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Pareidolìa: s.f. [comp. di para- e gr. εἴδωλον «immagine»]. – Processo psichico consistente nella elaborazione fantastica di percezioni reali incomplete, non spiegabile con sentimenti o processi associativi, che porta a immagini illusorie dotate di una nitidezza materiale (per es. l’illusione che si ha, guardando le nuvole, di vedervi montagne coperte di neve, battaglie, animali, ecc.).
Vocabolario Treccani

Truro (GB), 09.07.18: Quest’anno, per l’ultima e decisiva prova del massimo campionato erano rimasti in sette, un buon numero tutto sommato. Nella precedente edizione – nel 2005, la bellezza di tredici anni fa, vista la singolare periodicità di questa singolare specialità – i finalisti erano solo cinque, nel 1991 si qualificarono in nove, ma solo in tre nel 1978. Ecco, la statistica è già finita: nella seconda settimana di luglio, a Truro in Cornovaglia, sta per iniziare il IV Campionato Mondiale di Pareidolie.

Mentre scrivo, sopra Truro e fuori dal borgo, sopra i suoi piccoli campi cintati e i suoi pascoli, lungo il corso del River Fal, verso la grande ansa di Carrick Roads, e giù, fino alle scogliere bianche e al mare blu cobalto e bianco di schiuma, sopra tutto questo verdeazzurro splende un bel sole arrampicato sulla cima di un cielo altissimo e vuoto; il vento soffia forte e intermittente. Truro è un’antica, graziosa e sperduta cittadina della Cornovaglia, “la capitale della Cornovaglia” come vogliono i suoi ventimila abitanti; e io sono qui, presente!, per documentare questa stranezza. Sinceramente avrei preferito pericoli e gloria di una corrispondenza di guerra, ma qualcuno doveva pur venirci a Truro; il caporedattore mi ha guardato dritto negli occhi, l’ultimo arrivato, il pivellino, e ha mandato me per un bel pezzo di colore: “Non più di cinque cartelle, un po’ di folclore locale, un paio di interviste a quei pazzerelli dei concorrenti”. E le foto naturalmente – “Ne voglio almeno una con una bella nuvola bianca in primo piano.”
No, niente pericoli e niente gloria. Ma poteva andarmi peggio, di manifestazioni strane e bizzarre – ma sì voglio dirlo: idiote – se ne celebrano a ogni latitudine e in ogni mese dell’anno. Potevano spedirmi al Campionato dei Brutti, al Naso più grosso, alla Barba più dannatamente lunga. Invece a Truro il tema principale, il tema unico direi, almeno per una settimana, saranno le nuvole. Poetico vero? Nemmeno per sogno. Di nuvole e di pareidolie si interessava anche Jung. E comunque qui a Truro fanno maledettamente sul serio. Me ne accorgo subito, mentre la prima mattina aspetto il via ufficiale della competizione – funziona così: il giudice spara in aria un colpo tremendo con una pistola anteguerra, ma si può? manco fosse la finale dei cento metri piani – intanto cerco di avvicinare qualcuno dei concorrenti per una prima intervista. È o non è il mio mestiere?

Aspettate, c’è prima una domanda da evadere. E cioè: perché proprio a Truro? A leggere il comunicato stampa stilato dal Comitato Organizzatore – tre vegliardi che paiono usciti dalle file dell’esercito di Cromwell – la spiegazione è molto semplice. A Truro, come in tutta la Cornovaglia, soffia sempre il vento e il cielo è pieno zeppo di nuvole. Nuvole in gran movimento, visto il vento di cui sopra. Obietto, da perfetto profano, che vento e nuvole hanno il difetto di portare pioggia. Ma il vegliardo presidente, il meno suonato del trio, ha la risposta pronta: “Vede carissimo, è appunto per questo che abbiamo scelto la seconda settimana di luglio. Secondo le statistiche, in questa settimana a Truro non piove mai, o insomma… quasi mai. Per cui avremo sole, vento forte e nuvole a volontà”. “E su che dati vi basate?”, gli chiedo. “Dati certi ragazzo – e il vecchiaccio mi regala un sorriso composto da tre solitari faraglioni – la fonte è il nostro registro parrocchiale, compilato quotidianamente e con diligenza fin dal 1347”. Insomma, schifando la moderna scienza metereologica, il Comitato Organizzatore aveva trovato adeguate rassicurazioni nel registro del priorato della cattedrale di Truro. Secondo il quale, negli ultimi 80 anni, nella seconda settimana di luglio a Truro si erano registrati solo 2 giorni di fitta foschia, 4 temporali estivi, 11 brevi piogge e un uragano, uno solo però. Quand’è così.

