli dei giornali del giorno dopo.
Per quanto riguarda il dialogo iniziale, quello era nella mia fantasia sin da bambino.
Quando mi accorsi che stavo diventando un comune mortale, decisi di dare una sterzata alla mia vita.

…Per tutto il resto…
…Signori e Signore, Ladies and Gentlemen…

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Vincenzo Contreras



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