La storia climatica, non ci metto molto ad accorgermene, ne nasconde altre e più succose. Truro non è proprio una cittadina qualsiasi. Ecco un breve e incompleto elenco delle sue stranezze. Per cominciare, nella piazza di Truro, a varie riprese, sono state messe al rogo un totale di 13 streghe. Va bene, quelli erano tempi bui. Allora parliamo di questi tempi. I casi locali di follia, ma chiamiamoli ricoveri per gravi disturbi mentali, risultano essere il doppio della media nazionale inglese. I fantasmi in attività e in circolazione (raccolgo il dato da un puntiglioso libretto edito a Truro nel 1978 a spese dell’autore) raggiungono le 44 unità, comprese le streghe di cui sopra. Circa la metà degli abitanti, più o meno di 10.000 persone, vecchi e bambini inclusi, presenta sintomi di claustrofobia, il 15% di loro in forma grave.
Poi ci sono “gli altri abitanti”, quelli propriamente o ingiustamente detti fantastici, o semplicemente buffi, se il sovrannaturale non vi fa neppure il solletico; oppure vivi e vegeti, se almeno un po’ vi piace crederci. Ma in ogni caso presenti e “disturbanti” gli abitanti di Truro e dintorni. Qui dimorano tutti, ma proprio tutti i rappresentanti della mitologia silvestre celtica: fate, banshees, folletti, elfi, gnomi, leprecauni e cluricauni. Se ho dimenticato qualcuno, mi scuso con voi e con lui. Ma perché tutti qui a Truro? Forse il Sidhe, l’oltretomba celtico, così colorato e felice, ha una porta d’uscita proprio in questo pezzo di Cornovaglia? C’è qualcuno che lo sostiene. In tutti i casi, a prestar fede a quello che scrivono i cultori di questa variopinta fauna, per gli umani che devono conviverci giorno e notte, la vita può diventare un vero tormento. Come difendersi? Un signore molto distinto mi informa che, nel caso fossi interessato, a un’oretta di cammino da Truro vive e presta i suoi servigi, a prezzi modici, un potente Druido. L’ultimo della Cornovaglia.
Alcune sette esoteriche – quante, dove, quando? Non è dato sapere, trattandosi per l’appunto di sette segrete – sostengono che Truro rappresenti l’ideale completamento del celebre Triangolo Magico. “Le dirò di più” – mi dice il concorrente polacco, un uomo con due occhi senza pupilla, talmente chiari da sembrare bianchi – “Truro non rappresenta il quarto punto, perché il triangolo deve rimanere triangolo, e non già diventare un quadrato. Il fatto è che, con Torino e Praga, è proprio Truro il vertice del Triangolo Magico. E basterebbe fare due calcoli fatti bene per eliminare Lione e collocare nel terzo vertice il legittimo proprietario”. Che ovviamente sarebbe Truro.

A Truro c’è una graziosa public library che ho subito visitato. Lì ho raccolto la gran parte delle informazioni e, come sempre avviene, la verità storica assieme all’immaginazione, le leggende con le dicerie, i miti, perfino le balle colossali. Lo avrei fatto comunque, amo le biblioteche con tutto il mio cuore, ma quello che volevo, dopo aver dato una bella guardatina al patrimonio librario, era incontrare e parlare con la bibliotecaria, la signora Rosa Wolfe. Sapevo bene che nella campagna inglese il bibliotecario è di gran lunga “la persona più informata dei fatti”. Più del prete, più del medico condotto, e senza nessun obbligo al silenzio da dover rispettare.
Rosa Wolfe ha un’aria tonda e gioviale. Nessuna somiglianza o parentela ma un viscerale amore per la grande Virginia, che pure a lungo ha abitato in Cornovaglia. Rosa è una bibliotecaria fatta e finita, in servizio da oltre trent’anni; ama i suoi libri, ama i suoi lettori, ama la catalogazione, ama le statistiche dei prestiti librari. Il vanto della sua biblioteca? Naturalmente il “Fondo Storico e Locale”, più di seicento volumi ed opuscoli, comprese due Seicentine. “Ma il parroco si è voluto tenere in canonica almeno una cinquantina di volumi antichi e rari.” A questo punto Rosa Wolfe si infervora: “Sto parlando di incunaboli, ha capito cosa intendo, incunaboli! E quel tipo li tiene chiusi a chiave nel suo studio, sottraendoli al pubblico degli utenti e degli studiosi”.
Annuisco gravemente e Rosa sembra sollevata dalla mia intima partecipazione alla sua pena. Ormai siamo diventati amici e lei potrà  aprirmi serenamente il suo cuore. Intanto mi presenta l’altro vanto della biblioteca contrassegnato dalla sigla FOIN, cioè a dire  il “Fondo Oltre Il Normale”. Sono senza parole, il FOIN non sta in uno scaffaletto ma occupa due intere pareti: 2.823 documenti, oltre un terzo dell’intero patrimonio della biblioteca.

continua domani …

 

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Francesco Minimo



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